Esiste un mondo a venire? Saggio sulle paure della fine è un testo profondamente politico, che ci proietta senza mezzi termini nell’“ontologia della nostra attualità”. Sin dalle prime battute occorre connettersi con il reale, con le enormi questioni che il mondo nel quale arranchiamo ci pone di fronte, abbandonando le proliferanti distopie che caratterizzano molta letteratura recente. Per meglio orientarci, gli autori ci invitano a rivitalizzare e considerare come assolutamente presente nel nostro tempo il famoso claim “no future”. Le inquietudini che emergono al tempo dell’Antropocene sono paragonabili e assimilabili alla corsa al nucleare che caratterizzava gli anni del movimento punk.
L’antropologo brasiliano Eduardo Viveiros De Castro e la filosofa Déborah Danowski provano a definire delle linee sensibili di pensiero per evitare l’apocalisse, definendo uno sguardo laterale e multifocale con numerosi riferimenti a film come Melancholia di Lars Von Trier o a romanzi come La strada di Cormac McCarthy, senza dimenticare Philip K. Dick e H. P. Lovecraft, scrittori che hanno contribuito a definire immaginari della fine. E non si tratta di fare allarmismo: sta realmente accadendo, ci ammonisce Thom Yorke. A partire dalla constatazione che viviamo un tempo accelerato dove “le cose cambiano così velocemente che per noi è difficile star loro dietro”, come afferma Bruno Latour, tutto sembra proiettarci oltre il limite di sicurezza, laddove i cambiamenti climatici giocano un ruolo decisivo per comprendere dove siamo.
UNO SGUARDO ALL’AMAZZONIA
Nel bilancio sullo stato di fatto del mondo, gli autori indicano alcune vie imboccate dal pensiero contemporaneo. In primis, una tendenza che vede l’approssimarsi dell’estinzione umana come indicato nel caso del Voluntary Human Extincion Movement di Alan Weisman, che punta, dopo l’estinzione volontaria del genere umano, alla restaurazione di una rigogliosa wilderness originaria. È il filosofo Ray Brassier a caricare questo scenario di ulteriore cupo realismo con il pensiero che “everything is dead already”. Sul versante opposto troviamo i redattori del manifesto accelerazionista Robin Mackay e Armen Avanessian, che propongono di aumentare la potenza tecnica del capitalismo finanziario globale fino a un punto di crisi irreversibile, superato il quale il cambiamento e la presa d’atto saranno inevitabili.
De Castro e Danowski si rifiutano di scegliere fra queste opzioni. Per loro, il mondo ha invece la necessità di spostare lo sguardo in Amazzonia. È qui che vivono gli Amerindi, veri e propri specialisti della fine, avendo testimoniato l’avvento dell’apocalisse da almeno cinque secoli con lo sbarco del colonialismo europeo. Il modus cogitandi et agendi di questo popolo libera il pensiero dalla sua visione eurocentrica aprendo lo scenario della fine a inedite strategie di sopravvivenza, che gli autori definiscono come il farmaco necessario per espellere dal pensiero occidentale ciò che ha consentito la catastrofe in atto.
‒ Marco Petroni
Déborah Danowski & Eduardo Viveiros de Castro – Esiste un mondo a venire? Saggio sulle paure della fine
Nottetempo, Milano 2017
Pagg. 320, € 17
ISBN 9788874526499
www.edizioninottetempo.it
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #48
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