Robot Festival e accelerazionismo: separati in casa?
L’accelerazionismo, una delle più interessanti correnti subculturali contemporanee, sminuito da un claim? È la tesi del nostro Luca Gorini, cultore della materia. Che ha seguito l’incontro dedicato, tra la mole di eventi artistico-musicali, in programma nella rassegna bolognese.
Il tema scelto per l’ottava edizione di Robot Festival – la manifestazione dedicata alla musica elettronica e alle arti digitali che si è svolta dal 7 al 10 ottobre a Bologna – è stato il cosiddetto accelerazionismo, un concetto tanto eterogeneo quanto la realtà che si propone di riflettere, nonché rispetto alla nebulosa di discorsi che vi si riferiscono – tra cui quello filosofico, politico, tecnologico, massmediologico, artistico e musicale.
In questo senso, una sua piena comprensione non può prescindere dalle parole di coloro che l’hanno saputo individuare, interpretare ed esprimere: a tal proposito la kermesse, tra mole di eventi artistico-musicali in programma, ha previsto anche un incontro dedicato alla questione, nel tentativo di esplicitarla tramite le voci di alcuni giornalisti e critici musicali particolarmente attenti a riguardo.
A presidiare il panel, il giornalista Valerio Mattioli, penna, tra gli altri, del magazine italiano online Prismo (di cui è caporedattore), affiancato da Valerio Mannucci, co-fondatore e co-direttore della rivista italiana Nero, e Adam Harper, che secondo lo stesso Mattioli rappresenta “il più acuto critico musicale in circolazione”.
Resta il fatto che se, da un lato, c’è stata la volontà da parte del festival di porre l’accento su questa corrente, dall’altro la formula “accelerazionismo” è stata largamente utilizzata dallo staff organizzativo come una vera e propria etichetta, al solo scopo di fornire un contesto agli eventi proposti: ad esempio il largo uso del termine nei lanci promozionali sui social network (“accelerate con noi questa sera nella giusta direzione”, “questa sera si accelera da Palazzo Re Enzo a Bologna Fiere”, “noi siamo pronti con il piede sull’acceleratore”, “un’accelerazione continua!”) ha evidentemente sminuito, fino quasi ad azzerare, la portata e la complessità di una delle più interessanti correnti subculturali contemporanee. Sospendendo il giudizio sulla condivisione o meno di questa tendenza, ci limiteremo ora a provare a dare un volto alle questioni che fanno capo all’accelerazionismo.
ALTA VELOCITÀ
Per tentare di comprendere l’accelerazionismo è necessario innanzitutto considerare uno dei testi più rappresentativi della corrente: il Manifesto per una politica accelerazionista, firmato da Alex Williams e Nick Srnicek. Come si può facilmente intuire, è la dimensione politico-filosofica quella entro cui è stato inizialmente inserito l’accelerazionismo in quanto tale, mentre successivamente i suoi processi sono stati individuati anche in ambito artistico-musicale.
L’idea di fondo del Manifesto – come riporta lo stesso Mattioli nel suo articolo pubblicato su Prismo, Appunti per una discografia accelerazionista – è che la crisi economica del 2008 non ha cambiato le sorti del capitalismo globale, al contrario lo avrebbe rafforzato; inoltre le proposte regressive messe in campo dalla sinistra radicale – come un ritorno al territorio o le politiche locali – si sarebbero rivelate insoddisfacenti per porre fine alla crisi, mentre i disastri ecologici, sociali ed economici che sarebbero stati provocati dalla corrente neoliberista avrebbero compromesso l’idea stessa di futuro.
L’istanza illuminista, secondo cui il futuro necessita di essere costruito, come scrive Antonio Negri nell’antologia Gli Algoritmi del Capitale, curata da Matteo Pasquinelli, attraverserebbe tutto il Manifesto, in cui di fatto si sostiene che è necessaria una politica “a proprio agio con una modernità fatta di astrazione, complessità, globalità e tecnologia”. La corrente si proporrebbe inoltre, continua Mattioli, di superare i limiti imposti dalla società capitalista: l’idea di fondo sarebbe quella che piuttosto che rifiutare il capitalismo così com’è o tentare di combatterlo, occorra accelerarne i processi latenti, a tal punto da determinare il collasso del sistema e superare così il capitalismo stesso.
