Londra ha da sempre una sua peculiare estetica urbana scandita dal nero dei cabs e dal rosso dei double-deckers (le tradizionali cabine telefoniche ormai sono rare anche qui), che negli ultimi vent’anni si è arricchita di un landscape che, specie nella City e a Southwark, si è modulato con grattacieli di archistars, dal The Gherkin di Sir Norman Foster allo Shard di Renzo Piano, fino ai più recenti Fenchurch Street Building di Rafael Viñoly e One Park Drive di Herzog and De Meuron.
Nonostante la Brexit abbia portato a forti dazi sulle importazioni e allo spostamento di una parte dei marchi imprenditoriali sul continente, l’architettura e gli investimenti sull’estate continuano ad essere un baluardo, finanziario ed iconografico, della capitale britannica, come testimoniato anche dal RIBA Prize che ogni anno premia le migliori opere edificate nel Regno Unito e che per il 2024 ha visto trionfare ben 12 progetti sul suolo londinese.
I nuovi avamposti del design e dell’architettura
A trionfare su tutti due interventi di rinnovo a lungo attesi: l’apertura della nuova Elizabeth Line, progetto ibrido tra una metropolitana e una linea ferroviaria frutto di un team di architetti del calibro di Grimshaw, Maynard, Equation e Atkins e l’appena conclusa ristrutturazione firmata da WilkinsonEyre della vecchia centrale a carbone a sud del Tamigi, la Battersea Power Station. Nel primo caso si tratta della più grande infrastruttura di trasporto pubblico d’Europa e che, tra ritardi e polemiche, ha trasformato con efficienza e design futuristico il collegamento da Est a Ovest dell’immenso agglomerato urbano arrivando fino all’aeroporto di Heathrow, mentre per Battersea invece si tratta di un intervento in termini di masterplan cittadino. Seguendo infatti l’esempio della Tate, si è riconvertita l’iconica location celebrata anche nella copertina di Animals dei Pink Floyd in un grande polo di aggregazione che, seppur non dedicato all’arte ma al commercio e alla ristorazione di lusso, vede puntare tutto sulla riqualificazione delle docklands attraverso aree verdi e spazi condivisi da giovani e famiglie.
I grandi nomi dell’architettura londinese
Sempre sul filone di interventi sul trasporto pubblico, notevole la nuova entrata della stazione di King’s Cross che nel suo disegno a dime romboidali di John McAslan + Partners richiama la rete strutturale del Palazzetto dello sport creata da Pier Luigi Nervi per le Olimpiadi di Roma del 1960. Rimanendo in zona, si procede verso il complesso di Coal Drop Yards a firma di Thomas Heatherwick dove, tra gli edifici in bricks di Bagley walk che ospitano gli studi di Zaha Hadid e Tom Dixon, troneggia come un avveniristico totem urbano il Gasholder Park, trasformato in appartamenti di lusso da WilkinsonEyre. Il tutto circondato da gallerie e corti interne che ospitano i concerti gratuiti del festival Summer Sounds organizzato dal Ministero della Cultura. Ultima tappa, ma non per questo meno significativa, del filone di rinnovamenti ed investimenti è sicuramente il quartiere di Stratford che, dopo un temporaneo exploit per le Olimpiadi del 2012, è ora tornato in voga grazie al polo d’interesse e d’incontro che è diventato l’Aquatic Centre di Zaha Hadid, oggi piscina comunale nel mezzo del Queen Elisabeth Park e il padiglione di ACME studio che ospita anche un ristorante di Gordon Ramsay.
Luci e ombre della Londra brutalista
Ma non sono solo gli interventi contemporanei a definire lo skyline londinese: le opere di edilizia sociale degli Anni Sessanta e Settanta seguono un filone brutalista che ha avuto esiti diversi e un’evoluzione con luci e ombre. Se infatti si può parlare di un vero e proprio quartiere, con una sua logica di pianificazione e servizi, sia culturali che di puro entertainment, per quanto riguarda il celebrato Barbican Centre di Chamberlin, Powell e Bon, non altrettanto si può dire per altri iconici edifici come la Trellick Tower di Ernő Goldfinger non lontano da Nottingh Hill o Alexandra Road Estate di Neave Brown nei pressi di Camden Town. In entrambi i casi, quelle che erano promesse di edilizia popolare e che dovevano essere un buon esempio di sistemazione sociale e design moderno, sono rimasti interessanti luoghi di sperimentazione progettuale purtroppo oggi abbandonati a sé stessi come i nostri Corviale a Roma, Scampia a Napoli o lo Zen a Palermo.
