Una consistente attenzione per la storia della videoarte in Italia si sta manifestando negli ultimi tempi attraverso la pubblicazione di vari saggi. Interventi e ricerche di diversa impostazione, ma accomunati dall’intento di rileggere e approfondire il contributo di artisti e istituzioni alle vicende di una forma d’arte che da vari decenni ha apportato indelebili trasformazioni alle pratiche e alla nozione stessa di opera.
UN INTRECCIO DI CONTRIBUTI
Una breve rassegna su questo tema non può non partire dalle ricerche attivate fin dal 2007 dal dipartimento Arts & Humanities Research Council dell’University of Dundee, confluite in un convegno a Roma nell’aprile del 2012 e in un volume edito nel 2016, Rewind/Italia Early Video Art in Italy / I primi anni della Videoarte in Italia a cura di Laura Leuzzi e Stephen Partridge, pubblicato da John Libbey Publishing Ltd nel 2016, in inglese e italiano.
Rewind sviluppa un discorso ampio e articolato che fa il punto sui momenti fondanti del video negli Anni Settanta in Italia, affidandosi a un fruttuoso intreccio di contributi. I curatori del volume hanno scelto di far parlare i principali protagonisti della videoarte e della sua ricezione critica all’epoca degli esordi (Renato Barilli, Maria Gloria Bicocchi, Lola Bonora, Paolo Cardazzo, Vittorio Fagone, Luciano Giaccari), alcuni storici dell’arte e dell’immagine in movimento (Silvia Bordini, Bruno Di Marino, Simonetta Fadda, Marco Maria Gazzano, Mirco Infanti, Laura Leuzzi, Sandra Lischi, Adam Lockhart, Steve Partridge, Cosetta G. Saba, Valentina Valentini, Grahame Weinbren) e alcuni artisti contemporanei coinvolti nelle ricerche (Cinzia Cremona, Sean Cubitt, Emile Shemilt e lo stesso Partridge).
Tutto questo restituisce un quadro storico e critico denso di interrogativi, dalle intuizioni di Lucio Fontana alle prime mostre e alla creazione di centri, laboratori e gallerie, in particolare a Ferrara, Firenze, Venezia e Roma. Inoltre i vari saggi analizzano le specificità del mezzo, il carattere metaforico e le valenze simboliche del video, il rapporto con i materiali e i metodi d’interpretazione, il rapporto tra pubblico e istituzioni e, non ultimo, il problema del recupero e della conservazione delle opere.
Nell’introduzione Stephen Partridge parte dalla constatazione che la videoarte in Italia è stata in genere sottovalutata dalla saggistica storico/critica internazionale e si propone di evidenziare, con i suoi collaboratori “alcuni dei maggiori tratti comuni e descrivere i centri, le organizzazioni e le persone coinvolte”. Ma Rewind è anche qualcosa di più: non solo, infatti, fa emergere a tutto tondo e proietta in una dimensione internazionale l’apporto di un pezzo di storia generalmente considerato marginale, ma interviene anche a mettere in discussione, implicitamente, la diffusa codificazione della storia della videoarte. Una storia in genere appiattita sulle linee portanti dei grandi padri fondatori (come Paik e Vostell), e che è invece ancora in parte da scrivere, dissodando archivi, raccogliendo documenti, restaurando e dando visibilità a opere legate a una tecnologia divenuta rapidamente desueta. Dunque, mettendo in luce le esperienze in Italia e collegandole tra loro e con la vicenda internazionale, i saggi di Rewind arricchiscono l’indagine sull’identità artistica del video.
MONITOR from Steve Partridge on Vimeo.
OCCHI PUNTATI SU MICHELE SAMBIN
Curato da Sandra Lischi e Lisa Parolo viene edito nel giugno 2014 Michele Sambin. Performance tra musica, pittura e video: un saggio che restituisce con efficacia e importanti approfondimenti la vicenda artistica di Michele Sambin e il contesto culturale in cui l’artista si è posto fin dagli inizi degli Anni Settanta.
Anche in questo caso è un libro a più mani (oltre alle curatrici, Silvia Bordini, Riccardo Caldura, Roberto Calabretto, Bruno Di Marino, Francesca Gallo, Andreina di Brino, Cristina Grazioli, Anna Maria Monteverdi), organizzato con una collegialità necessaria alla ricchezza dei percorsi di Sambin. I suoi lavori infatti si caratterizzano come un continuo attraversamento di linguaggi diversi e tuttavia consonanti, partendo da una postazione artistica in cui confluiscono pittura, fotografia, cinema, videotape e performance, in una città, Venezia, che è stata un luogo di formazione e resta per sempre un luogo di affezione. L’elemento che lega tutti questi elementi è la musica – più precisamente il rapporto tra suono e immagine – che attraversa tutti i lavori di questo artista, e che confluirà, dagli Anni Ottanta, nel teatro. Da notare la partecipazione attiva dello stesso Sambin alla costruzione dei vari saggi, dialogando con gli autori, fornendo informazioni, materiali e documenti e intervenendo direttamente sulla composizione grafica del libro, tanto da fargli assumere le valenze di un libro d’artista.
