In Uzbekistan il Museo Savickij di Nukus completa il riallestimento grazie a due curatori italiani. Le immagini
Dopo gli apprezzamenti per le mostre italiane e per il riallestimento del secondo piano del Museo di Nukus, a Silvia Burini e a Giuseppe Barbieri è stato proposto di completare il processo curatoriale con il nuovo allestimento dell'ultimo piano

Sulla scia delle mostre organizzate a Palazzo Pitti e alla Ca’ Foscari dal titolo Uzbekistan: L’Avanguardia nel deserto, il Museo di Nukus in Uzbekistan ha proposto lo scorso inverno il progetto Avant-Garde in the Desert, unarielaborazione dei progetti espositivi italiani arricchita dal confronto con le opere provenienti dal Museo Statale delle Arti di Tashkent, a cura dei docenti della Ca’ Foscari Silvia Burini e Giuseppe Barbieri. Il riallestimento degli spazi di matrice italiana ha conferito al polo espositivo un respiro internazionale, ed è proprio ai due curatori che è stato richiesto di completare il progetto curatoriale, riallestendo anche il terzo piano del polo.























Il nuovo allestimento del terzo piano del Museo Nukus in Uzbekistan
Il progetto di sistemazione del terzo piano, intitolato The World of Igor Savitsky, non è certamente il concept di una esposizione temporanea, ma è stato pensato e realizzato come parte nodale di un percorso permanente. Anche per questo non poteva prescindere dai criteri museografici indicati da Igor’ Savickij, fondatore del museo e protagonista del Cultural Heritage dell’Uzbekistan. A questo aspetto della sua multiforme personalità è dedicato il percorso del terzo piano, mentre al secondo è stato deciso di dare più spazio, oltre che alla sua vicenda biografica, alla sua arte e al suo fondamentale ruolo di collezionista. Questo spiega il senso del titolo del progetto con cui il Museo di Nukus ha voluto restituire al pubblico la visione di un mondo che rischiava di scomparire, ma che Savickij ha saputo raccogliere, preservare, comunicare.

Un forte riferimento con la museografia savickijana
“Lo spazio espositivo, definito con i curatori dall’architetto veneziano Massimiliano Bigarello, ha acquisito una nuova profondità di percezione e una maggiore ampiezza per la disposizione delle opere, in qualche caso comunque affollate, in due o tre file, come nelle sperimentazioni espositive di Savickij”, spiegano Burini e Barbieri.
“Il progetto mette in relazione tre livelli di narrazione costantemente intrecciati: dipinti e disegni, reperti archeologici e plastici, manufatti delle arti applicate (ceramiche, tessili ed ebanistiche, le filigrane e i gioielli degli zargar)”, spiegano ancora i curatori. “Sono registri narrativi immediatamente godibili ma allo stesso tempo complessi. I reperti archeologici alludono alla contiguità e alla sovrapponibilità delle radici remote dell’area (tra le forme del mondo bizantino e i colori di quello dell’Asia Centrale, a partire dall’azzurro prezioso dei lapislazzuli); i gioielli, disposti nel rispetto delle diverse tipologie per testa, collo, naso, orecchio, torace, spalla, ascella, polso, vita e piede, rivelano appartenenze etniche, sociali, di stato coniugale; dipinti e disegni scandiscono l’indagine sui rapporti tra Avanguardia russa, Orientalis e karakalpaka”.
Redazione
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