La Foresta. Novelli Robin Hood dell’editoria
Tra le tante riviste patinate, scintillanti, con immagini accattivanti e provocatorie in copertina, spunta “La Foresta”, un nuovo progetto editoriale nato tra Parma e Reggio Emilia, che affronta il settore “periodici” con un diverso punto di vista. Vi raccontiamo di cosa si tratta.
Qualche settimana fa il MAMbo ha ospitato la presentazione di una nuova pubblicazione periodica: si chiama La Foresta ed è diretta da due giovani critici d’arte, Andrea Tinterri e Domenico Russo. Il titolo, con il suo font classicissimo ‒ campeggia su una copertina monocromatica, un fondo uniforme dal tono piuttosto spento (e così saranno anche le successive uscite) e l’aspetto vintage e anche un poco low profile – “vogliamo che ricordi un antico bollettino”, dichiara Andrea Tinterri –, è evidenziato dall’assenza di qualsiasi immagine o effetto grafico ammiccante; di contro, spiccano i nomi degli artisti e il sommario dei testi, che sono gli unici protagonisti del progetto e sostituiscono in toto fronzoli ed espedienti grafici o cartotecnici che caratterizzano quasi tutte le riviste d’arte: devono bastare le opere e gli scritti a convincere il lettore a sfogliare le pagine, leggerle e osservarle. Una scelta coraggiosa, come coraggiose e rigorose sono le altre linee guida che si sono imposti i due direttori e che, a loro dire, sono scaturite da una necessità diffusa. Li abbiamo intervistati per farci raccontare il “dietro le quinte” della loro creatura.
Cominciamo dal titolo: la foresta è un habitat intricato, buio e pericoloso – è piena di animali feroci, di una natura selvaggia –, ma ogni tanto si apre una radura soleggiata, gli uccellini cantano sugli alberi e l’aria è ricca di ossigeno. Cosa c’entra tutto ciò con l’arte contemporanea?
La nostra “Foresta” vuole essere un luogo di straniamento, dove rifugiarsi e allontanarsi per formare una nuova comunità. È un luogo che consente la massima libertà di movimento ma dove è pure elevato il rischio di perdersi: è uno spazio quasi anarchico, nel quale non ci sono vincoli. E la rivista vuole essere così: artisti e autori possono pubblicare i loro testi in piena libertà, basta che siano inediti; inoltre non vogliamo pubblicità che ci imbrigli in logiche commerciali (abbiamo dei sostenitori, in particolare BDC di Lucia Bonanni e Mauro Del Rio, ma non possono influenzare il progetto).
E in questo contesto complesso, come deve porsi il lettore per entrare nella vostra Foresta?
Chi affronta questo viaggio deve orientarsi da solo, in maniera autonoma. Deve ricomporre con le proprie forze una sorta di magma comunicativo perché i contenuti non sono didascalici, ma vogliono suscitare domande. Pertanto dal lettore pretendiamo una certa fatica, un trauma insomma, ma chi ha avuto modo di leggere La Foresta ha capito i nostri obiettivi, proprio perché rispondono a una necessità che in questi ultimi anni abbiamo chiaramente percepito.
Non ho ancora usato il termine “rivista” per La Foresta: ho ragione a chiamarla pubblicazione?
Sì, in effetti non è una vera e propria rivista: vogliamo farla uscire con cadenza semestrale, ma a ben pensarci si configura anche come libro d’artista, uno spazio di possibilità dove gli autori (di testi e di immagini) possono avere una linea di condivisione diretta con i lettori. Per fare un esempio, ci è sempre piaciuto molto Kabul e siamo partiti da quell’impostazione, prendendo invece le distanze dalle strutture classiche dei magazine, che sono troppo commerciali. Noi infatti – direttori artistici e non direttori responsabili, come vorrebbe una testata periodica – non filtriamo nulla e lasciamo massima libertà.
E la casa editrice?
Abbiamo scelto una casa editrice indipendente, che non fosse già specializzata in riviste d’arte: Nuova Editrice Berti, infatti, si occupa prevalentemente di narrativa straniera e non ha quindi legami consolidati con il mondo e il sistema dell’arte contemporanea. Questo ci consente una assoluta autonomia, al di fuori di logiche già affermate e che non possiamo condividere.
Quali sono le altre caratteristiche peculiari de La Foresta?
Oltre alla versione “standard”, è sempre prevista una tiratura limitata contenente un’operazione artistica più complessa: ad esempio, per questo primo numero, Alessandro Sambini ha voluto realizzare una doppia pagina centrale con degli sticker da posizionare su qualsiasi contesto già esistente. Non interveniamo sulle scelte degli artisti, e ciò comporta anche il rischio di “errori” editoriali, come le pagine bianche centrali che spiccano nella versione normale: comprendiamo che ciò possa essere spiazzante, ma riteniamo che anche una limitata dose di “fastidio” sia funzionale all’obiettivo finale.
Due direttori artistici: avete ruoli diversi o lavorate insieme condividendo ogni scelta?
Lavoriamo insieme, ci confrontiamo continuamente proponendo l’uno all’altro nomi che secondo noi possono rappresentare ciò che ci circonda. Abbiamo constatato ad esempio che negli ultimi dieci anni è tornata con grande forza la figura, ma la tendenza è anche quella di lavorare su progetti che diventano opera, intersecando continuamente i piani. Scegliamo gli artisti che secondo noi sono più in grado di penetrare la realtà circostante, il tempo in cui viviamo, e possono essere sia giovani sia affermati. Anche ai critici chiediamo un linguaggio che sia uno stimolo emotivo e che abbiano consapevolezza dell’oggi: per questo numero abbiamo chiesto un contributo a Lorenzo Balbi, che secondo noi sta facendo un ottimo lavoro al MAMbo, a Francesca Lazzarini, per uno sguardo sulla progettualità, ad Andrea Cortellessa, per una voce esterna al mondo dell’arte, a Emanuela Zanon, per una riflessione sull’iperconnessione, e a Luca Zuccala, per un focus sul mercato. Poi ci sono i nostri due testi. Dal punto di vista più pratico, procediamo scegliendo prima gli artisti e poi i critici, che scrivono sapendo già quali saranno le riproduzioni delle opere d’arte.
Punto dolente: distribuzione, vendite, aspettative… In un tempo in cui l’editoria vive momenti alterni, come sta andando?
Grazie ai contatti con il MAMbo, possiamo disporre della distribuzione da parte di Corraini presso il bookshop del museo. Sono già stati sottoscritti degli abbonamenti – pensiamo che siano fondamentali – e vendute alcune edizioni limitate. Contiamo molto sulle presentazioni, che riteniamo essere un ottimo veicolo per lanciare La Foresta.
Nel manifesto scrivete che non avete nulla da dire, se non “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Allora, cosa non volete?
Quella frase viene da una citazione di una poesia di Montale (Non chiederci la parola): siamo liberi e non vogliamo essere una delle tante riviste in circolazione, che contengono il 50% di pubblicità. Per il resto, staremo a vedere.
‒ Marta Santacatterina
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