Le voci delle comunità indigene gridano alla Biennale di Sharjah 2025

In corso fino a giugno, la nuova edizione della rassegna mediorientale conta oltre 190 artisti e 300 opere. Tra i temi principali spiccano lo spirito artigianale e del lavoro familiare, uniti alle preoccupazioni dei popoli indigeni per le conseguenze dei disastri climatici

In svolgimento fino al 15 giugno, la sedicesima edizione della Biennale di Sharjah, curata da Alia Swastika, Amal Khalaf, Megan Tamati-Quennell, Natasha Ginwala e Zeynep Öz, si sviluppa su cinque grandi mostre dislocate fra Sharjah City, Kalba, Al Hamriyah, Al Dhaid, con circa 190 artisti per 300 opere.
Con cinque donne alla curatela, la Biennale ha un’essenza femminile, e con spirito materno cerca di prendersi cura dell’umanità; invita all’impegno condiviso, riscopre tecniche manuali di produzione familiare e di agricoltura sostenibile, in tempi di precarietà, in cui le migrazioni di massa sono sempre più frequenti e drammatiche, le crisi climatiche e politiche mettono a dura prova la sopravvivenza dei popoli e delle culture.

Il tema della Biennale di Sharjah 2025

In questo senso, il titolo della Biennale, to carry, implica la comprensione della precarietà in spazi che non sono nostri, pur nell’interazione che comunque vi nasce. Significa anche creare un ponte tra molteplici temporalità di passati vissuti e futuri immaginati, che comprende storie intergenerazionali e varie modalità di filtrarne l’eredità culturale. Sviluppata su tutto il territorio dell’emirato di Sharjah, la Biennale rende al meglio negli spazi di Sharjah City, Kalba e Al Hamriyah, dove le mostre si caratterizzano per un percorso curatorialmente ben costruito, nel rispetto degli artisti che insieme ai curatori “portano il peso” di costruire la Biennale. Nell’insieme, il progetto è valido e quasi in ogni opera si legge il lungo e accurato lavoro di ricerca che sta alla sua base.

La voce delle donne del Sud alla Biennale di Sharjah 2025

La Biennale dà voce alle donne e al sud del mondo, alle comunità indigene che lottano per mantenere vivi il patrimonio spirituale e il rapporto con la natura, riti e tradizioni millenari che hanno forgiata un’identità. La mostra Rosestrata: Trajectory/Translation, si ispira al concetto della Stele di Rosetta,e al pari di essa è un modello di traduzione per comprendere la conoscenza materna contenuta in una genealogia di ordine cosmico incentrata sulla donna. La mostra amplifica voci messe a tacere che sono state a lungo dimenticate e valori e connessioni con gli antenati attraverso canzoni, danze, tessuti, canti e racconti popolari. Un viaggio dalle montagne al mare, fra le comunità d’Asia, Africa e America del Sud. Emblematica, la serie di arazzi tessuti Pacha, della peruviana Claudia Martínez Garay, opere tessili che sfidano il tempo lineare, ispirate dal concetto della visione cosmologica andina dell’unità indivisibile di spazio e tempo.

Divinazione ed ecosistemi marini alla Biennale di Sharjah 2025

Sulla medesima linea di Rosestrata, Throwing Shells si ispira alla pratica divinatoria di gettare conchiglie nel mare e trarne auspici; in un periodo di diffusa violenza politica e collasso ambientale, questi rituali ancestrali sono importanti strumenti per rivendicare le forme di conoscenza indigene e le eredità culturali di quelle popolazioni minacciate di estinzione; la mostra è quindi un inno alla resistenza collettiva all’espropriazione e alla perdita. In quest’ottica, l’artista del Bahrein Mariam M. Alnoaimi esamina e contestualizza le relazioni storiche e contemporanee della regione del Golfo con l’acqua e il suo ecosistema, mettendone a fuoco il ruolo cruciale nel garantire la vita umana, ma anche la sua precarietà; la video installazione The Water that Asked for a Fish (2025), racconta storie di pescatori, biologi, ecologi, scrittori e membri della comunità, impegnati a vario titolo con l’ecosistema marino del Bahrein. Le conversazioni che ne sono seguite hanno prodotto intuizioni toccanti sui rituali locali e le pratiche animistiche rivelando una connessione spirituale fra individui e mare che non può e non deve andare perduta.

Adelita Husni Bey, Like a Flood, 2025. Courtesy of the Sharjah Biennial
Adelita Husni Bey, Like a Flood, 2025. Courtesy of the Sharjah Biennial

Il culto degli antenati alla Biennale di Sharjah 2025

Cosa significa portare dentro di noi l’eredità spirituale degli antenati, la memoria della propria terra? Questa eredità può anche essere la scintilla per un desiderio collettivo di creare realtà nuove o alternative lontane dalle pratiche di sfruttamento e generica insostenibilità che affliggono oggi tante aree del mondo. Ihi, una delle mostre della Biennale che omaggia il culto degli antenati, prende il titolo da una parola Māori che indica la forza, fisica o spirituale, della comunità. Una forza che nasce dall’umiltà di sapersi relazionare con la natura e l’universo, così come con gli altri popoli.
Fra i momenti più alti di questa sezione, Saffronn Te Ratana, artista Maori, nella sua installazione Purapura Whetu (2024), indaga e racconta le stelle e i corpi astronomici che determinanole transizioni delle stagioni dell’anno Māori; un’opera suggestiva, che traduce le costellazioni in emozioni, che fa dell’appartenenza un sentimento universale ben al di là della Terra, e allarga il punto di vista sulla bellezza dell’infinito.

