Cenacolo o Baccanale? Lo sguardo suscettibile del cattolicesimo alle Olimpiadi di Parigi

Quello della cerimonia d’apertura dei Giochi Olimpici 2024 non era un Cenacolo, ma un banchetto degli déi pagani. Ma l’occhio cattolico è strabico e si indigna

Da quando il cattolicesimo si è affermato, tra tutte le maggiori religioni, come quella più vocata ad usare il codice linguistico della figurazione, si è diffusa la secolare convinzione tra i cattolici militanti di ieri e di oggi che le immagini stesse in tutte le loro declinazioni siano riconducibili al “guinzaglio” della lettura “religiosa” o “di fede”. Un cattolicesimo, cioè, censore, accreditato di tutte le immagini della comunicazione non solo religiosa ma anche culturale in senso ampio. Si è sviluppata, cioè, la primazia cattolica nell’uso e consumo delle immagini, in special modo in quelle che spingono, seppur vagamente, l’acceleratore della similitudine o parodia dai “modelli” canonicamente ed eticamente “approvati” o compatibili con l’esercizio di fede, col rischio persino di cadere in facili equivoci interpretativi e sovrapposizioni iconografiche ‘a denuncia’ di una qualche lettura apocrifa se non aperta blasfemia.

Le accuse di blasfemia alle Olimpiadi di Parigi

Petrolini direbbe: “blasfemia quand’è mia; quand’è tua, blasfe-tua”. Ovvero, non è possibile che in un contesto democratico, multiculturale e soprattutto laico, prima della costruzione delle immagini debba esistere l’occhio che le dovrà acquisire.  È ciò che hanno fatto intendere tutte quelle voci che tempestivamente, in leggerissima differita sugli eventi, hanno denunciato la “blasfemia iconografica” del tableau vivent (o mise en scène) di quel “cenacolo” composto da un’umanità colorata e vistosamente queer che ha fatto scattare la lettura “blasfema” nel controluce forzato con il Cenacolo leonardesco.

Il Cenacolo non centra (quasi) nulla

In pratica, secondo questa lettura censoria, qualunque immagine sia vagamente somigliante ad un’altra proveniente dal database cristologico o biblico, va denunciata come blasfema e come tale va attaccata. È una mostruosità. L’immaginario cattolico fagocita tutte le immagini “difformi” anche se queste si richiamano esplicitamente ad una iconografia, ancora più lontana, afferente la mitologia pagana. 
È così che Le Festin des dieux del pittore olandese del tardo Cinquecento Jan van Bijlert, che raffigura un banchetto degli dèi greci sull’Olimpo in occasione del matrimonio di Teti e Peleo, viene acquisita di default dall’occhio censorio cattomediatico come una forzatura queer dell’impianto iconografico dell’Ultima Cena di Leonardo. Che poi Leonardo stesso potesse essere l’àncora gay e persino l’alibi concettuale di questa operazione scenocoreografica di genere (o degenere, a seconda dei punti di vista), non è passato per la mente a nessuno dei lamentatori. 

Jan van Bijlert, Le Festin des dieux, 1635-40
Jan van Bijlert, Le Festin des dieux, 1635-40

Cenacolo e censura: i precedenti

A nulla servirebbe portare alla memoria dei censori che tutta la storia iconografica dei Cenacoli, nell’arte, è funestata da questo genere di accuse: da Jacopo Bassano che porta un cane alla mensa del Signore, a Paolo Veronese che vi conduce uomini dalla pelle nera, a Caravaggio che fa dei commensali poveri pescatori, precipitando fino a Pasolini del Vangelo e rovinando verso il Totò che visse due volte di Ciprì e Maresco, dove la cena si riduce a quattro crapuloni affamati che non hanno nemmeno voglia di aspettare Gesù per iniziare il pasto.

La suscettibilità cattolica

Intanto l’equivoco si è fatto strada e la strada alla fine si biforca  in altre due direzioni interlocutorie: cosa offende di più, veramente, quelli che si sono eretti a custodi dell’immagine e immaginario della fede?
(1) Che quel “Cenacolo” (nel quale non sono riusciti a leggere un baccanale degli dei) sia abitato da figure nate dal mondo queer, gay e trans.
(2) Che non sia stata scelta una iconografia canonicamente cristiana a presidio scenico di queste Olimpiadi nell’Europa che ‘deve’ riconoscere e non disperdere le proprie “radici cristiane”.
In entrambi i casi abbiamo il rifiuto di un immaginario laico e di pura costruzione fantastica (al di là della discutibile scelta estetica, su cui nessuno invece ha voglia di soffermarsi) e la pretesa di assoggettare l’immaginazione a puro e semplice servizio etico-visivo.
Morale: se l’occhio tuo ti reca molestia, strappalo e gettato via da te [Matteo 6,19-24].
Altrimenti: rafforza bene la tua vista e falla diventare stroboscopica, se vuoi veramente capirci qualcosa.

Alfonso Leto

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