Città, capitalismo, architettura nel libro di Serge Latouche e Marcello Faletra
Il termine “riqualificazione”, specie se applicato alla città, può anche celare dinamiche fortemente capitaliste e di controllo sociale. Serge Latouche e Marcello Faletra approfondiscono il concetto nel saggio intitolato “Hyperpolis”.
Edito da Meltemi, Hyperpolis è un saggio che vede protagonisti Serge Latouche, teorico della decrescita, e Marcello Faletra, esperto di critica d’arte ed estetica. Punto nodale il capitalismo estetico, “vettore di controllo sociale attraverso la cultura, di cui le architetture-spettacolo sono il veicolo”. La città eccedente, l’Hyperpolis, dissimula l’intrinseca vocazione alla colonizzazione ammantandosi di false promesse: bellezza, crescita e sviluppo dello spazio pubblico. Al limite dell’insopportabile è l’uso reiterato e mistificatorio del concetto di bellezza che, mai quanto nel contemporaneo, precede stucchevoli siparietti ipocriti il cui unico scopo è l’abbindolare laddove crescita e sviluppo tendono al controllo politico ed economico, alla ‘disinfestazione’ sociale e alla desoggettivizzazione del territorio.
IL PUNTO DI VISTA DI LATOUCHE
Per Latouche la trasformazione del territorio in oggetto-merce passa attraverso il corpo stesso dei cittadini, rivelando una crisi di civilità che, provocata dal produttivismo, difficilmente può risolversi con le logiche di un greenwashing mascherato da ecosostenibilità. La decrescita, progetto sociale e politico omnicomprensivo, è indicata come l’unica via percorribile per evitare il disastro. Purtroppo la sintesi qui fornita dall’autore è insufficiente a rendere conto del lungo percorso teorico che da Come sopravvivere allo sviluppo. Dalla decolonizzazione dell’immaginario economico alla costruzione di una società alternativa e La scommessa della decrescita arriva a Per un’abbondanza frugale: Malintesi e controversie sulla decrescita. L’utopia radicale delle “otto R” (Rivalutare, Riconcettualizzare, Ristrutturare, Ridistribuire, Rilocalizzare, Ridurre, Riutilizzare, Riciclare) rimane una dichiarazione d’intenti che non intacca, come invece accade in altri scritti, l’ossimoro ‘sviluppo sostenibile’. Il lettore potrebbe trovarsi spaesato quando si auspica la città relazionale e al contempo si cita Yona Friedman: “[…] vivere nelle città in cui viviamo, ma organizzarci con meno spostamenti vivendo all’interno del nostro villaggio urbano, lasciando in disparte gli altri villaggi urbani, che non frequenteremo più perché troppo lontani”. (L’architettura di sopravvivenza. Una filosofia della povertà); e ancora quando si fa riferimento a “una riconversione, ma anche una sorta di deindustrializzazione. Il risultato di questa deindustrializzazione, realizzata grazie ad attrezzature sofisticate ma di facile utilizzo, sarebbe la prova che è possibile produrre diversamente. Anche se la quota di autoproduzioni non è totale, dovrebbe puntare il più possibile a esserlo”. Pur trovando citati alcuni esempi virtuosi, si rimane perplessi, chiedendosi quali siano i tempi, i modi, gli strumenti per la realizzazione di questa società felice.
IL PUNTO DI VISTA DI MARCELLO FALETRA
Marcello Faletra affronta l’urbanistica e l’architettura come psicopatologie che nello spazio urbano inducono esclusione, esercitano controllo, celebrano ideologie.
Spatial justice e Hyperpolis sono incompatibili secondo l’autore. Hyperpolis è un prodotto politico votato al consumo, al mercato, al capitalismo, e pertanto meccanismo di esclusione sociale. La costruzione di costosi moduli scenografici può cambiare l’assetto sociale ed economico di un territorio, producendo effetti collaterali di percezione illusoria della realtà. Quartieri popolari o periferici, zone extracittadine, sottoposti a ‘riqualificazione’ architettonica confezionano spazi capitalistici d’interdizione: “L’architettura come emblema e l’urbanistica come distribuzione delle differenze sociali”. Il sistema sociale verticistico si materializza in manufatto, marca la soglia innescando forze centrifughe e centripete: allontana ed esclude, blocca e rinchiude. Il risultato è in entrambi i casi l’atomizzazione della comunicazione sociale.
Faletra cita Las Vegas, avamposto del postmodernismo, e la nuova stazione TAV di Afragola quali facce di una stessa medaglia, “gesto narcisistico affermativo che fa a meno degli abitanti” reputandoli superflui. Las Vegas rutilante e brandizzata, accecante e psicagogica, realizza la disneyficazione architettonica lungo lo Strip. La stazione di Afragola, progetto di Zaha Hadid inaugurato nel giugno 2017, rimarrà un capolavoro fine a stesso sino a quando, per raggiungere i suoi spazi avveniristici, si dovranno percorrere stradine “al ritmo del carro da buoi”. Quello che doveva essere un importante snodo ferroviario per la Campania in realtà “nella sua seduzione avveniristica è una specie al di là dell’architettura” e dello scopo per il quale è stato concepito.
L’ambiguità dello spazio estetico capitalista, che celebra se stesso e la propria grandezza a scapito dei corpi che lo abitano, è il tema centrale di questo libro che decostruisce i miti partoriti dal potere. Si osserva la città attraverso uno specchio infranto, si colgono nei frammenti le dissonanze, il dissidio e il disagio, resi invisibili dalla cortina di un kósmos confezionato ad arte.
‒ Raffaella Ganci
Marcello Faletra, Serge Latouche ‒ Hyperpolis. Architettura e capitale
Meltemi Editore, Milano 2019
Pagg. 80, € 8
ISBN 9788855190466
http://www.meltemieditore.it
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