A novembre 2024 il MEG – Musée d’ethnographie de Genève – riapre le porte della sua collezione permanente. La riapertura introduce due nuovi percorsi di visita, un prologo inedito e la sostituzione di circa un terzo della collezione permanente per ragioni di conservazione. Soprattutto, segna il punto di arrivo di un ripensamento strutturale che intende riposizionare il museo nel contesto socioculturale contemporaneo, fra richieste di restituzione ed un profondo bisogno di decolonizzazione museale.
Una questione di identità: la riapertura del MEG di Ginevra
Ad accogliere il visitatore sono i protagonisti di Encounters, la mostra-prologo che si fa portavoce di questo processo di rinnovamento. Sei doppi videoschermi creano uno spazio-dialogo per altrettanti incontri fra pubblico, oggetti e persone che li hanno selezionati. “Abbiamo chiesto a dodici individui appartenenti alle source communities di raccontarci la loro storia attraverso un oggetto della collezione”, spiega Roberta Colombo, che di formazione è antropologa ed ha curato la mostra. “Volevamo dare spazio a storie individuali, così da riconoscere il ruolo delle emozioni all’interno della collezione”, aggiunge. “L’idea è quella di evidenziare l’agentività dei popoli tramite gli oggetti”.
Gli artisti della mostra “Encounters” a Ginevra
Ed effettivamente nel modo in cui i protagonisti di Encounters interagiscono con questi oggetti si apre una finestra che riattiva significati sopiti dal lungo anonimato forzato di una teca museale. “Ha bisogno di respirare”, spiega l’artista surinamese Deneth Piumaski Veda Arachchige, riferendosi ad una bellissima maschera Nāga-Kanyā (XX Secolo). “Quando la indosso, sento di starle dando un’altra vita, […] ricordandole chi è stata tanto tempo fa”. Se nel museo questi oggetti si sono “disattivati”, per usare le parole di Kanyana Mutombo (altro protagonista di Encounters), attraverso il contatto – fisico e spirituale – con chi ne condivide la matrice culturale, sembrano risvegliarsi da un lungo sonno. La mostra pone così le condizioni per un dialogo autentico fra pubblico e collezione.
La riflessione sulla fotografia del MEG di Ginevra
Anche il ruolo delle immagini, ed in particolare della fotografia come strumento antropologico, viene messo in discussione, ed Encounters restituisce ai partecipanti l’autonomia di scegliere come venir rappresentati. “Chuu Wai [artista e attivista birmana in esilio, n.d.r.], ad esempio, ha scelto di indossare un costume tradizionale birmano di epoca precoloniale. Per le foto, ha voluto dipingersi una poesia sul volto. E allora siamo usciti dal museo e abbiamo cercato un eyeliner che non “sbavasse”!”, racconta Colombo. C’è anche chi ha deciso di raccontare un oggetto senza mostrarlo: è il caso di Amel Merabet, figlia di genitori algerini, che descrive una foto di inizio secolo di una donna nordafricana. “Questa foto è violenta”, denuncia Amel, “mostra il corpo di una donna che è stata dominata, razzializzata ed esibita davanti a tutto e tutti. […] In queste foto, alle persone non è mai stato chiesto se volessero dare il proprio consenso a prendervi parte”.
Il Museo Etnografico di Ginevra e il tema della restituzione
Con il moltiplicarsi delle discussioni sulla restituzione dei beni coloniali da parte dei musei di tutto il mondo, viene da chiedersi cosa ne pensino al MEG. Colombo scrolla le spalle. “Non temo che il museo si svuoti”, chiarisce. “Quando veniamo contattati da richieste di informazioni, invitiamo chi ci scrive a visitare i loro oggetti. Noi ne siamo custodi, e per questo abbiamo un’importantissima responsabilità”. Il percorso “Dialoghi”, che attraversa la mostra permanente, parla proprio di questo, segnando l’assenza di oggetti già restituiti, indicandone altri attualmente oggetto di negoziati, e, infine, evidenziando quelli esposti con il beneplacito della source community.
Il futuro del MEG di Ginevra
La recentissima riapertura della collezione permanente del MEG segna il punto di arrivo del piano strategico 2020-2024. Nell’agosto 2026 una nuova mostra-prologo (su cui non ci sono state date anticipazioni) prenderà il posto di Encounters; una riorganizzazione generale è poi prevista per il 2028. Ma cosa è cambiato dall’apertura del museo nel lontano 2014? “Dieci anni fa, dovevamo dimostrare alla città di Ginevra la ricchezza della nostra collezione, per “giustificare” la nostra esistenza. Oggi invece dobbiamo mostrare che siamo aperti al dialogo, comunicando le scelte e le attività intraprese”, riflette Colombo. E forse è proprio questa la strada per navigare la crisi di legittimità che ha colpito i musei di tutto il mondo: riappropriarsi di uno spazio pedagogico e di dialogo che restituisca al visitatore un’esperienza di autentica scoperta.
Livia Solaro
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