LA MOSTRA
Nell’autunno 2015 si è aperta a Ferrara la mostra Videoarte/a/Palazzo/dei/Diamanti/1973-1979/Reenactment, a cura di Cosetta Saba, Lisa Parolo, Chiara Vorrasi, in collaborazione con Lola Bonora e Carlo Ansaloni. La mostra ricostruisce la prima produzione del Centro Videoarte di Ferrara, riallestendo i videotape esposti nel 1980 a Torino, nella rassegna curata da Janus intitolata Videoarte a Palazzo dei Diamanti 1973-1979. La riproposta di questa pionieristica stagione dell’arte video segna l’avvio di un importante progetto di studio, conservazione e valorizzazione dell’archivio del Centro: il patrimonio di opere e documenti conservati a Ferrara è oggetto di un processo di analisi e restituzione, con la messa in opera di un protocollo di restauro da parte di un’équipe di studiosi coordinati da Cosetta Saba con la collaborazione delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea e del DAMS di Gorizia – Università di Udine.
LA VIDEOARTE E L’ITALIA
Nello stesso anno 2015 viene pubblicato dalla casa editrice Gli Ori (Pistoia) Media Art. Towards a new definition of arts, a cura di Valentino Catricalà, il catalogo della prima edizione del Media Art Festival nella suggestiva cornice della Centrale Montemartini a Roma. Un altro libro a più mani in cui si indaga da un punto di vista teorico la natura dell’arte legata alle nuove tecnologie con particolare attenzione per il digitale, attraverso gli scritti di Sean Cubitt, Paul Thomas, Oliver Grau, Alfonso Molina, Valentino Catricalà, Marco Maria Gazzano, Giulio Latini, Partridge, Elein Shmilt, Laura Leuzzi, Valentina Ravaglia, Maurizio Marco Tozzi, Domenico Quaranta, Alessandro Amaducci, Roc Parés, Elisa Cuciniello, Veronica D’Auria
Infine, a gennaio 2016, viene edito il libro di Maurizio Marco Tozzi, La videoarte italiana dagli anni ’70 ad oggi, pubblicato da Danilo Montanari Editore. L’autore intende la videoarte come un “grande contenitore contemporaneo dove artisti e pubblico si incontrano per condividere grandi e attualissimi argomenti del nostro tempo”. Riconoscendo il ruolo importante di questo fenomeno in Italia, Tozzi ne ricostruisce i percorsi dagli Anni Settanta a oggi; il suo discorso si basa soprattutto sulle testimonianze dirette dei protagonisti o, quando non sono più rintracciabili, sulle “testimonianze di terzi”. Su questa linea metodologica si dispongono, infatti, scanditi per decenni, i profili di artisti, critici e curatori, tra il ricordo e la celebrazione di opere, eventi, istituzioni e archivi. Un modo di lavorare che sembra portare un sapore di freschezza alla divulgazione ma che non è indenne da imprecisioni e omissioni per lo scarso confronto tra i ricordi delle voci narranti – cui si delega il compito di fare storia – e l’analisi delle fonti primarie, cioè le opere e la documentazione nel contesto originario.
PREGI E LIMITI
Nel complesso l’insieme di questi studi costituisce sicuramente un contributo importante per la sistematizzazione, e in vari casi l’arricchimento, delle conoscenze sulla videoarte in Italia e per il suo riferimento in un contesto internazionale. È fondamentale, inoltre, il collegamento tra il recupero storico/critico e il problema della conservazione di opere legate a tecnologie in rapida e continua trasformazione.
Va notato che si tratta in prevalenza di lavori collettivi in cui ci si divide il lavoro di ricerca, con un raggio ampio di contributi e interpretazioni non esenti talvolta da qualche sovrapposizione. Infine va osservato un ricorso alla pratica dell’intervista ai protagonisti della videoarte, artisti, critici, istituzioni, gallerie e compagni di strada. Una pratica mediata dal giornalismo, da tempo molto diffusa anche nell’ambito dell’arte contemporanea, facilitata tra l’altro dagli attuali strumenti di registrazione audiovisiva; un mezzo vivace e disinvolto per la raccolta di informazioni e opinioni destinati a diventare fonti storiche e per questo da verificare sempre con grande cura.
Silvia Bordini
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