Artestorie. Le professioni della storia dell’arte in un libro
Un volume descrive, grazie a un coro di professionisti, la complessità e ricchezza di una professione, quella dello storico dell’arte, fra crisi del sistema culturale, globalizzazione e nuove tecnologie. E la pietra miliare rimane la costruzione di cittadinanza e coscienza.
Non si tratta solo della raccolta di testimonianze (trenta per l’esattezza) di privati cittadini, che hanno in comune l’avere ottenuto una laurea in storia dell’arte. Ma della voce corale di un comparto professionale articolato, propositivo, con attitudine imprenditoriale e ad alto tasso di creatività, che cerca di sfatare i soliti stereotipi, forse causa, alla lunga, dell’irrigidimento degli ingranaggi del nostro sistema culturale.
Il volume Artestorie. Le professioni della storia dell’arte, a cura di Maria Stella Bottai, Silvia Cecchini e Nicolette Mandarano, esce nel 2016 dopo la pubblicazione di Archeostorie. Manuale non convenzionale di archeologia vissuta, indagine sulle professioni legate all’archeologia. Pubblicato dalla casa editrice Cisalpino, che per molti rappresenta l’editore di riferimento in campo universitario, ha come intento primario favorire l’orientamento degli studenti nelle loro scelte future, nel momento del delicato passaggio dalla conclusione degli studi verso l’ingresso nel mondo del lavoro.
Solo che, come ogni questione umana, assume sfaccettature complesse, dalle quali dedurre davvero “lo stato dell’arte della professione” in Italia e riflessioni collaterali sul comparto culturale. Come dichiarano le curatrici: “Con questo libro abbiamo voluto dare trenta possibili risposte alla domanda ‘Che fai nella vita?’. Le opportunità lavorative di uno storico dell’arte, nonostante la crisi che ci affligge da diversi anni, sembrano ampliarsi, almeno qualitativamente, anche grazie alla creatività e intraprendenza”.
ASPETTATIVE E REALTÀ
Molti di noi, che volevano dedicarsi al patrimonio artistico, sono cresciuti fra i banchi dell’università con due strade in testa, avvalorate dalla stessa accademia: fare la specializzazione, diventare ricercatore e infine insegnare in tutti i livelli dell’istruzione; o vincere un bel bando di concorso ed entrare in un grande museo a lavorare come conservatore e poi curatore. Forse questa prospettiva valeva venti anni fa, ma la situazione attuale manifesta ben altra complessità.
Il primo elemento macroscopico che si evince dalla lettura è che la storia dell’arte è uscita dai muri delle università e dei musei, e lavora ibridandosi in molti contesti trasversali, che hanno a che fare con i pubblici, la costruzione del senso di cittadinanza, ma anche con la produttività. “C’è chi è persuaso”, dichiara nel suo profilo Giovanna Capitelli, “e spesso anche i più lucidi e talentuosi fra i miei colleghi, che la storia dell’arte sia una disciplina da coltivare in pochi, come si coltiva una pianta di agrumi in un giardino segreto, proteggendola dagli agenti atmosferici con alte mura, in attesa di stagioni più ridenti e meno ventose. Io non amo i muri, detesto gli spazi angusti, il vento mi scompiglia i pensieri, e credo che la storia dell’arte possa riprendere e conquistare nuovi spazi, nuove menti, suscitando consapevolezza, guidare scelte, anche in tempi di legittima sfiducia, almeno quando la si pratica e la si trasmette con serietà ed entusiasmo”.
La storia dell’arte non sta solo nel settore pubblico, nelle pubbliche amministrazioni, ma vive anche nelle aziende, nei centri di ricerca, opera nelle periferie e intercetta i bisogni delle minoranze fragili, leggendo il contesto sociale con un piglio sociologico, produce da sé contenuti, processi e modi di proporsi. Un altro elemento evidente è l’andamento inversamente proporzionale fra la professionalità e le competenze e la valorizzazione economica nel mondo del lavoro. Più si produce contenuto capace di generare legante sociale, meno si è pagati. Infine, il concetto di passione è minimo comune denominatore e forza motivante e propulsiva del comparto: molte delle testimonianze partono con veri e propri statement, dove l’autore dichiara la sua visione strategica ed etica rispetto alla sua professione. Come se esistesse un codice deontologico comune a tutti gli storici dell’arte. Gli impatti sulla vita privata che genera la fatica di questa professione conducono anche verso una lettura empatica di alcune testimonianze.