Modernismo sulle rive del Tamigi
Sul versante modernista spiccano la tentacolare Westminster Underground che, con il suo groviglio di scale, piloni e balaustre aggettanti rievoca le incisioni delle Prigioni di quel genio di Giambattista Piranesi e il Buzz Bingo di Cecil A. Massey, probabilmente l’unico edificio in Art déco di tutta Londra.
Per gli appassionati invece vale la pena prenotarsi con anticipo per la 2 Willow Road a Hampstead, l’abitazione dell’architetto ungherese Ernő Goldfinger e oggi aperta al pubblico dagli eredi che, con il sostegno del National Trust, organizzano due volte la settimana dei tour per scoprire un piccolo gioiello di design ricco di libri d’epoca e opere di artisti come Delaunay e Marx Ernst collezionate dal padrone di casa.
Un’altra perla, a mezz’ora di treno dal centro, è la meravigliosa Dulwich Gallery, ospitata nel palazzo in puro stile Regency progettato dall’architetto John Soane per ospitare la collezione di Noel Desenfans. Prima raccolta privata del Regno Unito è imperdibile per gli amanti della pittura del Seicento e del Settecento inglese e fiammingo ed è circondato da un parco immerso nella tipica campagna British con le sue costruzioni neo palladiane.
Le storie degli italiani a Londra
Londra, poliglotta e multiculturale, continua ad attirare lavoratori e nuovi residenti, alcuni in attesa della cittadinanza, altri semplicemente con l’indefinite leave ottenuto dopo cinque anni. Impegnati per lo più nelle catene di ristorazione e nell’hosting, sono numerosi i connazionali, anche se non tanti come nel passato perché “dopo la Brexit si è chiusa la piscina…”, ci dice Andrea, che viene da Milano e lavora in un locale a Covent Garden.
Tra chi insegue la prospettiva di un riscatto c’è anche chi ce l’ha fatta come Fabio, trasferitosi da Bari dieci anni fa e che oggi è manager di una nota catena di food italiano. “Io non tornerei mai in Italia, mi sarebbe impossibile il tenore di vita che ho raggiunto qui, dove sono riuscito a comprarmi anche casa. Certo, le condizioni di lavoro sono cambiate: si fatica a trovare manodopera locale perché gli studenti hanno contratti part-time non superiori alle venti ore settimanali e alla fine ci si rivolge ai molti emigrati del Bangladesh o dell’India. I giovani londinesi che invece possono permetterselo vanno via con la scusa di masters in USA, Canada e Nuova Zelanda e finiscono col restare lì” ci confida mentre gestisce gli ordini al suo staff. O Salvatore che, abbandonando la professione familiare di orafo a Napoli è arrivato qui subito dopo la pandemia per imparare l’inglese e ora, chiedendo un prestito “arrivato il giorno dopo” a venticinque anni si è aperto la sua pizzeria a Peckham. “Ne sono orgoglioso: ho rischiato ma al tempo stesso non ho smesso di studiare perché vorrei investire ancora nel settore della ristorazione in cui noi italiani siamo visti come la punta di diamante”.
Un futuro incerto per la capitale inglese
Già, studiare. Chissà se continuerà ad essere così facile visto che il sistema universitario britannico ha ufficialmente dichiarato di essere in una situazione di deficit tale da prevedere entro i prossimi anni un radicale taglio alle grants per gli studenti, un aumento delle tuitions (simili alle nostre tasse annuali) e una sempre maggiore penetrazione di capitali privati per attività di business e promotion, almeno per le sedi più blasonate. Tale disagio, non solo economico ma anche sociale, è ben interpretato da un’offerta culturale che soprattutto per le istituzioni di fotografia sceglie di mettere in mostra alla White Chapel Gallery i collages politici sul disarmo e la guerra di Peter Kennard (Archive of Dissent) e alla Photographers Gallery il bellissimo e tragico lavoro di Ernest Cole House of Bondage sull’Apartheid a Johannesburg.
Varrà quindi la pena seguire nei prossimi anni le evoluzioni di una capitale in divenire ma che ha perso smalto in termini di avanguardia e non più così irraggiungibile come in passato, se non per poche sporadiche eccezioni come il fenomeno da record di Taylor Swift o gli investimenti che già piovono sul futuro Victoria and Albert East Museum la cui apertura è prevista nel 2025 a Stratford. Chissà se sarà un successo o un flop come il Louvre Abu Dhabi dei rivali francesi…. Good luck!
Francesca Pompei
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