Vedere Città del Messico. I musei, i siti archeologici e le esperienze culinarie must

Dal colossale Museo di Antropologia ai centri di arte contemporanea e archeologici, passando per le esperienze culinarie più interessanti, ecco cosa fare nella capitale messicana

Per capire quanto sia “trendy” Città del Messico basta guardare alla più recente cinematografia. È la sua ricostruzione (in realtà effettuata in Sicilia) il punto di partenza di Queer di Guadagnino, ed è al centro di Elena Pérez di Jacques Audiard e del celeberrimo Roma di Alfonso Cuarón che prende il nome proprio da uno dei quartieri centrali della capitale messicana. Con oltre 21 milioni di abitanti a 2.280 metri di altezza, nonostante l’inquinamento pervicace questo immenso aggregato urbano è diventato negli Anni ‘20 del XXI Secolo un polo di attrazione internazionale. Attrazione che si riduce a pochi quartieri di lusso: Polanco, Zona Rosa, Condesa, e appunto Roma e Roma Norte. Un’isola privilegiata frequentata dai turisti di ogni nazionalità, assediata da un oceano di quartieri poveri e poverissimi che si estendono per centinaia di chilometri quadrati. Nonostante l’evidente asimmetria sociale in un Paese tra i più asimmetrici dell’America – con ampi territori controllati dai cartelli della droga – Città del Messico è il centro industriale e commerciale, e qui hanno sede le principali attività culturali di tutto il Paese.

Il Museo Nazionale di Antropologia

Il copricapo di Montezuma (XVI Secolo) al Museo Nacional de Antropologia
Il copricapo di Montezuma (XVI Secolo) al Museo Nacional de Antropologia

Situato nella centralissima Polanco, il museo si estende su un’area vastissima: 80 mila metri quadrati di cui 44 mila coperti.  Inaugurato nel 1964 è questo a tutti gli effetti il primo museo della nazione. La disposizione dei reperti all’interno delle sue venti sale, le luci e la cartellonistica non sono perfette, ma si tratta considerazioni irrilevanti rispetto alla necessità di visitarlo: qui si trova la maggiore collezione del mondo di manufatti provenienti dalle culture Maya, Azteca, Olmeca, Teotihuacana, Tolteca, Zapoteca e Mixteca. Tutto pare congelato all’attimo prima dell’arrivo di Hernan Cortéz a Cozumel. Il museo è dichiaratamente dedicato alle civiltà precolombiane, e su questa traccia si alternano esposizioni temporanee per lo più costruite sulla base della collezione permanente.

Museo Tamayo di Arte contemporanea e David Medella

La facciata del Museo Tamayo nel quartiere di Polanco
La facciata del Museo Tamayo nel quartiere di Polanco

Progettato da Teodoro González de León e Abraham Zabludovsky, che hanno tratto ispirazione dall’architettura preispanica, anche il Tamayo è situato nel centro di Città del Messico, poco distante dal Museo di Antropologia. Inaugurato nel 1982, è forse il riferimento più importante per l’arte contemporanea dell’intero Paese. La collezione permanente ospita un migliaio di opere di respiro internazionale, ma è l’attività espositiva temporanea a essere particolarmente stimolante: il museo  offre uno spazio per il pensiero critico dove, attraverso l’arte, si provano a immaginare nuove possibili risposte alle sfide del contemporaneo. Aperta fino al 30 marzo, In Conversation with the Cosmos è la prima indagine completa dedicata all’artista filippino David Medalla (1938-2020): la mostra contestualizza la pratica sperimentale di un artista il cui lavoro ha abbracciato movimenti artistici cinetici, performativi e partecipativi. La vita e il lavoro di Medalla hanno coltivato forme intime di scambio tra collaboratori, amici e amanti al servizio di “propulsioni cosmiche”, e proposte “ultraterrene”. L’esposizione inizia con dipinti e disegni della fine degli Anni ’50 e si conclude con le opere prodotte prima della sua morte. A sostenere il tutto, il contributo della Fondazione Andy Wharol.

Quintonil. La visione del cactus nell’alta cucina messicana

Una tra le dieci portate proposte da Jorge Vallejo lo chef del Quintonil nel quar;ere di Polanco
Una tra le dieci portate proposte da Jorge Vallejo lo chef del Quintonil nel quar;ere di Polanco

Si tratta di un ristorante stellato – e in quanto tale decisamente costoso –  da tenere in considerazione per l’esperienza che propone, perfettamente accordata con l’aspetto visivo di questo Paese. La bandiera messicana è uno stendardo verde-bianco-rosso esattamente come quella italiana, ma il verde qui ha avere una tonalità più pallida: è quella del cactus di forma colonnare conosciuto come Pachycereus pringle e diffuso ovunque in Messico. La proposta di Quintonil comprende esclusivamente due menu  fissi, uno stagionale e uno classico (in realtà di poco differenti), comprendenti 10 piccole portate ognuna introdotta dal personale di sala, che spiega che cosa state guardando prima di iniziare ad assaggiarlo. Un accordo di sapori “sorprendenti”tra spezie, frutti, insetti, fagioli, cactus, carni succose, un intero mondo di peperoncini che variano da un piccante delicato al piccantissimo, miele liquido di melipona (ottenuto da api senza pungiglione), mescal, preparazioni con ananas fermentato, eccezionali frutti di mare del nord e ricche tecniche maya dal sud. I piatti dello chef  Jorge Vallejo sono la dimostrazione di quanto possa arrivare in alto la cucina messicana, per lo più conosciuta invece per il suo cibo di strada fatto diquesadillas, tacos e nachos. Da Quintonil a fine cena resta la suggestione di avere assaggiato ogni variazione possibile di un unico gusto antico e magico, quello del Pachycereus pringle, che ci accompagna dovunque.

