Senza più stagioni. Come sta cambiando la poesia giapponese haiku per via della crisi climatica
Il mutare del clima sta alterando il rapporto, strettissimo in questi componimenti, tra mondo naturale e spiritualità, rompendo secolari legami associativi che danno potere a questi versi. Ma c'è una speranza: che gli haiku rimangano uno strumento per focalizzare l'attenzione sull'ambiente e combattere l'eco-ansia

Chiunque sia stato in Giappone per un periodo di tempo un po’ più lungo, e più rilassato, delle settimane turistiche tour-de-force, avrà avuto modo di notare quanto sia forte nella popolazione generale la consapevolezza del passare delle stagioni, e con che sacrale ritualità questa scansione si manifesti nella vita di tutti i giorni, dalla cucina al guardaroba alle processioni religiose. E lo fa dai piccoli villaggi di campagna ai luoghi apparentemente più antropizzati, come la capitale, “una città in cui i ritmi frenetici del lavoro e del commercio si alternano a quelli cadenzati delle stagioni e delle festività”, ricorda Laura Imai Messina in Tokyo tutto l’anno, “dove il rito ha un’importanza fondamentale perché è il calendario, con le sue feste e la sua memoria, a regolare la vita dei suoi abitanti”. Un rapporto ancora, e nonostante tutto, simbiotico, che con il rapido e incontrollato mutare del clima rischia di cambiare per sempre, lasciandosi alle spalle diversi aspetti cruciali della cultura locale. In primis, l’haiku.

La tradizione degli haiku
L’haiku è un componimento poetico giapponese che nacque e si sviluppò da un punto di vista tematico e formale nel periodo Edo (1603-1868). Utilizzato per descrivere la natura e gli accadimenti umani collegati a essa, è stato normato da numerosi grandi poeti, in primis il maestro Matsuo Bashō – pseudonimo di Matsuo Munefusa, il figlio di un samurai che sollevò l’haiku da un verso “volgare” a una forma compiuta e intrisa dello spirito del buddismo zen – ma anche Kobayashi Issa, Yosa Buson e Masaoka Shiki (cui è attribuito il nome stesso dell’haiku).
Nella sua forma originale, non più rigidamente seguita, ogni haiku dovrebbe comprendere tre versi di cinque, sette e cinque sillabe e includere un kireji, una “parola tagliente” che dia contrasto al verso e, soprattutto, un kigo, cioè un riferimento stagionale. Questo elemento, che può riferirsi a una pianta o animale, al cielo o alle festività, punta a suscitare nel lettore tutta una serie di emozioni collegate a quel medesimo periodo stagionale, in una catena di pensieri che procede per associazione. Sono queste associazioni – a loro volta normate, per cui a determinate parole per indicare una stagione sono accostati determinati stati d’animo – a “finire il poema”, che lascia quello “spazio vuoto” alla fine proprio per permettere una compenetrazione con i pensieri e le sensazione di chi legge.
Il futuro degli haiku con l’aggravarsi delle conseguenze date dal cambiamento climatico
Ecco che, con il cambiare del clima, molte associazioni secolari non hanno più senso (come quella tra zanzare ed estate, o il fiorire dei ciliegi che si sposta da aprile a marzo), e quindi i rispettivi kigo cadono in disuso. “La crisi climatica sta creando scompiglio nel Saijiki, l'”almanacco annuale” di migliaia di parole stagionali ampiamente riconosciute come accettabili per l’inclusione nell’haiku”, riportava nel 2023 il corrispondente Justin McCurry sul Guardian. Un disallineamento radicale, che priva queste poesie di gran parte del loro potere evocativo e crea una rottura con la storia stessa di un popolo e il suo sentire. Un sentire che, come dicevamo, è ancora forte, anche grazie a interventi come la serie di tavolette di legno poste lungo il fiume Sendaibori, a Tokyo, con incisi i versi di Bashō, a segnare l’inizio del suo lungo peregrinare.
Le opzioni, per questi poeti, sono allora due: “Lo scrittore di haiku può o abbandonare gli attrezzi per disperazione o semplicemente adattarsi”, diceva al Guardian il direttore della Haiku International Association, Toshio Kimura. Secondo lui, quest’ultima e più speranzosa opzione è nella stessa natura della poesia, perché “lo scopo dell’haiku non è lodare le stagioni in sé, ma cercare di vedere l’essenza umana attraverso la natura”. E quindi perché non fare dell’haiku uno strumento di comprensione, di dialogo e di attivismo climatico?
Gli haiku come motori della sensibilità ambientale (e freno all’ansia)
Gli haiku, in questo senso, potrebbero non essere solo l’ennesimo canarino di un fenomeno che, lungi dal dover essere ancora dimostrato, diventa, a ogni nuovo disastro naturale, più difficile da negare. Potrebbero essere una soluzione spirituale – da affiancare, s’intende, a manovre economiche radicali e soluzioni pratiche e lungimiranti – per lenire la crescente eco-ansia, condivisa soprattutto dalle giovani generazioni, e consolidare la consapevolezza dell’appartenenza umana al contesto naturale. È quello che sottolineava già nel 2022 la scrittrice Jasmin Kirkbride, ricercatrice della British Haiku Society nel suo saggio (e nel relativo progetto) Twisting point: the evolution of haiku in the climate crisis: “La temporalità dell’haiku colloca ogni poesia nel presente, aggirando la futuribilità dell’ecoansia, legando scrittore e lettore all’ambiente attuale della poesia. L’haiku contemporaneo può quindi generare consapevolezza ambientale, mentre quelli d’archivio possono trasportare il lettore attraverso il tempo dentro mondi scomparsi”.
Una doppia prospettiva che ha portato a sperimentazioni come il laboratorio organizzato nel 2023 dai Climate Conservation Corp nei Parchi Nazionali di Boston, con due ore di scrittura di haiku sul cambiamento climatico tra ansia e speranza, o a pubblicazioni come la raccolta di componimenti di Simon Armitage (poeta laureato britannico) Blossomise, del 2024, i cui haiku descrivono sottilmente l’influenza del cambiamento delle stagioni sugli elementi naturali.
Giulia Giaume
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