Nel XV secolo, Aldo Manuzio veniva considerato come il maggior tipografo del suo tempo: a distanza di oltre cinquecento anni, possiamo riconoscere in lui il primo precursore degli editori moderni. Nato nell’anno 1449 nei pressi di Velletri, Aldo Manuzio non ci ha tramandato nessun’altra informazione relativa alle sue origini e alla sua famiglia. Sappiamo che fu un uomo di grande cultura, che si impegnò per imparare il greco e il latino e che dal 1482 ebbe come compagno di studi Giovanni Pico, oggi conosciuto semplicemente come Pico della Mirandola. Fu proprio quest’ultimo che divenne il primo finanziatore delle stampe di Aldo il quale, intorno al 1494, scelse Venezia, che in quegli anni si trasformò, per una breve stagione, da potenza mercantile e militare in una “repubblica delle lettere” sognata dagli umanisti (e che ancora oggi è il fondamento della sua immagine nel mondo), come sede della sua tipografia.
Il celebre motto di Aldo – “festina lente”, “affrettati con calma” cioè “pensa bene ma poi agisci” raffigurato da un’immagine di un’ancora con un delfino – comparve per la prima volta nella dedica delle opere di Angelo Poliziano.
Ma Aldo Manuzio non era un tipografo. Gli stampatori che fecero la rivoluzione del libro, a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento, erano artigiani al servizio di ricchi mecenati e di un pubblico che domandava sermoni, pandette e calendari.
Manuzio era, invece, un maestro con un progetto educativo e sociale al cuore della visione umanistica allora dominante. Per mettere in atto questo progetto è diventato tipografo, e così ha inventato una nuova professione: quella di editore.
UNA NUOVA PROFESSIONE
Un nuovo mestiere che pensava il libro non come opera a se stante ma come tassello di un progetto culturale complesso che oggi chiamiamo “catalogo editoriale”. Non è un caso che della sua opera non si ricordino solo le eccellenze, ma la sua generale articolazione, al punto che non esiste edizione aldina che non sia ricercata, collezionata e pagata a caro prezzo. E questa sua progettualità culturale è ciò che ha fatto della sua marca tipografica – l’ancora e il delfino – un marchio editoriale così forte e rinomato che perfino Erasmo da Rotterdam riteneva di poter migliorare la propria reputazione grazie a un’edizione aldina degli Adagia.
Aldo Manuzio, lavorò con l’intento principale di mantenere altissima la qualità delle sue edizioni e passò alla storia, oltre che per il numero di edizioni stampate in venti anni di attività e per lo splendido Hypnerotomachia Poliphili considerato un vero e proprio capolavoro dell’arte tipografica e corredato di splendide xilografie attribuite ad Andrea Mantegna, per svariate invenzioni: nel 1500 avviò una collana di libri in cui, per la prima volta, venne utilizzato il carattere corsivo, utilizzando i caratteri ribattezzati “aldini”, che assomigliavano alle lettere dei manoscritti greci. Nel far questo, un anno prima, aveva convinto Francesco Griffo, abile orafo bolognese con una finissima sensibilità e manualità, a cercare ispirazione nella scrittura a mano per elaborare l’elegantissimo e compatto “corsivo aldino”. I caratteri “aldini” presto vennero copiati da tutti e ribattezzati poi italique in francese e italics in inglese, proprio in onore della tipografia veneziana. Si imposero in tutto il mondo per la loro bellezza e, tramandati per secoli, sono arrivati fino ai giorni nostri: oggi le chiamiamo font.
STRATEGIE COMMERCIALI E COPYRIGHT
E fu ancora Manuzio il primo a mettere tecnologia poligrafica e design al servizio di una strategia commerciale che passava per la forma del libro, riducendone il formato per renderlo meno costoso e più maneggevole: adottò il formato “in ottavo”, molto ridotto rispetto ai maestosi volumi “in folio” (ossia quattro pagine) o a quelli “in quarto” (cioè di otto pagine) e fu anche il primo a editare il primo libro con le pagine numerate su entrambi i lati (recto e verso). Ma anche i copywriter devono molto allo stampatore umanista perché fu il primo a dare una sistemazione alla punteggiatura definendo il punto come chiusura di periodo, utilizzando la virgola, l’apostrofo e l’accento per la prima volta come sono utilizzati oggi e inventando il punto e virgola.
Il prestigio di Manuzio derivava, fra l’altro, anche dall’ingente investimento sui testi: il lavoro di raccolta, trascrizione, compilazione e redazione. Per tutelare questo patrimonio in un mercato senza regole, reclamò e ottenne dal governo della Serenissima un “privilegio” in virtù del quale nessuno poteva pubblicare gli stessi testi. Quello che oggi chiamiamo copyright.
Perciò, se alla Germania spetta la nascita della stampa moderna, con Aldo Manuzio l’Italia ha sicuramente portato ai massimi splendori l’arte della tipografia, la quale ha permesso a un geniale maestro di grammatica di gettare le basi della professione che più di ogni altra ha contribuito alla crescita culturale del mondo occidentale.
LA MOSTRA
Le Gallerie dell’Accademia di Venezia hanno dedicato ad Aldo Manuzio, nel cinquecentesimo (più uno) anniversario della morte, una mostra. Mi sono spesso interrogata sul senso delle mostre di libri. È frustante vederli aperti su un’unica pagina, intoccabili, impossibili da sfogliare, in una condizione che fa loro perdere significato e potenza. Questo limite implicito era risolto qui da un’installazione, curata da Studio Fludd, delle 172 xilografie di uno dei capolavori aldini: Hypnerotomachia Poliphili (1499).
Jussin Franchina
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