Il sito di Teotihuacan

Il sito di Teotihuacan
Il sito di Teotihuacan

Nessuno ancora sa con precisone quale sia il popolo (coevo all’Impero romano) che ha dato origine a questo miracolo architettonico, il luogo più visitato dell’intero Messico. Più frequentato di qualsiasi piramide azteca, più di qualsiasi sito Maja, Teotihuacan si raggiunge facilmente con 40 minuti di auto dal centro e – onestamente – non si può dire di aver visto Città del Messico senza aver passato almeno qualche ora in questo luogo. Occorre però rassegnarsi alle migliaia di turisti che l’assediano. Il consiglio è quello di non accedere dalla porta numero 1 ma direttamente dall’accesso 5 (situato più o meno a metà percorso) e da lì scegliere quanto tempo dedicare alla visita. Per vedere tutto occorre salire e scendere un’infinità di gradini spostandosi lungo i quattro km dell’Avenida de los muertos, l’arteria principale: gli aztechi credevano che i cumuli che la costeggiano a destra e a sinistra fossero monumenti funerari. Sbagliavano: si tratta di piramidi a gradoni alla cui sommità sorgevano templi orientati secondo mappe celesti e dedicati a divinità di vario genere. Gli scavi, iniziati nel 1905 e mai completati, hanno poi rivelato un formidabile complesso residenziale capace di contenere sino a 125.000 persone, e che prevedeva un centro con grandi abitazioni singole e condomini periferici. A cosa attribuire la scomparsa di tanta grandezza? Le ipotesi più recenti parlano di siccità, con conseguente scarsità di cibo e una insurrezione delle periferie contro i confronti dei privilegiati del centro.

Headquarter. La moda di ricerca e la débâcle del folclore

Un’ immagine tratta dal sito della boutique Headquarter a Roma Norte
Un’ immagine tratta dal sito della boutique Headquarter a Roma Norte

Le vie dello shopping di Città del Messico sono ovviamente quelle dei quartieri del centro. L’Apple store anche qui, come sempre e ovunque è, gigantesco. I brand di moda? A dire il vero sotto il sole messicano fanno l’effetto di surgelati in frigorifero, ma ci sono tutti, Louis Vuitton, Gucci, Prada, Monclaire, Dolce&Gabbana sino a Burberry, Fendi,  Pucci, Armani  e Zegna, senza eccezione. Per gli specialisti del settore, una visita al Palacio de Hierro – il dep store di punta della città – può dare un‘idea di come vengano adattate le proposte dei maggiori brand mondiali al “gusto” messicano. Un indirizzo interessante e un po’ meno scontato è quello di Headquarter in Colima 244 nel quartiere di Roma Norte, con qualche fan del tatuaggio e della cultura skate sempre appostato. A partire dalle sneaker più ricercate e co-ed, dai profumi di Comme des Garçons o dagli ensemble del brand coreano Ader, lo spazio che si sviluppa su due piani offre un’idea del livello di cui è capace Città del Messico nel fashion di ricerca. Un ultimo avvertimento: se cercate manufatti vicino al folclore locale li trovate sulle bancarelle che fioriscono ovunque ci sia passaggio turistico come sulle piattaforme web più note, e ad autenticità non c’è da farci affidamento.

Il museo di Frida Khalo e Coyoacán

Le mura azzurre del Museo Frida Khalo a Coyoacán
Le mura azzurre del Museo Frida Khalo a Coyoacán

Perché citare qui uno tra gli immancabili topic da guida turistica? Soprattutto per il luogo dove sorge. Aperta al pubblico nel 1958 per volontà del marito Diego Rivera, la Casa Azul raccoglie le più importanti opere di Frida Khalo, ovviamente del marito e artista Rivera, poi di José María Velasco, Paul Klee ma pure qualche pezzo di Marcel Duchamp e Yves Tanguy. Ma una vista qui significa soprattutto inoltrarsi a Coyoacán, antico villaggio preispanico fondato nel XIV Secolo dove, nel XVI Secolo, Hernan Cortés stabilisce il suo quartier generale. Oggi l’originale città coloniale, un tempo autonoma, è stata inghiottita dalla disordinata espansione urbana cresciuta senza piano regolatore. Non ci sono molte altre occasioni “sicure” per percorrere i quartieri periferici di Città del Messico “liberamente”, da turisti con il naso per aria. A Coyoacán oltre al Museo Frida Kahlo c’è quello dedicato a León Trotsky,  un bar bohémien, e l’Università nazionale autonoma del Messico, e c’è pure l’Azteca, il principale stadio calcistico della nazione.

Aldo Premoli

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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