Non si può dire che Dracula abbia fatto bene alla Romania. Non solo perché il suo castello non è un luogo meritevole di una visita, ma soprattutto perché il suo volto emaciato ha contaminato una delle città più interessanti della Transilvania: Sighisoara. Per fortuna questo interessante paese non è solo la terra dei vampiri, ma custodisce storie, popoli e identità intrecciate tra loro in maniera tale da necessitare tempo e attenzione per comprenderle tutte.
Il Castello Peles a nord di Bucarest
A questo proposito, non si può restare indifferenti davanti al fasto del Castello Peles, immerso nel verde profondo delle montagne che circondano Sinaia, a nord di Bucarest. Fatto costruire nel 1888 dal re Carol I di Romania, che apparteneva alla dinastia austriaca degli Hohenzollern, assomiglia ai castelli fatati di Ludwig di Baviera. Interamente rivestito da boiserie e arredato con mobili neorinascimentali di gusto tedesco, francese e italiano, è un luogo talmente assurdo da risultare incredibilmente fascinoso, con i suoi giardini a terrazze immersi nei boschi dei Carpazi. Tappeti orientali, vetrate svizzere, lampadari di Murano, tappezzerie in cuoio di Cordova, camini in marmo di Carrara: un buen retiro per Carol e sua moglie Elisabetta, poetessa e amante della musica. Non si può certo dire che sia questa l’identità della Romania.
La Romania secondo Van Eyck
Qui in Transilvania ci sono due Romanie. Una di cultura sassone, che ha dominato per secoli un popolo di contadini, ai quali non era permesso di godere dei fasti austroungarici. Lo si vede in uno degli angoli più intensi di Sighisoara, la Chiesa della Collina, costruita nel 1345 in stile tardo gotico e circondata dal cimitero, dove le tombe testimoniano la potenza del popolo sassone, una vera e propria enclave che guardava il popolino rumeno dall’alto. Alcuni sepolcri sono vasche di pietra, dove crescono piante diverse per ogni defunto, all’ombra di alberi secolari, dove si sente il respiro dei dominatori.
Lo sguardo assorto dell’Uomo con l’anello, dipinto intorno al 1430 dal pittore fiammingo Jan van Eyck, è reso nei minimi dettagli, così come i peli della barba che incorniciano il volto del personaggio, avvolto da un turbante blu. Un volto descritto in pochi centimetri quadrati, con una minuzia quasi fotografica: così si dipingeva nella terra di Fiandra, negli stessi anni nei quali il nostro Masaccio aveva riscoperto l’arte classica e terminato da poco la Cacciata dal Paradiso Terrestre (1428) affrescata nella cappella Brancacci, all’interno della chiesa del Carmine a Firenze.
Van Eyck al Palazzo Brukenthal
Quest’uomo dall’espressione pensosa è il primo ritratto dipinto ad olio da van Eyck, che ci ha lasciato una ventina di opere in tutto. Non si trova a Londra, Parigi o Madrid, ma a Sibiu, nel cuore della Transilvania, all’interno del palazzo Brukenthal, residenza del barone Samuel von Brukenthal, governatore della città alla fine del Settecento per conto dell’impero austroungarico e collezionista dal palato fine. Nelle sale del palazzo, distribuite su tre piani, fanno compagnia al ritratto di van Eyck capolavori di Tiziano, Hans Memling, Pieter Bruegel il Vecchio, oltre a preziosi e rari mobili e arredi di arte transilvana, che rendono il museo-oggi statale-più simile ad una dimora privata che a un museo pubblico. La città di Sibiu riserva altre sorprese agli appassionati d’arte. A poca distanza dalla piazza dove si affaccia il museo si staglia la Chiesa Evangelica, dalla tipica architettura tardo gotica. All’interno, oltre alle 60 pietre tombali dei notabili di Sibiu (nella chiesa è sepolto anche il nobile collezionista) il misterioso pittore sassone Johannes von Rosenau ha affrescato su una parete del coro una maestosa e drammatica Crocefissione (1445) , dove si notano elementi stilistici provenienti dalla cultura italiana e fiamminga, vicina a quella del nostro Antonello da Messina, del quale palazzo Brukenthal conserva una piccola ma squisita Crocefissione (1460 c.) , ambientata davanti al golfo di Messina, che il pittore descrive in una veduta così dettagliata da assomigliare alla ripresa di un drone.
Viaggio in Valacchia
E la Romania più autentica? Per trovarla bisogna spostarsi in Valacchia, nella valle dell’Olt, punteggiata da monasteri ortodossi da non perdere. Uno dei più straordinari si trova a Cozia, sulle rive del fiume, e conserva una serie di affreschi del Trecento, tra i più antichi di tutto il paese, mentre nel pavimento del pronao si trova la tomba del suo fondatore, il governatore della regione Mircea il Vecchio, che lo ha costruito nel 1386. Un altro capolavoro è il monastero di Horezu, patrimonio dell’Unesco, e non a caso: in un paesaggio collinare, tra boschi e campi, protetto da una cinta di mura si trova il complesso monastico, costruito nel 1697. Una bianca fortezza dalle linee purissime che custodisce al centro la chiesa, interamente rivestita di affreschi con scene religiose dal tipico stile bizantino, immutato nei secoli. Qui la messa è un evento di grande misticismo, con canti e rituali antichi e complessi, che nascono dal rapporto fisico che i fedeli hanno con le immagini religiose, accarezzate e baciate più volte.
La Cappadocia in Romania
Un pezzo di Cappadocia in Romania è il monastero Corvi di Pietra, nel cuore della Valacchia più remota: in mezzo di una campagna arcaica, tra case di legno e fienili, una parete di roccia nasconde un tesoro. Scavato nella roccia viva alla fine del Trecento, l’unico ambiente del monastero era interamente affrescato, ma l’umidità rende difficile oggi decifrare i contorni delle scene, mentre le immagini presenti sull’iconostasi sono rifatte nell’Ottocento. Una volta usciti fuori dalla grotta, il paesaggio bucolico si rivela in tutta la sua natura primigenia, nei sorrisi accoglienti delle donne, nel passo lento dei ragazzi e nei giochi dei bambini. In una piccola bottega nei pressi del monastero sono appesi alcuni maglioni fatti a mano, di una lana spessa e irsuta. La venditrice sorride e chiede una cifra in valuta locale corrispondente a 5 euro: dal suo gesto si capisce quanto l’Europa sia lontana da questo paese, al quale il morso di un vampiro leggendario ha fatto un pessimo servizio.
Ludovico Pratesi
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