Un giorno di un anno imprecisato, Massimiliano Tommaso Rezza riceve da Versilia P., la sua anziana vicina di pianerottolo, una scatola contenente fotografie e memorie appartenenti al suo defunto marito, Salvatore M.. L’artista custodisce le immagini senza intenzioni, con rispetto e disinteresse, e solo dopo tempo comincia a osservarle: sono quasi tutte uguali, presentano un uomo anonimo, “un pusillanime” – lo definisce lui ‒, privo di particolare interesse; c’è qualcosa però in quelle foto che non può essere trascurato, la loro ripetitività, quell’incessante bisogno di affermare una presenza, un ruolo sociale, una rigidità d’animo che non può sfuggire al controllo; eppure questo succede, solo due volte a dire il vero, un elemento irrompe nella composizione e ne altera l’equilibrio: si tratta di sua moglie, Versilia P.. L’uomo, che fino a quel momento aveva mostrato sicurezza, appare impacciato, rigido, distaccato.
Un Salvatore M. inaugura il progetto editoriale Pneumatica, animato da questa volontà di raccontare, mediante le immagini fotografiche, storie che sono già impresse sulla superficie bidimensionale, mettendone in luce il potere testimoniale e le contraddizioni linguistiche.
Perché nasce Pneumatica?
Pneumatica è un progetto editoriale che espone, sistematizza e verifica alcune mie considerazioni sul fotografico e le traduce nella forma libro. Negli ultimi due anni ho cominciato a scrivere di e per la fotografia soprattutto per mettere a fuoco dei punti che ritengo urgenti: il peso della rappresentazione nell’intenzione dell’autore, l’estetica del documento fotografico, la forma del racconto fotografico, la registrazione dei fenomeni e quanto questi possono o meno essere indeboliti dall’intervento di registrazione fotografica, quanta ideologia o inconsapevole conformismo ideologico sono ancora presenti nell’ideazione e nella progettazione di un lavoro fotografico. Per mantenere l’attenzione su questi aspetti del fotografico, in attesa di poter scrivere ulteriormente su di essi, ho pensato di pubblicare dei libri nei tempi e nelle modalità che ritengo opportune o tempestive.
La scelta dell’autoproduzione è sempre una necessità in qualche modo politica. Cosa rappresenta nel tuo caso?
L’autoproduzione è una soluzione che aspira, almeno idealmente, alla totale autonomia e può mettere in circolo delle idee ed espressioni fotografiche che, pur appartenendo a questo tempo presente, possono offrire dei punti di approfondimento o di attrito con l’idea di “contemporaneo”.
Qual è il ruolo dell’indagine sulla materia fotografica nella contemporaneità e quali sono i luoghi a essa deputati?
Penso che il primo luogo deputato alla critica distruttiva e/o edificante del fotografico non può che trovarsi all’interno dei canali che comunicano il fotografico massicciamente. E, per questo, credo che i social media sono al momento il luogo ideale per un’operazione di intervento responsabile sul, per o contro il fotografico. Occupare i social media con una contro-fotografia è un modo per opporsi alla nevrosi del suo uso e alle forme che questo uso prende.
A un certo punto hai incominciato a interessarti a un tipo di fotografia che non prevedesse l’intervento dell’autore. Da cosa nasce questo particolare interesse per quello che tu stesso definisci “il fenomenico” della fotografia?
Non parlerei di fotografico ma di fotografici. Non esiste un unico modo di pensare, pianificare, scattare e mettere in mostra il fotografico. Il fotografico indifferentemente esibisce documenti veritativi, rappresentazioni e finzioni. Sono interessato a questo punto originario del fotografico: realtà e finzione non sono separate, ma coesistono in diverso grado di presenza sullo stesso documento fotografico.
Quanto è importante il corpus di fotografie su cui lavori rispetto alla singola immagine nell’emergere di questa fenomenologia del fotografico?
La lettura della singola foto è quasi sempre letterale, si concentra sulla riconoscibilità delle informazioni visive in essa contenute. Di contro, l’insieme delle immagini di una raccolta può, però, rivelare una struttura, un intento, una volontà che le dirige verso uno scopo. La singola foto, in questo caso, è soltanto una delle voci di un coro.
Però, nel caso del libro appena pubblicato da Pneumatica, Un certo Salvatore M., sono proprio due singole fotografie che, se osservate attentamente, mostrano un carattere inaspettato del soggetto principale dell’intera raccolta. Due sole fotografie che smontano l’intero impianto intenzionalmente autobiografico e narrativo della intera raccolta.
L’archivio fotografico di Salvatore M. ti è stato donato dalla sua vedova e c’è voluto un po’ di tempo affinché tu maturassi un interesse specifico per questa raccolta. Quali sono gli elementi che ti hanno colpito e in questo caso ci intravedi una volontà autoriale o si tratta di un’emergenza spontanea?
Sono stato colpito dalla chiara necessità di Salvatore M. di adottare il mezzo fotografico come uno specchio di fronte al quale posare per ricevere di sé l’immagine della propria persona sociale, per rassicurarsi che la propria apparenza fosse adeguata al ruolo pubblico che rivestiva. La costruzione di un’autobiografia per immagini è un processo spontaneo, parallelo e analogo a quello che presiede alla costruzione della propria personalità all’interno di strutture sociali regolari e normative. Ogni necessità di adeguamento a una norma che regola la propria esteriorità passa per la conoscenza delle regole estetiche che governano l’adeguatezza e quindi lo stereotipo. Per Salvatore M. la fotografia è specchio, e lo specchio è l’occhio dell’Altro.
A cosa stai lavorando per le prossime uscite di Pneumatica?
Il prossimo libro di Pneumatica si occupa della capacità automatica della macchina fotografica di registrare ogni piccolo particolare della scena che viene impressa sulla pellicola. A partire da cinque fotografie che ho fatto a Berlino a un pubblico che assisteva a un concerto all’aperto, ho poi ottenuto ingrandimenti molto spinti dei visi dei singoli soggetti di quel pubblico. Anche qui, la volontà dell’autore è contrapposta allo straordinario potere di registrazione del fotografico.
‒ Daniela Cotimbo
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