Passato quasi inosservato nella community del progetto italiano, il volume curato da Emanuele Quinz e Jehanne Dautrey restituisce un’interessante prospettiva storica sulle trasformazioni che interessano il mondo del progetto contemporaneo. Il libro indaga quattro fasi della storia del design: il Radical Design italiano con Alchimia e Memphis come naturali prosecuzioni, il design olandese degli Anni Novanta, il Critical Design inglese d’inizio Anni Zero e la scena più recente con un focus importante su alcune esperienze francesi. Proprio in Francia è stata pubblicata la prima edizione di Strange Design, from objects to behaviours, Paese dove operano gli autori, entrambi docenti presso l’Ecole nationale superieure des arts decoratifs di Parigi.
UNA STRATEGIA CRITICA
Sin dall’introduzione, Emanuele Quinz e Jehanne Dautrey chiariscono che ogni episodio indagato e analizzato appartiene a differenti temperature storiche e culturali, disegnando una complessa ramificazione di contesti territoriali e di tradizioni. Una molteplicità che ha richiesto una strategia critica piuttosto che una linearità storiografica, che pure è tracciata in maniera puntuale e dettagliata, ma obiettivo dichiarato della pubblicazione è quello di costruire uno scenario critico attorno alla genesi e agli sviluppi del Critical Design.
È la stranezza il paradigma attorno a cui ruotano le riflessioni degli autori con la finalità di definire diverse tipologie di “strani” oggetti accomunati dalla caratteristica di essere strumenti critici per indagare l’inafferrabile e mutevole condizione del design. A legittimare questa dimensione in divenire del mondo del progetto è stato coinvolto un insieme composito di figure sensibili ai temi declinati nel libro. Sono da segnalare gli interventi di: Gianni Pettena, Ugo La Pietra, Alessandro Mendini, Gijs Bakker, Jurgen Bey, Pieke Bergmans, Jan Boelen, Anthony Dunne e Fiona Raby, Elio Caccavale, Didier Faustino, Mathieu Lehanneur. “In anni recenti oggetti strani, ambigui, enigmatici, afunzionali e complicati sono emersi nel mondo del design. Oggetti che sono stati definiti di antidesign, radicali, concettuali o di critical design piuttosto che offrire risposte ci pongono delle domande alle quali occorre rispondere coinvolgendo elementi che implicano il valore politico e sociale di queste produzioni”, affermano Quinz e Dautrey
SULLE TRACCE DELLA STRANEZZA
Parte così un viaggio alla ricerca di stranezze che mettono in questione lo statuto disciplinare del design, prefigurando un possibile e necessario allargamento del suo campo d’interesse. Siamo abituati a guardare gli oggetti come user-friendly, come agenti che semplificano le nostre azioni quotidiane. Nello scenario ipotizzato da Strange Design ci troviamo, invece, di fronte a elementi che sovvertono questa dimensione per introdurci in un mondo intriso di unheimlich/perturbante. Un ribaltamento distopico che Anthony Dunne e Fiona Raby hanno ben declinato nel loro noto saggio Design Noir. Una drammatizzazione degli oggetti che sconvolge la superficie delle cose, del quotidiano per accedere a nuove letture del significato di progetto e rendere visibile l’inganno che spesso si riscontra in molta progettazione.
Come ci ha insegnato Ettore Sottsass, occorre guardare al funzionamento degli oggetti non tanto nella loro dimensione strumentale ed estetica ma come cose “capaci di connetterci con la vita”. È illuminante in questa direzione l’intervista a Gianni Pettena di Emanuele Quinz in cui si sottolinea, sin dal titolo removing barriers and divisions, una tensione del progetto a farsi network di connessioni con le arti visive, il teatro, la letteratura per indagare aspetti non più legati alla mera funzionalità. L’esponente del Radical Design afferma che le esperienze del gruppo che ruotava attorno al Global Tools erano orientate a un superamento dell’oggetto, creando così una condizione temporanea e apparentemente effimera, senza regole certe o funzioni specifiche. Pettena definisce queste pratiche che guardano agli esperimenti di Gordon Matta-Clark e della Land Art americana come “architetture mentali”. Ne è una testimonianza la sua Casa di ghiaccio del 1972.
FRA DESIGN E ARTE
In una lunga intervista raccolta nel volume, Gijs Bakker sottolinea, ancora, la dimensione interrogativa del design rispetto al mondo. Incalzato da Quinz su quali siano le differenze tra il conceptual design di matrice olandese e il Radical Design italiano, il fondatore di Droog risponde che è una questione di mentalità differenti, ma l’obiettivo è analogo ovvero quello di iniettare nel corpo sociale e culturale una riflessione profonda attorno alle cose che popolano il nostro quotidiano. Sulla questione della ambigua sovrapposizione tra design e arte Bakker risponde: “Per me, il design è arte perché entrambi mi aiutano a distinguere la qualità dalla spazzatura commerciale”. Ragionano, invece, attorno al ruolo del designer nella contemporaneità Anthony Dunne e Fiona Raby nel saggio Complicated pleasure, dove si evince l’importanza di molte ricerche che provano ad accendere i riflettori su questioni che hanno implicazioni filosofiche e con il mondo della ricerca scientifica. “La sfida è quella di sfumare i confini tra realtà e finzione così da rendere le ricerche più concettuali aperte a nuove possibilità senza restare imprigionati in un’unica metodologia progettuale”. Strange Design è una lettura che, come auspicato dagli autori, vuole contribuire ad avere un atteggiamento più aperto sul mondo del design.
‒ Marco Petroni
Jehanne Dautrey, Emanuele Quinz (a cura di) ‒ Strange Design: From Objects to Behaviours
It: éditions, Faucogney, France, 2016
Pagg. 378, € 30
ISBN 9782917053263
www.readit.fr/index.php?/catalogue/strange-design-us/
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati