Nella traduzione di Claudia Durastanti e Clara Ciccioni per Nero/Not, il saggio di Donna Haraway prende il titolo di Chthulucene: sopravvivere su un pianeta infetto. Si tratta di un atto di accusa contro l’Antropocene, il termine sempre più popolare con cui il chimico olandese Paul J. Crutzen definisce la nostra attuale epoca geologica. La Haraway condivide con i teorici dell’Antropocene la presa d’atto che l’umanità, gli umani, noi siamo diventati il più grande e pericoloso fattore d’influenza sull’ambiente terrestre ma denuncia che questa consapevolezza è fredda e poco attiva perché considera il cambiamento climatico e molti altri problemi ambientali della Terra con un grado inutile e improduttivo di inevitabilità, continuando a porre al centro di tutto l’uomo come essere superiore. Una prospettiva antropocentrica che Haraway sostiene sia responsabile della nostra problematica relazione con il mondo naturale.
La Haraway propone un cambio di paradigma definendo lo Chthulucene un modo di pensare tentacolare, non gerarchico che suona come un invito all’azione complesso e alternativo proprio all’Antropocene. Dalla consapevolezza di vivere su un pianeta infetto e tossico all’azione.
PRENDERE COSCIENZA
Tutto comincia con il prendere coscienza di essere nella merda fino al collo “staying with the trouble”. Così il pensiero della Haraway si dipana verso una sua proiezione futura in cui tutti gli esseri viventi e non viventi cooperano a una continua tessitura di relazioni senza una gerarchia deterministica ma mossi da un obiettivo comune: superare questo presente che la filosofa americana definisce come malato e ottuso. Un cambiamento di prospettiva che porta a un superamento dell’Antropocene tentando in maniera propositiva di evitare gli errori commessi che ci hanno portato all’attuale devastazione ambientale. Lo scopo è creare legami, parentele/kin, definendo nuove traiettorie di connessione creative e concettuali. Ecco che diventa più chiaro anche in termini etimologici lo Chthulucene, un termine, un sistema di pensiero che nasce dalla combinazione di due radici greche (khthon/terra e kainos/nuovo) che insieme denominano una nuova dimensione spazio-temporale che ci porta a convivere con il problema/trouble ma in una dimensione proattiva basata sulla capacità di reagire/in response ‒ ability.
RIFLESSIONI E RESPONSABILITÀ
Il saggio è una raccolta di riflessioni fatte in convegni, articoli etc. ed è dedicato “a tutti coloro che generano parentele nell’imprevedibilità della parentela”. “Passione e azione, distacco e attaccamento: ecco come si coltiva l’azione della responso-abilità/response ‒ ability. … La trama è nelle nostre mani”. Haraway visualizza quest’azione con il gioco del ripiglino, quel gioco che tutti abbiamo fatto almeno una volta intrecciando tra le mani un filo di spago per generare figure che vengono scomposte da altre mani con l’obiettivo di creare sempre nuove immagini. Un gioco che diventa sintesi potente e semplice allo stesso tempo di quello che siamo chiamati a fare. In questo gioco, Haraway chiama alle armi del pensare e agire filosofia, arte e scienza. Che si tratti di acquerelli di entità microscopiche, cartoni animati che riprendono la biologia delle orchidee, barriere coralline all’uncinetto e in rilievo, o giochi per computer che esplorano gli effetti dell’Antropocene, i metodi della filosofa femminista americana sono volutamente promiscui e senza gerarchie. Sono un invito ad avere il coraggio di scoprire a coltivare sensibilità e capacità nuove di risposta per il nostro pianeta infetto. Quasi un manuale di sopravvivenza alla catastrofe imminente che ci incoraggia a essere curiosi e agire relazioni e connessioni inedite.
‒ Marco Petroni
Donna Haraway ‒ Chthulucene: sopravvivere su un pianeta infetto
Nero Editions, Roma 2019
Pagg. 284, € 17
ISBN 8880560441
https://not.neroeditions.com
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