La Disneyfication delle capitali della moda diventate parchi divertimento per turisti

La trasformazione urbana di Parigi, Milano, New York e Londra riduce la realtà a una serie di scenografie spettacolarizzate da consumare rapidamente, minacciando così l’autenticità più profonda. E i brand di moda diventano protagonisti delle città, attraendo turisti come i musei e i monumenti

Già nel 1994, lo scrittore francese François Maspero definiva Parigi come una realtà “disneyficata”, riferendosi al processo di riconfezionamento della città per attirare e intrattenere i turisti. I principali punti di riferimento, ricchi di musei e monumenti storici, stavano subendo una commercializzazione forzata che privilegiava il divertimento e il consumo a scapito dell’autenticità culturale. La Tour Eiffel, Montmartre e Notre-Dame apparivano più spettacolarizzati che mai, rendendo la capitale un locus del desiderio. Mentre i suoi cittadini venivano spinti verso la periferia, vittime di un un cambiamento demografico e sociale che, da lì a poco, sarebbe diventato sempre più marcato. 

La fiaba della rivoluzione urbana

Lo stravolgimento delle aree urbane è spesso guidato dalla volontà di marginalizzare elementi poco attraenti per i turisti, come la povertà, la decadenza e la complessità sociale, rendendoli più accattivanti sia esteticamente che commercialmente. Per questo motivo, le autorità locali e le organizzazioni turistiche hanno investito nella valorizzazione degli aspetti più pittoreschi e romantici, alimentando la narrazione di Parigi come la città dell’amore folle di Breton, dell’arte di Cézanne, della moda di Saint Laurent e della letteratura di Flaubert. Il desiderio di passeggiare lungo i viali che collegano Place Vendôme, Place de la Concorde e Rue Saint-Honoré, tra attrazioni illuminate, café letterari e negozi di lusso, accende l’immaginazione dei turisti ancora prima del loro arrivo nella Ville Lumière. Invece, le boutique di Chanel, Dior, Hermès e Louis Vuitton allestono facciate e vetrine come vere e proprie opere d’arte. 

Disney. Photo Loren Javier
Disney. Photo Loren Javier

La disneyfication delle città

Ogni dettaglio è studiato per catturare l’attenzione dei passanti, che seguono le tappe di un pellegrinaggio contemporaneo imperdibile. Concedersi una foto davanti a queste vetrine iconiche non è solo un momento di autocelebrazione, ma anche un atto vantaggioso per i brand. Da un lato, si alimenta il passaparola e le condivisioni social che mantengono vivo il discorso attorno ai marchi; dall’altro, si apre la possibilità che alcuni curiosi, inizialmente attratti dall’estetica e dall’aura di esclusività, si trasformino in clienti attivi. Questa sinergia tra shopping, immagine e social media crea una forma di pubblicità che si autoalimenta, con i consumatori che diventano ambasciatori involontari dei marchi contribuendo a rafforzare il fenomeno della disneyfication. I centri urbani diventano luoghi patinati e idealizzati, dove la realtà complessa e multiforme viene appiattita per risultare più commerciabile. Le vie dello shopping si trasformano in scenografie perfette, in cui la moda non è solo un motore economico, ma uno spettacolo a cielo aperto pensato per soddisfare le aspettative del turismo di massa e perpetuare la stessa immagine di città Londra, Milano e New York.

Le città sono diventate parchi a tema?

Quando la realtà viene idealizzata, edulcorata e ridotta a versioni più facili da consumare, le città si trasformano in veri e propri parchi a tema. Più che centri storici, diventano centri ricreativi, dove le attività suscitano emozioni basate su idee distorte del passato. Un capo d’abbigliamento a 3 euro, un giro sulla ruota panoramica, un tour su un bus a due piani, un negozio di souvenir ad ogni angolo: mentre i negozi e i bar tradizionali muoiono, le nuove attrazioni brillano. L’avvento dei social media gioca un ruolo importante in questo contesto, poiché ha innescato una lobotomizzata coscienza che spinge a credere che, se qualcosa non viene postato, allora non è mai esistito. Questa saturazione di desiderio commerciale strizza l’occhio ai numerosi luoghi da cartolina sparsi per la città: a Parigi è ormai scontato visitare l’appartamento di Coco Chanel al Ritz Hotel, bere un calice di champagne sulla Tour Eiffel, fotografare il Café de Flore della serie TV Emily in Paris, sostare davanti al grande hotel in costruzione di Louis Vuitton, o cenare sulla Senna a bordo di un battello illuminato.