Memorie ancestrali alla Biennale di Sharjah 2025

Invece, la sezione The ancestral well. Pulse to terrain, si concentra sul concetto della memoria, con un titolo che usa l’immagine dei pozzi come metafora di contenitori di memoria ancestrale e incontro intergenerazionale contro le correnti di un immaginario imperiale e di violenza razziale. Contro un iperconsumismo globalizzato, opere come Forest (2024) e Bulgwang-dong Totem (2010) combinano le tradizioni politeistiche delle religioni popolari indigene con gli scarti dei moderni dispostivi tecnologici, accendendo alleanze insolite, energie latenti e vitalità postumane. Sospeso fra l’Oceano Atlantico e l’Oceano Indiano, il progetto fotografico BKO (2024) dell’anglo-nigeriano Akinbode Akinbiyi è la cronaca visiva delle città e delle coste che ha attraversato, da Lagos a Dakar. Racconta l’organizzazione della vita attorno al fiume Niger, osserva le cerimonie della comunità; la serie Sea Never Dry (1982–in corso) documenta scene di commercio e svago in riva al mare, e di spiritualità quotidiana. Un’Africa ben lontana dagli stereotipi da cartolina, un’Africa vivace e colorata al meglio della sua espressività umana, in un rapporto con il territorio fatto di amore e gioia di vivere.

L’Italia alla Biennale di Sharjah 2025

Raffaela Naldi Rossano, Rossella Biscotti e l’italo-libica Adelita Husni-Bey sono le artiste italiane selezionate per l’edizione 2025 della Biennale. Con Tentacular Bed (inserita nella mostra Throwing Shells, curata da Amal Khalaf), Raffaela Naldi Rossano dà vita a una grande opera installativa di respiro geo-antropologico, che indaga le placche tettoniche sotto il Mar Mediterraneo. Realizzati in legno, sostanze organiche e corde di vecchi violini, gli elementi dell’opera alludono a quel mare su cui si affacciano, incontrano e scontrano popoli e culture, che la natura ha comunque unito e messo in comunicazione. La storia recente, economica e creativa, degli Emirati, fra gas, petrolio, arte della ceramica e della produzione vasale in vetro, è al centro dell’indagine di Rossella Biscotti (nella mostra Rosestrata: Trajectory/Translation, curata da Alia Swastika), con l’installazione Saturated Salty Mud Stories. Un’opera di sabbia del deserto, acqua, sale, terra, ceneri di piante e tubature metalliche che lascia riferimenti più profondi a commercio, colonialismo, estrazione mineraria, sfruttamento, migrazione. Infine, con la video-installazione Like a Flood (parte della mostra Throwing Shells), sospesa fra passato e presente, Adelita Husni-Bey riflette sull’importanza di preservare le risorse e le infrastrutture di approvvigionamento, ma fa anche memoria dei crimini che il colonialismo italiano ha commessi in Libia fra il 1911 e il 1943. Tra questi la distruzione degli antichi sistemi di rifornimento idrico, il filmato prosegue ripercorrendo l’iconografia di dighe e pozzi nella poesia popolare della regione del Jebel al Akhdar. Si conclude con una riflessione sull’adattabilità delle popolazioni all’ambiente naturale, un equilibrio spesso rotto da poteri e interessi esterni. Tre opere a carattere storico-antropologico, dietro le quali vi è un intenso lavoro di ricerca.

Il mondo visto dalla Biennale di Sharjah 2025

Una biennale che abbraccia il mondo attraverso una raffinata ricerca artistica e antropologica, che scava nelle culture indigene del sud del mondo e offre al pubblico come un dono prezioso elementi di conoscenza che, seppur meno noti nel distratto mondo occidentale, sono ancora oggi l’asse portante di un patrimonio immateriale imprescindibile per conservare l’essenza spirituale dell’umanità. Questa Biennale è cultura allo stato puro, lontana anni luce dall’accademismo e dalle logiche delle “mostre-spettacolo”; getta ponti e apre nuove strade fra i popoli, crea momenti di conoscenza condivisa, in modo che ognuno senta la responsabilità di portare sulle spalle e sulla coscienza il compito di contribuire al progresso civile. Questa rassegna è anche è ricerca, poesia, utopia, culto della terra e degli antenati; è permeata di musica e luce, è un’esperienza emotiva e intellettuale insieme. Il mondo arabo, l’Estremo Oriente, l’America precolombiana (o quanto ne resta), gli aborigeni neozelandesi e polinesiani, l’Africa Nera, trovano qui punti di contatto, riaffermando l’idea del percorso condiviso nel progresso sociale e la trasversalità di valori che l’Occidente consumista ha da tempo dimenticato.

Niccolò Lucarelli

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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