“Non è un catalogo, è un’opera, libro opera a più voci…”, spiega Maurizio Nannucci mentre, seduto all’ingresso di Flat ‒ fiera del libro d’arte a Torino, dedica ad amici e timbra a secco copie della sua ultima fatica, con il viatico Let’s talk about art.
E di cosa sennò dobbiamo parlare nel clima ovattato e benefico di questa fiera che consola dalla faticosa e febbrile atmosfera di Artissima? Qui dove nell’ultimo piano Nannucci ha messo in scena una mostra esemplare di carte, formati e font che parlano di libro come architettura del pensiero e della forma, mentre in basso riceve amici e spunzona libri: titolo This Sense of Openness/Correspondence. Oggetto: un mattone di 500 pagine che raccoglie un diluvio di lettere, cartoline, disegni, scarabocchi, collage, giochi di parole, grafici, fotografie, francobolli, timbri, inchiostri, carta carbone, tracce di stilografica, biro, matita, pastello, acquerello e un carosello di nomi che conosciamo bene: On Kawara, Herman de Vries, Ben Vautier, Bill Viola, Pipilotti Rist, Haim Steinbach, Yoko Ono, Chen Zen, Joseph Beuys, Christo, Luigi Ontani, Alighiero Boetti, Olaf Nicolai.
Dunque, “let’s talk about art”, come altro non fa questo libro che nasce non come memoir, né per spirito Fluxus, ma dall’attitudine di un artista che voleva creare i social quando i social erano ancora nella mente di Dio ma poi, invece, quando sono scesi in terra si è rifiutato di usarli. Per questo anche le generazioni più giovani son lì che imbracciano carta e penna e continuano a scrivere “Dear Maurizio” e “Cher Nannucci” o a spedire come fa Cattelan messaggi sui sottobicchieri di una Wayne’s bakery newyorchese o Closky che invece preferisce cartoline calembour dove scrive in malferma e quasi infantile grafia “Two words/then tree words/ and now four words! Claude”.
ARTE E CORRISPONDENZA
Perché l’arte sa giocare con la materia e Nannucci di questa materia fatta di gentile corrispondenza fra continenti, Paesi, lingue, culture e avanguardie ne ha raccolta talmente tanta nella sua vita e conservata in grandi scatole nel suo studio che ora sceglierne questa piccola parte è stato difficile e doloroso e gli sembrava di tradire, ci dice, a far questo gioco di sommersi e salvati. Ma in realtà si son salvati quasi tutti e soprattutto la testimonianza, l’atto di resistenza, l’argine allo tsunami effimero che minaccia il futuro degli archivi a taglia le ali alla creatività della comunicazione. “Proprio la memoria”, scrive Elena Volpato in postfazione a tanto carteggio, “la necessità di conservare la vitalità degli scambi e della connessione di idee e progetti, è quello che ha spinto Nannucci a coltivare come un esercizio di resistenza all’effimero l’utilizzo della posta, l’invio di lettere e il fascino inattuale della cartolina di saluti. È anche per questa ragione che tra i suoi interlocutori si trovano figure delle generazioni a lui successive come Maurizio Cattelan, Rirkrit Tiravanija, Pipilotti Rist, Martin Creed, Jonathan Monk e Hans Ulrich Obrist. Tutti loro continuano a scambiare con Nannuncci messaggi in forma cartacea accettandone e condividendone il gioco di contrasto all’oblio…”.
SCAMBI E PENSIERI
Ma forse di ragione ce ne è anche una più profonda. Quella che affonda le radici in un isolamento attuale e in una mancanza di confronto che per paradosso sembra essere direttamente proporzionale alla diffusione dei social. Così, affondare il naso in queste lettere che parlano di scambi di cose e pensieri, di discussioni, di polemiche e dinieghi, di amicizia e progetti fa nascere spontanea la domanda: ma è ancora così viva tra gli artisti la consapevolezza di essere pionieri di ricerca e di pensiero, creature intellettuali indipendenti eppure legate al confronto con gli altri? C’è ancora questo senso di comunità e il senso di appartenere a un élite di costruttori di un futuro? E il bisogno di assoluta libertà nei comportamenti e nei giudizi? È ancora possibile che un artista riverito e celebrato come Alberto Giacometti nel 1962 risponda con un telegramma alle richieste di un giovane collega sconosciuto per promettergli il libro che vuole?
O che un potente come Vedova sia disposto nel 1963 a cedere un lavoro sottocosto, “di nascosto ai ‘mercanti’ che hanno fissato altri ‘valori’”(le virgolette sono di Vedova) al medesimo collega alle prime armi e dunque squattrinato?
O che nascano così spontaneamente, spedizione dopo spedizione, vere e proprie opere come fa Sol LeWitt nei suoi invii che diventano un progetto seriale; Herman de Vries che modifica i paesaggi giocando con i francobolli; James Lee Byars che, tra simboli e archetipi di cartoline con piramidi e obelischi, comunica non solo messaggi ma un’architettura del suo complesso immaginario. E mentre si sfogliano le pagine di questa piccola/grande opera corale che racconta nella quotidianità gran parte della ricerca del secondo Novecento svolazzano nell’aria tante domande, un filo di nostalgia e il desiderio che si ricominci a scrivere. Su carta.
Il dibattito è aperto.
‒ Alessandra Mammì
Maurizio Nannucci ‒ This Sense of Openness/Correspondence
FLAT & Zona Archives, Torino 2019
Pagg. 496, € 55
ISBN 9788894388718
www.flatartbookfair.com
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