Dall’alter ego macchinico dell’artista Harold Cohen alle poesie digitali di Eduardo Kac, sono decine gli artisti che, dal dopoguerra agli albori dell’era di Internet, hanno utilizzato la tecnologia come linguaggio creativo, trasformando strumenti spesso destinati al militare o al mondo industriale in mezzi per estendere i sensi e immaginare nuovi orizzonti creativi. Con più di 150 opere, molte mai esposte nel Regno Unito, Electric Dreams – il titolo tratto dalla nota serie tv antologica basata sui racconti di Philip K. Dick – alla Tate Modern di Londra – visitabile fino al primo giugno 2025 – promette un viaggio nell’arte tecnologica “vintage”. Dalle installazioni psichedeliche ai primi esperimenti con computer domestici e sintetizzatori video, la retrospettiva è un’occasione rara per vivere il futuro che i pionieri dell’arte avevano già immaginato.
Electric Dreams: l’arte tecnologica prima del digitale
Tra i protagonisti spicca il giapponese Atsuko Tanaka, con la sua iconica Electric Dress del 1957 e i disegni che richiamano circuiti elettrici. Otto Piene incanta i visitatori con il suo Light Room (Jena), un “balletto” continuo di luci, mentre Carlos Cruz-Diez sfida la percezione con il suo ambiente cromointerferente, una rete di linee colorate in movimento. L’arte si fa esperienza sensoriale anche con le sperimentazioni degli anni Sessanta e Settanta, come Dreamachine di Brion Gysin, una macchina che induce stati onirici, e Lattice B di Tatsuo Miyajima, una parete di LED pulsanti che riflette sul concetto di tempo.
La mostra alla Tate Modern
Dal Gruppo ZERO, fondato da Heinz Mack e Otto Piene in Germania negli anni Cinquanta, alle mostre New Tendencies che fecero di Zagabria un centro nevralgico dell’arte cinetica e digitale nel corso del decennio successivo, ogni sala del percorso espositivo riporta alla luce un pezzo di storia. Non manca l’Arte Programmata italiana, con Marina Apollonio e Grazia Varisco che esplorano le illusioni ottiche attraverso strutture geometriche. E ancora, i video sintetizzatori di Nam June Paik e le indagini creative di Sonia Landy Sheridan con fotocopiatrici e computer grafica dimostrano che l’arte tecnologica è anche sperimentazione autonoma e audace.
La mostra Electric Dreams a Londra
Il cerchio si chiude guardando al futuro che questi artisti avevano già intravisto. Tra tutti, già negli Anni Ottanta Rebecca Allen ha spinto i confini del motion capture e del 3D, mentre Eduardo Kac ha anticipato la rete con le sue poesie digitali su Minitel. Samia Halaby, pioniera palestinese, ha creato pitture cinetiche programmando su un Amiga 1000, e Suzanne Treister ha immaginato il mondo dei videogiochi con le sue Fictional Videogame Stills. Il gran finale spetta ai primi esperimenti di realtà virtuale, come Liquid Views di Monika Fleischmann e Wolfgang Strauss, che trasforma lo schermo in una “pozza d’acqua” interattiva, o il mondo mistico simulato da Lawrence Paul Yuxweluptun.
Laura Cocciolillo
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