Cosa c’entra il crollo dei Democratici in USA con Hollywood e il cinema?

Il nuovo mandato di Trump segna la fine del controllo sull’immaginario occidentale da parte della sinistra americana. Una influenza che prima era veicolata da un cinema che oggi ha perso la capacità di parlare a tutti

C’è una coincidenza inquietante, ma tutt’altro che casuale, tra la crisi del Partito Democratico negli Stati Uniti e il tracollo creativo di Hollywood e della Disney: entrambe le istituzioni, che per decenni hanno plasmato l’immaginario collettivo occidentale, sembrano aver smarrito la capacità di parlare al cuore dell’America. L’adozione aggressiva di una narrativa woke, superficiale e spesso predicatoria, ha non solo alienato una parte significativa del pubblico ma ha anche svuotato di senso quella macchina mitopoietica che per anni aveva venduto sogni, speranze e ideali a tutto l’Occidente.

Hollywood e Disney: l’America che sapeva parlare a tutti

Hollywood, un tempo simbolo del sogno americano, ha saputo raccontare storie che parlavano a tutti: operai e intellettuali, democratici e repubblicani, bianchi e neri – Casablanca (1942), La vita è meravigliosa (1946), Rocky (1976), Tutti gli uomini del presidente (1976), L’attimo fuggente (1989), Schindler’s List (1993), Forrest Gump (1994), tra i tanti. Era l’epoca dei film che affrontavano i dilemmi morali dell’individuo contro il sistema, delle narrazioni epiche che riflettevano le paure e le speranze di un’intera nazione. La Disney, dal canto suo, era la fabbrica dei grandi blockbuster, dei sogni per eccellenza: le sue storie semplici ma potenti offrivano un rifugio dal cinismo del mondo reale, costruendo una mitologia condivisa fatta di principi universali e avventure senza tempo.

Il crollo del sogno americano

Ma qualcosa si è rotto. Negli ultimi anni, Hollywood ha progressivamente abbandonato la complessità morale e narrativa che l’aveva resa grande – vedere Five came back, 2017 – per adottare in modo ossessivo un’agenda identitaria e woke che, lungi dall’includere, ha finito per escludere. Le storie sono diventate didascaliche, i personaggi semplici stereotipi al servizio di messaggi politici sempre più prevedibili. La Disney, nel tentativo disperato di mostrarsi al passo con i tempi, ha riscritto i suoi classici e prodotto film animati infarciti di lezioni morali che sembrano più destinate a compiacere le élite liberal della California che le famiglie del Midwest.  Questa deriva non ha solo stancato il pubblico, ma ha anche privato la sinistra americana di uno dei suoi strumenti più potenti: la capacità di controllare l’immaginario collettivo attraverso narrazioni complesse e universali. Gli spettatori, stanchi di essere trattati come studenti indisciplinati da rieducare, hanno semplicemente smesso di ascoltare.

Donald Trump e Melania alla cerimonia di insediamento alla Casa Bianca
Donald Trump e Melania alla cerimonia di insediamento alla Casa Bianca

Il riflesso politico: l’erosione dei democratici nell’America profonda

In politica, lo stesso schema si è ripetuto. Il Partito Democratico, sempre più percepito come l’espressione delle élite urbane e universitarie, ha adottato un linguaggio identitario altrettanto alienante. Le campagne elettorali si sono riempite di parole d’ordine sulle microaggressioni, sui safe spaces e su una versione semplificata della giustizia sociale che parlava molto agli attivisti di Twitter ma poco ai lavoratori disoccupati dell’Ohio o della Pennsylvania. La mancanza di una narrazione convincente che affrontasse le ansie economiche e culturali dell’America profonda ha lasciato campo libero ai Repubblicani, capaci di raccogliere il malcontento popolare con un linguaggio diretto, talvolta brutale, ma immediatamente comprensibile. Il vuoto lasciato dai Democratici è stato riempito da una retorica che, pur nelle sue contraddizioni, sembrava rispondere alle paure reali di milioni di elettori.

Narrazione cinematografica e politica non sono poi così distanti

La narrazione è il collante di una società, il mezzo attraverso cui le persone danno senso alla realtà e costruiscono una visione condivisa del mondo. Un immaginario comune non si fonda su semplici slogan, ma su storie capaci di trasmettere emozioni profonde e valori universali. Le grandi narrazioni non si limitano a intrattenere, ma contribuiscono a formare identità, a generare un senso di appartenenza e a offrire un quadro di riferimento per interpretare il presente e immaginare il futuro. Tuttavia, l’intento di includere e dare voce a diverse prospettive, si è progressivamente ripiegato su se stesso, producendo frammentazione anziché coesione e aumentando l’incoerenza del messaggio, finendo per allontanare il pubblico anziché unirlo. L’erosione dell’immaginario comune avviene quando le narrazioni smettono di essere inclusive e diventano strumenti di divisione. Se Hollywood e la politica vogliono riguadagnare la fiducia del pubblico, devono riscoprire il potere della narrazione autentica, quella che parla a tutti senza paternalismi o secondi fini ideologici. Solo attraverso storie genuine, capaci di riflettere le esperienze reali delle persone, si potrà ricostruire un immaginario collettivo in cui tutti possano riconoscersi.

Hollywood e i democratici: un patto infranto

Il collasso simultaneo dei Democratici e di Hollywood non è una semplice coincidenza, ma il riflesso di un patto infranto: quello con il pubblico, con l’elettorato, con la gente comune. Entrambe le istituzioni sembrano aver dimenticato che il potere delle storie non risiede nella loro capacità di educare, ma in quella di coinvolgere, emozionare e far riflettere senza paternalismi. Quando l’immaginario collettivo smette di essere terreno comune e diventa strumento di divisione, il risultato è un’inevitabile perdita di influenza e credibilità.
La crisi di Hollywood e Disney non è solo la crisi di un’industria, ma la spia di un fenomeno più profondo: la fine del monopolio della sinistra liberal sull’immaginario occidentale. E finché non verrà ristabilita una narrazione autentica, capace di parlare a tutti senza predicare, il crollo dei Democratici continuerà inesorabile.

Francesco Monico

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Francesco Monico

Francesco Monico

Francesco Monico (1968), ha diretto facoltà, programmi dottorali e accademie di Belle Arti, contribuendo a innovare il panorama educativo italiano e ad aprire nuove prospettive nel rapporto tra educazione, arte e tecnica. La sua ricerca esplora l’evoluzione dell'immaginario nell’era digitale,…

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