La cultura in trasformazione. Parola a Bertram M. Niessen
Risale a poche settimane fa l’uscita di “La cultura in trasformazione”, il primo libro curato da cheFare. A cosa serve un libro del genere l’abbiamo chiesto a Bertram M. Niessen, suo direttore scientifico.
La strada di cheFare è iniziata con un bando all’alba del 2012: un premio da 100mila euro per il miglior progetto d’innovazione sociale a base culturale. All’epoca il bando era soprattutto uno strumento per far emergere delle realtà che credevamo, speravamo esistessero: organizzazioni che stavano cercando delle risposte nuove e diverse ai limiti della produzione culturale imposti dal restringimento rapido e brutale delle risorse pubbliche. In particolare, ci interessavano quelle pratiche che collegassero la cultura alla coesione sociale, allo sviluppo di comunità e alla sostenibilità economica. Questo per diversi motivi. Innanzitutto perché eravamo stufi della cultura autoreferenziale pensata dalle élite per le élite, arroccata in torri d’avorio sempre più piccole e sgretolate. Poi perché eravamo convinti che ci fosse la necessità di ragionare in un’ottica “politica”, intesa nel suo senso più ampio, per provare a elaborare collettivamente risposte alla mancanza di letture della velocità vertiginosa delle trasformazioni in corso. E infine perché volevamo esplorare nuove forme di finanziamento per le attività culturali, non in sostituzione ma come affiancamento alle politiche, imprescindibili, di sostegno pubblico.
In questi quattro anni sono successe moltissime cose. Il progetto è cresciuto così tanto (3 edizioni, 1.800 progetti raccolti e oltre 180.000 voti nelle fasi di votazione online) che nel 2014 siamo divenuti una realtà completamente autonoma da doppiozero, il sito di critica culturale che aveva inizialmente prodotto il premio. Siamo andati molto oltre il bando, verso l’assemblaggio di una piattaforma nazionale per mettere in connessione organizzazioni culturali che operano dal basso: centri culturali indipendenti, progetti artistici itineranti e “fuori contesto”, piattaforme di finanziamento alternativo, format didattici alternativi, start up tecnologiche che lavorano con i musei.
UN ORIZZONTE DI SENSO
Ancor più che una mappatura o una rete, quello che abbiamo cercato di costruire è stato un orizzonte di senso, o almeno una serie di dispositivi che permettessero di raggiungerlo. Per questo abbiamo pubblicato quotidianamente sul nostro sito testi di studiosi, operatori culturali e attivisti che volessero considerare i loro scritti non come punti di arrivo di percorsi di ricerca ma come punti di partenza per discussione collettive. Strumenti “di lavoro”, a volte imperfetti, spesso contraddittori, per ragionare su alcuni dei temi cruciali del contemporaneo: trasformazioni urbane, innovazione sociale, sharing economy, impatto sociale, centralità dei pubblici, cultura collaborativa, diritti digitali, economia della cultura.
Girando l’Italia, abbiamo organizzato e preso parte a workshop, tavole rotonde, assemblee, seminari, camp e convegni, provando ad abbattere le barriere fra le istituzioni e il “grassroots”, facendo dialogare molti di quegli attori che per tradizione non si vuole che stiano allo stesso tavolo. Migliaia di progetti, articoli, discussioni, volti, luoghi, storie personali che non ci saremmo azzardati a sintetizzare in qualche centinaio di pagine. E infatti La cultura in trasformazione (edito da minimum fax) non è un libro sulla storia di cheFare – o lo è solo in minima parte – e non avrebbe potuto essere altrimenti.
UNA RACCOLTA DI SGUARDI
L’idea di raccogliere i testi di Christian Raimo, Vincenzo Latronico, Jacopo Tondelli, Gianfranco Marrone, Roberto Casati, Paola Dubini, Ivana Pais e Alessandro Bollo è nata piuttosto dall’esigenza di mettere assieme gli sguardi di alcuni tra gli osservatori più acuti che abbiamo incontrato in questi anni, per andare oltre le letture affrettate che ci tempestano dalle timeline dei social network. Si tratta di letture oblique, composite e necessariamente non esaustive che sondano alcuni aspetti cruciali (e talvolta contraddittori) delle trasformazioni culturali in corso: dal ruolo degli ignoranti di professione alla definizione del valore della qualità culturale, passando per le rivoluzioni delle filiere editoriali e dei sistemi di traduzione, l’audience development, la precarizzazione dei percorsi biografici dei lavoratori della cultura, l’economia della collaborazione. Più che a un atlante, o a una mappatura, ci piace pensare ai capitoli del libro come a degli iniettori, a stimoli eterodossi da lanciare nella mischia di un campo in trasformazione, per provare a rifondare in modo collettivo una teoria della pratica e, soprattutto, una pratica della teoria.
– Bertram M. Niessen
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #35
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