Questa sorta di definizione è evidentemente parziale rispetto alla molteplicità di discorsi che si potrebbero sviluppare in merito all’accelerazionismo, ma, alle volte, quando si ha a che fare con tematiche così complesse e innovative, occorre elogiare il “non me ne intendo”, ed è per questo che non mi spingerò oltre nel cercare di decifrarlo, in quanto si tratta di una storia, insomma, ancora in atto e tutta da scrivere. Proverò però qui a riportare brevemente quanto, tra gli altri, la musica – in particolare quella elettronica, anche se la sua distinzione sta diventando sempre più superflua, per l’appunto – ha anticipato i tempi e le tematiche legate all’accelerazionismo, concretizzando parte dei processi finora descritti.
MUSICA IN DIRETTA DALLO SPAZIO
“La sensazione di trovarsi su un altro pianeta, di essere stati catapultati su una terra lunare dove le uniche due sfumature di colore percepibili sono la luce più pura e l’ombra più nera”. Queste le parole che la giornalista Irene Papa usa per descrivere le sensazioni percepite durante un live show della cantante e ballerina britannica, nota come FKA Twigs, tra coloro che incarnano a pieno l’ottica accelerazionista. I suoni ricamati da Twigs – che di fatto rappresenta solo la punta dell’iceberg di un ampio insieme di artisti che possono essere ricollegati all’accelerazionismo – sono da intendere come una lucida fotografia della direzione in cui si sta spingendo la musica elettronica al giorno d’oggi, in cui a scenari onirici e apocalittici si affiancano suoni cibernetici, taglienti, freddi.
Ciò che più stupisce è che questa totale accettazione della frammentazione, della discontinuità, del caos, dello spasmo, della schizofrenia da parte della musica di stampo accelerazionista – se così si può chiamare – è lasciata andare a briglie scolte in modo che sguazzi allegramente nelle correnti più oscure della dimensione digitale, portando essa stessa allo stremo. A tal proposito, lo stesso Adam Harper, citando, tra gli altri, gli esempi di Fka Twigs, non nasconde che si tratti del “mondo digitale che ascolta se stesso, Internet che si guarda allo specchio”. Questa corrente musicale, dunque, rispecchierebbe la complessità del presente e, secondo le dichiarazioni di Mattioli, il fatto che questi linguaggi siano emersi nello stesso periodo in cui a prendere piede è stato il dibattito sull’accelerazionismo, sembrerebbe essere più di una coincidenza: in sostanza sarebbero “entrambi esiti di certe temperie, o più semplicemente di un bisogno di riappropriarsi dei linguaggi di una modernità a conti fatti ostile”.
Inutile precisare che Twigs non è assolutamente l’unica a essere etichettata, da numerosi giornalisti, come un’artista di stampo accelerazionista: al suo fianco si possono citare producer come Arca, gli italiani Primitive Art e tanti altri – la lista potrebbe farsi anche molto variegata al suo interno: a tal proposito consiglio la lettura del già citato articolo Appunti per una discografia accelerazionista, firmata dallo stesso Mattioli, che tra le altre cose riassume bene i principali esponenti del lato musicale della corrente. Il medesimo discorso si potrebbe fare per quanto riguarda le arti visive, ma proporre la grammatica di un’ipotetica “immagine accelerazionista” sarebbe in questo caso fuorviante, in quanto il discorso dovrebbe procedere su acque ancora inesplorate, dunque, per concludere, mi limiterò a citare alcune comunità o pagine attive sui social network, dove si riscontra una comunanza, in termine artistici, con questo linguaggio: Felt Zine, Sport Aesthetics: Environment and Object, Free the Pixel!, Creative Coding with Processing and P5.js, New Aesthetic.
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