Siamo giunti al terzo numero dopo il profondo restyling grafico e di contenuti che abbiamo approntato nel 2018. E mentre leggerete questo editoriale, il team dietro a tutto questo sarà in piena preparazione di una delle uscite più importanti dell’anno, quella che comparirà in corrispondenza della Biennale di Venezia a maggio. Tutto questo per affermare che forse è arrivato il punto di parlare un istante di noi. Non in maniera autoreferenziale, beninteso, ma facendoci carico della responsabilità di considerarci quello che siamo: un pezzetto di ciò che resta dell’editoria culturale del Paese.
Quando dico “parliamo di noi”, intendo effettivamente “noi” in questo momento. Noi, dunque, che abbiamo in mano e stiamo sfogliando un prodotto cartaceo. Un oggetto démodé? Superato? Secondo molti, inutile? Facilmente sostituibile con un’offerta digitale? Parliamone. A differenza di molte altre realtà di questo settore, non possiamo di certo venire accusati di esserci accomodati nel rassicurante nido della carta rifuggendo la sfida del digitale, anzi – come i nostri lettori sanno – gestiamo in parallelo a questo giornale anche i profili social di settore più seguiti, la newsletter più imprescindibile, il sito più letto senza grande tema di smentita. Dunque, qual è il senso di continuare a proporre prodotti editoriali modulati su supporti in crisi di identità, costosi, difficili logisticamente? Qual è il senso di veicolare qui contenuti pregiati invece di spedirli direttamente a centinaia di migliaia di persone attraverso piattaforme digitali e reti sociali?
La risposta è fin troppo semplice: i media si trasformano, si adeguano, modificano anche di molto la loro rilevanza rispetto agli altri media, ma tendenzialmente non scompaiono. E solitamente, mentre se ne celebra il funerale, trovano il loro nuovo ruolo, la loro nuova nicchia, il loro peculiare senso di esistere ancora. La morte della radio è stata annunciata più volte e oggi constatiamo come questo mezzo sia uno dei più in salute. Dopo l’arrivo degli ebook e degli audiolibri si è frettolosamente organizzata l’esequia del libro, il quale oggi è uno dei protagonisti che subisce meno la crisi del settore. Perfino il cinema, grazie ai film-evento, quelli che richiamano decine di migliaia di persone perché hanno contenuti coinvolgenti (spesso proprio artistici) disponibili per pochissimi giorni, sta ritrovando il suo senso.
Ecco perché crediamo, e molto, nell’editoria cartacea. Ci crediamo perché, presidiando più canali, ci rendiamo conto che ciascuno ha il suo linguaggio, il suo tono di voci, la sua articolazione di contenuti. E ciascuno è complementare agli altri nell’edificazione di un mosaico informativo che comunichi e insegni qualcosa ai lettori, accompagnandoli a essere più consapevoli e aggiornati sulle faccende che li interessano.
“La carta stampata riesce a dare – laddove ben realizzata – una magia e un “punto di vista unico”.
Per continuare a garantire questa varietà di contenuti e questa ampia offerta di canali abbiamo però bisogno del supporto di chi, con i propri investimenti, può garantire l’esistenza e la sostenibilità di intraprese costantemente al limite dell’equilibrio economico. E qui ci vengono in aiuto Dolce&Gabbana. Cosa c’entra il celebre brand di moda, troppo spesso deriso in un Paese che è abituato a prendere in giro i propri talenti invece di tutelarli? C’entra per una scelta strategica di comunicazione che l’azienda sta effettuando, che è profondamente significativa e di cui si è parlato troppo poco. Qui le parole di Stefano Gabbana: “Questo eà il momento di tornare ai magazine, e anche ai giornali, di andare nella direzione opposta rispetto agli altri. Siamo un’azienda del lusso, ed esprimiamo il nostro valore attraverso un punto di vista unico. Nel 2019 la stessa cosa vale per i magazine. Mentre tutti sono sullo smartphone, comprare la carta stampata potrebbe sembrare un lusso. In realtaà se ne ricava un punto di vista unico, preparato con cura e tempo. Per me eà il momento del grande ritorno delle riviste: potere alla stampa!” (intervista su Vogue.it, 15 febbraio 2019).
“I media si trasformano, si adeguano, modificano anche di molto la loro rilevanza rispetto agli altri media, ma tendenzialmente non scompaiono”.
La carta stampata riesce a dare – laddove ben realizzata – una magia e un “punto di vista unico”, nel quale agiscono i temi della “cura” (artigianale, aggiungiamo noi) e del “tempo”. Per anni il mondo del fashion ha foraggiato influencer insufflando milioni di euro in un sistema ai limiti del patetico; oggi quel sistema economico e creativo si sta rendendo conto che, abbandonando la carta stampata e sottraendole le risorse per fare cose con cura e dedicando tempo, stava segando il ramo su cui era seduto. Ovviamente non si chiede a brand e big spender di mollare il marketing digitale e di piantarla di fare progetti su Instagram, si auspica solamente un riequilibrio che permetta la sostenibilità a piattaforme semplicemente indispensabili (indispensabili!) per il sistema. Vale in maniera identica per il mondo della moda come per quello dell’arte. L’unica differenza è che il mondo della moda dimostra di averlo capito.
‒ Massimiliano Tonelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #48
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