Per chi si occupa di editoria, negli ultimi anni è emerso il fenomeno degli independent magazine ma, come spesso accade, è raro che ci si soffermi sul reale significato dell’aggettivo independent e quindi, la questione che si pone è: cosa intendiamo oggi con il termine indipendente associato a un prodotto editoriale?
Se tralasciamo i periodici dell’Ottocento, in cui troppo nebulosa è la discriminante fra ciò che definiremmo mainstream – cioè la corrente più tradizionale e anche più seguita dal grande pubblico – e ciò che non lo è, possiamo tracciare le caratteristiche del termine indipendente.
Innanzitutto, visto che si tratta di un’analisi prettamente teorica, è necessario precisare che non vi è in queste righe alcuna volontà di giudizio, ma semplicemente il tentativo di fare chiarezza e stabilire alcuni princìpi validi per lo meno per il dizionario italiano, visto che nella tradizione anglofona i termini variano ulteriormente.
IN PRINCIPIO FU LA CLANDESTINITÀ: L’UNDERGROUND PRESS
In ordine cronologico, il primo dei termini utilizzato è quello di underground press, italianizzato spesso in stampa clandestina, per i prodotti realizzati in Europa negli Anni Quaranta del secolo scorso. Si tratta di riviste realizzate dalla Resistenza per diffondere idee e notizie in contesti caratterizzati da regimi totalitari come quelli comunista e nazista.
Caratteristiche principali sono la segretezza, con decisioni prese dal ristretto nucleo della redazione che è anche finanziatrice del progetto, la scarsità di mezzi tecnici e economici, la preminenza del contenuto sulla forma e la volontà di ampliare il pubblico attraverso una distribuzione clandestina. Si tratta di riviste come Libération in Francia; Fratelli d’Italia o La Comune in Italia, solo per citarne alcune.
La definizione di editoria underground diviene quindi di utilizzo così comune da comprendere anche la vasta produzione della controcultura degli Anni Sessanta, che realizza riviste come il San Francisco Oracle in California o Pianeta Fresco in Italia. Il contesto culturale e le possibilità tecniche sono ovviamente mutati e i nuovi prodotti si contraddistinguono per una fortissima vena creativa. La distribuzione, del tutto autogestita, si fa più organizzata e capillare per raggiungere un numero più elevato di lettori.
DAL DO IT YOURSELF AI MASS MEDIA
Con il riflusso degli anni della contestazione, l’editoria subisce un duro colpo mitigato solamente dalla produzione punk e dalla nuova etica del do it yourself attraverso il canale delle fanzines. Si indebolisce quindi – a partire dagli anni Settanta – il principio di condivisione dell’esperienza e si vira verso attività più individuali e più settarie grazie alla diffusione di strumenti quali la fotocopiatrice. È in questi anni che, con la diffusione del mezzo televisivo, si approfondisce il tema dei mass media e, superata oramai la definizione di underground press, si affaccia il nuovo concetto di alternative media di cui l’editoria è parte integrante.
L’ALTERNATIVE PRESS
Per alternative press si intende un prodotto realizzato con strumenti economicamente più alla portata, tendenzialmente simile nella veste grafica a quello mainstream ma che si pone l’obiettivo di dare copertura ad argomenti alternativi, il più delle volte scomodi e quindi evitati dalle grandi testate. Si tratta adesso di un’editoria organizzata che può contare su una propria rete di distribuzione e – in alcuni casi – anche su sponsor accettati però solo perché vicini al movimento. Si assiste alla nascita di generi e sotto generi quali quello ambientalista e LGBT, solo per fare alcuni esempi. Tipici di questo periodo che indicativamente copre gli Anni Novanta fino ai primi anni del nuovo secolo, sono riviste quali Adbusters negli Stati Uniti e Carta in Italia.
LA FINE DELLA CARTA
Ecco che negli ultimi anni si impone la definizione di independent press, in riferimento alla oramai vasta produzione di periodici da parte di redazioni non riconducibili a grandi gruppi editoriali. Cercando di mantenere i criteri utilizzati finora, notiamo come questi magazine nascono nella cosiddetta fine della carta, rispondendovi puntando sulla qualità e affidandosi alla cura artigianale del prodotto: dalla scelta della carta alle tecniche di stampa, dall’apparato iconografico al packaging. La tendenza a riferirsi sempre più a piccole nicchie di pubblico si intensifica ulteriormente portando a una specificità estrema dei temi e quindi dei lettori. Un trend, questo, in netta controtendenza rispetto alla versione classica che si poneva come obiettivo proprio la massima divulgazione anche a fronte di scarsissimi mezzi. Potremmo sottolineare come oggi che si può raggiungere potenzialmente l’intero pianeta, si assiste invece alla ricerca di minuscoli gruppi di lettori per prodotti che si intendono su misura.
PIÙ SENSIBILIZZAZIONE MENO RIVOLUZIONE
L’organizzazione e la distribuzione attuano regole simili al mainstream mentre, per i contenuti, si passa dall’hard al soft, abbandonando cioè i testi militanti sostituiti da tematiche più volte alla sensibilizzazione che alla rivoluzione. I magazine di oggi sono molto settorializzati, creati da redazioni altamente competenti, mosse oggi come allora da profonda passione e da una certa dose di pazzia. Prodotti sofisticati, tipograficamente all’avanguardia e dal punto di vista del contenuto estremamente approfonditi. Tutto ciò li rende dunque estremamente diversi da l’underground press o alternative press giustificando quindi la necessità di una analisi del fenomeno.
Concludendo, è giusto puntualizzare come l’editoria indipendente non si riduca oggi ai magazine ma sia, come mai prima, una moltitudine: dal fumetto indipendente alla stampa con ciclostile e risografia, dalle fanzine ai libri d’artista.
Un ecosistema sempre più complesso e allo stesso tempo ricco di possibilità che, come abbiamo tentato di dimostrare, ci accompagna da decenni in forme diverse ma sempre accomunate dalla volontà di seguire strade serie e libere.
‒ Francesco Ciaponi
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