Louis Vuitton, New York
Louis Vuitton, New York

Londra e New York: due parchi divertimento simili

Lo stesso stuolo infinito di attività ricreative si ripete a Milano e New York, che si piegano al desiderio dei turisti di vivere una versione semplificata e quasi cinematografica delle città, appiattendo la complessità e la ricchezza storica a favore di una narrativa commerciale facilmente digeribile. Nella grande mela, ad esempio, i turisti possono provare i set fotografici sul ponte di Brooklyn, fare un giro in carrozza o su tuk tuk illuminati, assaggiare la famosa colazione da Tiffany, scovare murales e space invaders negli angoli più nascosti, o ammirare la città dall’alto in elicottero. Ne consegue che il tempo libero ha un prezzo, non è più gratuito come un tempo. La disneyficazione si rivela la più pura rappresentazione dell’ultra-capitalismo, che influenza esteticamente e commercialmente la pianificazione urbana, generando processi che alterano l’essenza di una città. È una massificazione che distrugge la ricchezza e la varietà urbana, standardizzandola in un prodotto consumabile e distaccato dalla realtà. 
Nel 2004, Christopher Breward, direttore di musei, studiò la produzione e il consumo di abiti per analizzare la trasformazione dei luoghi simbolo di Londra. Scoprì che Camden Town, quartiere innovativo e audace fin dalla metà degli anni Ottanta, era ormai diventato un terreno di caccia per i turisti. Ogni angolo di Camden Town aveva perso il suo significato, allontanando non solo chi era costretto a lasciare la propria casa a causa dei nuovi standard qualitativi, ma anche le sottoculture che avevano contribuito a renderlo unico. Questa perdita di genuinità ha, nel lungo periodo, favorito l’affermazione di un’omogeneità degli spazi urbani, un fenomeno che oggi si comincia a riscontrare anche in alcune aree di altre città di moda in crescita, come Copenaghen, Lisbona, Shanghai e Berlino. Se le città attraggono le persone per i piaceri che offrono, iniziative come pop-up store, tour privati, eventi esclusivi, red carpet, fashion week, design week e fiere di settore consolidano il loro status di mete glamour globali da visitare almeno una volta nella vita. Tuttavia, resta da interrogarsi se questa frenesia di eventi e consumi possa realmente valorizzare la cultura locale, o se, al contrario, possa contribuire a un’ulteriore omologazione delle identità urbane.

Se tutto diventa americano?

Quando la Walt Disney Company cercò di espandere il proprio business negli anni Cinquanta,  innescò inconsapevolmente un cambiamento significativo nella cultura popolare. Il sogno americano giustificava il processo di disneyficazione che molte città aspiravano a realizzare. La diffusione di film, cartoni animati, storie di successo e canzoni attirava l’attenzione di realtà internazionali che non avevano mai conosciuto una tale spettacolarizzazione. I parchi a tema Disney erano concepiti per accogliere i visitatori in uno spazio confortevole, divertente e sicuro, offrendo loro un’evasione rassicurante dalla difficile quotidianità. Qui, ogni minimo elemento distopico o dannoso veniva eliminato per farne il posto più felice sulla terra. Non si trattava solo di una filosofia di vita, ma di un progetto urbanistico ben definito: tra fantasia e magia, le scale mobili agevolavano la mobilità, i parcheggi facilitavano l’accesso al parco, le luci mettevano in risalto gli spazi più importanti, la varietà dei punti di ristoro invitava a scoprire piatti multiculturali in modo semplice, la musica creava un’atmosfera incantevole, e l’architettura coinvolgeva i visitatori. Quando questo stereotipo festoso ha varcato i confini del mondo fiabesco, gli spazi reali, come le città urbane, hanno subìto una trasformazione radicale. 

La disneyfication e il futuro delle grandi città 

Lo spirito dell’americanizzazione ha cominciato ad aleggiare su ogni cosa, cercando di renderla più grande, più spettacolare e più divertente che mai. Ma se lo stesso approccio viene applicato a tutte le città, si corre il rischio di un’omologazione asettica priva di significato. Un esempio simile è rappresentato da “Vogue World”, evento nato nel 2022 dalla mente creativa di Anna Wintour e il supporto di Condé Nast per mettere in luce il potenziale artistico dell’industria della moda. New York è stata la prima città ad ospitarlo, seguita da Londra l’anno scorso e da Parigi quest’estate. La formula è sempre la stessa: una sperimentazione di talenti noti al grande pubblico che si traduce in uno spettacolo pop a stelle e strisce, arricchito da stand di hot-dog caldi ed esibizioni equestri. Vogue World, proprio come il Walt Disney World, si diffonde così nelle città occidentali. Mentre ci si interroga sulle conseguenze potenzialmente fatali per l’identità delle città, gli stereotipi anonimi continuano a diffondersi, in nome di un divertimento sfrontato che esclude ogni sfumatura genuina. Italo Calvino, ne Le Città Invisibili, descriveva come lo smantellamento dei centri urbani, con la rimozione di edifici, giardini, attività e scuole, consegnasse le città nelle mani di acrobati e maghi, rendendole vivaci ma artificiali: “Un incubo dal quale sperare di svegliarsi, per ritrovare le città com’erano prima che Walt Disney le cambiasse per sempre”. Dopotutto, anche la carrozza di Cenerentola si trasformò in zucca. 

Marta Melini

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Marta Melini

Marta Melini

Nata e cresciuta in provincia di Bologna, ma da sempre in viaggio per l’Italia. Dopo gli studi in Design e Ingegneria Industriale al Politecnico di Valencia, è tornata in Italia dove ha conseguito prima la laurea magistrale in Fashion Studies…

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