“Le opportunità lavorative di uno storico dell’arte, nonostante la crisi che ci affligge da diversi anni, sembrano ampliarsi, almeno qualitativamente, anche grazie alla creatività e intraprendenza”.
Ma scendiamo di livello, per una visione più ravvicinata.
Il volume è suddiviso in capitoli tematici, che suggeriscono una mappatura del comparto professionale, aiutando in un maggiore orientamento e visione delle declinazioni potenziali: la formazione e ricerca; il museo e la soprintendenza; intorno e oltre il museo; le opere e le immagini; divulgazione e analisi dei pubblici.
Si ritrovano quindi gli sbocchi originali, con nuove articolazioni legate all’ingresso della tecnologia negli strumenti di indagine e diagnostica, dei social media per la comunicazione, di riflessioni intorno ai pubblici, all’accessibilità e alle trasformazioni sociologiche. Emerge anche il mercato dell’arte, con le sue sfaccettature legate alla produzione e sostegno degli artisti e promozione con il collezionismo privato o istituzionale. “Mescolateci. Non emozionateci (o meglio: che non sia l’obiettivo principale), ma fateci scoprire che cosa, chi stiamo diventando. Dateci strumenti per confrontarci in modo non troppo rischioso ma neanche troppo rassicurante. Portateci fuori dalla situazione di comfort”, così sostiene la ricercatrice e curatrice Anna Chiara Cimoli pensando alle potenzialità che la disciplina offre nell’incontro con le diversità culturali, sempre più concrete nella nostra società.
Molte delle testimonianze riportano l’assenza totale di normative in tema di politiche del lavoro, denunciando una fragilità di tutele, ma anche la resistenza delle istituzioni all’innovazione di processo, strumenti, ruoli.
Infine, il volume riesce a parlare non solo agli studenti, ma anche agli operatori, alla dirigenza, alle istituzioni di riferimento, perché dal basso, nella quotidianità, descrive perfettamente dove emergono difficoltà, portando soluzioni, e dando un quadro di analisi completo, dal quale poter partire per riformare e rinnovare il sistema culturale. Quindi, riesce a essere quasi programmatico, per la lucidità delle letture dei contesti, oltre a risultare un utilissimo strumento di lavoro e aggiornamento, anche per la ricchissima e trasversale proposta bibliografica.
“Molte delle testimonianze riportano l’assenza totale di normative in tema di politiche del lavoro, denunciando una fragilità di tutele, ma anche la resistenza delle istituzioni all’innovazione di processo, strumenti, ruoli”.
Negli intendimenti delle curatrici, l’indagine non si ferma a questo volume, ma prosegue sui social, con una pagina Facebook dedicata, per creare community e continuare l’indagine. Il messaggio, rispetto alle generazioni che escono dagli studi e si affacciano al mondo del lavoro, presenta tratti stimolanti per coloro che sono in grado di auto-proporsi e organizzarsi, ma sconfortanti per l’assenza quasi assoluta di reti di supporto e condivisione.
La storia dell’arte non è solo una disciplina accademica ben delimitata, ma uno speciale sguardo che mette in relazione passato, presente, futuro di una società, costruendo infrastruttura, legante sociale, significati, memorie, per leggere gli scenari contemporanei: “E in questo”, dichiara Valentina Valerio, “mi sembra anche possibile una diversa declinazione dell’ambiguo concetto di valorizzazione che, spogliato dalle dilaganti connotazioni economicistiche, si orienti piuttosto sui valori di appartenenza e di cittadinanza” .
– Neve Mazzoleni
Maria Stella Bottai, Silvia Cecchini, Nicolette Mandarano (a cura di) – Artestorie. Le professioni della storia dell’arte
Cisalpino Monduzzi editoriale, Milano 2016
Pagg. 236, € 23
ISBN 9788820510848
www.monduzzieditoriale.it
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