“Più che un libro, è stato un progetto di vita lungo quindici anni”. È con queste parole che Elena Filipovic descrive l’appassionata densità della sua ricerca dedicata a Marcel Duchamp. Si tratta di un’approfondita analisi attorno alle cose, gli oggetti, le copie, e anche le opere, i lavori più noti, che tratteggia una sorta di inconscio laterale della produzione duchampiana. Come ha affermato Robert Rauschenberg: “Marcel Duchamp è tutto ma è impossibile scrivere su di lui. Qualunque cosa si cerca di affermare, appare nello stesso istante come non vera”. Forse per questa ragione uno dei suoi amici più cari, Henri Pierre Roché, ha più volte dichiarato che per comprenderlo non bisogna guardare agli elementi materiali delle opere ma al suo uso del tempo.
Un modo di vivere il lavoro che è difficilmente identificabile con quello di un artista. Infatti, dopo il 1923, Duchamp abbandona definitivamente la pittura e lo studio classicamente inteso per dedicarsi ad attività che possiamo definire non artistiche, come giocare a scacchi o girare il mondo in veste di amministratore, archivista e venditore dei suoi lavori. Un intenso turbinio di relazioni con istituzioni museali, collezionisti privati, gallerie e storici dell’arte che lo avvicinano sempre più alla figura del curatore. Sono proprio questi aspetti a interessare maggiormente la Filipovic che ci restituisce non una semplice aggiunta di dettagli agiografici, ma un affresco di inediti elementi sull’universo duchampiano.
UN NUOVO DUCHAMP
The Apparently Marginal Activities of Marcel Duchamp è una lettura consigliata per comprendere come l’artista francese abbia aperto la strada a quella tensione fra arte intesa sia come indagine teorica che come componente primaria dell’industria culturale, proponendo un insieme di considerazioni che l’autrice declina in tre capitoli supportati da materiali iconografici originali o poco conosciuti. Il primo capitolo, intitolato Notes for a theory of the work of art/Appunti per una teoria dell’opera d’arte, racchiude un’indagine attorno al ruolo che l’arte duchampiana riveste all’interno della società a partire dalla considerazione dei suoi modi bohémien come una forma di lavoro segnata da un intenso rigore.
L’autrice traccia le linee di un nuovo Duchamp analizzando i suoi dipinti raffiguranti scene di sesso meccanizzato, postumano diremmo oggi, come ad esempio Le Passage de la Vierge à la Mariée (1912) e La Mariée (1912). Entrambe queste opere interfacciano corpi e forme meccaniche suggerendo un interesse per una vita ibrida che, come direbbe Gilles Deleuze, si apre a una impossibilità del reale che appare come sempre più artificiale.
ARCHIVIO E CURATELA
Altra prospettiva interessante indagata dalla Filipovic è l’idea di archivio che passa attraverso la scrittura, la documentazione fotografica e la catalogazione per concludersi con la sintesi della selezione dei readymade.
È un processo meticoloso suggerito all’artista durante le sue continue visite alla Bibliotheque Sainte Genevieve di Parigi. È qui che Duchamp sperimenta l’azzardo analogico degli accostamenti tra materiali apparentemente marginali e insignificanti, anticipando quella modalità cara ad Aby Warburg e André Malraux. Archetipo insuperabile di questa visione archivistica del fare arte è il progetto museale nomade Boîte-en-valise (1935-41). La Boîte è una valigia/archivio museale composto da testi, immagini e lavori in miniatura riprodotti fedelmente in scala, con l’obiettivo di creare relazioni e connessioni tra le sue opere e il pubblico. Il secondo capitolo “I myself will exhibit nothing” /”Io non esporrò nulla” esplora le strategie curatoriali e l’apparato promozionale legato all’arte di Duchamp.
In questa prospettiva curatoriale gioca un ruolo importante l’installazione Sixteen miles of String (1942) nell’ambito della mostra newyorkese First paper of surrealism in cui sono coinvolti André Breton e Max Ernst. È Elsa Schiaparelli a chiedere a Duchamp di curare l’allestimento della mostra che coinvolge circa cinquanta artisti tra cui nuove leve americane come Joseph Cornell. Una rete di filo disegna tutto lo spazio e avvolge le opere, i dipinti in mostra risultano frustrati e ambiguamente negati alla fruizione; così facendo, l’artista crea un dispositivo che accresce il desiderio del pubblico. Il libro contiene una bella fotografia di Arnold Newman e Duchamp stesso catturati nella rete.
ISTRUZIONI METICOLOSE
L’intensa ricerca della direttrice della Kunsthalle di Basilea si conclude con il terzo capitolo dal titolo The dead end of the museum/Il vicolo cieco del museo dove centrale appare l’analisi di Manual of Instructions for the assembly of Étant Donnés (1966). Una raccolta di materiali con i dettagli specifici per l’installazione di Étant Donnés, tra cui schizzi, fotografie, e le istruzioni fissate su pagine dalle quali emerge la devozione maniacale di Duchamp per i dettagli e le febbrili trattative per inserire l’opera all’interno del Philadelphia Museum of Art. Il merito della Filipovic sta tutto nel restituirci, attraverso una certosina ricerca documentale, nuovi elementi che non fanno altro che alimentare la grandezza di una delle figure artistiche più complesse della modernità.
– Marco Petroni
Elena Filipovic – The Apparently Marginal Activities of Marcel Duchamp
MIT Press, Cambridge MA 2016
Pagg. 360, $ 39,95
ISBN 9780262034821
https://mitpress.mit.edu/
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