Un poeta e un fotografo. Intervista doppia a Roger Ballen e Gabriele Tinti
La vita e la morte, la fotografia e la poesia. Un importante editore di Brooklyn ha da poco pubblicato un libro che vede protagonisti Roger Ballen e Gabriele Tinti. Ecco l'intervista doppia in versione italiana.
Mi raccontate qualcosa della vostra infanzia?
Gabriele Tinti: Vivo dove sono cresciuto. In una piccola città di mare del centro Italia.
Ho passato la mia infanzia chiuso in casa e a scuola, dalle suore. Mi ammalavo spesso e soffrivo di sonnambulismo. I miei dovevano rincorrermi di notte per evitare problemi.
Roger Ballen: Il mio primo libro si intitola Boyhood ed è il risultato di un viaggio via terra di cinque anni dal Cairo a Cape Town e da Istanbul alla Nuova Guinea. Per me l’infanzia o la “Boyhood” fu tra i 5 e i 10 anni e le esperienze vissute allora sono state messe in luce da questo progetto. È difficile separare la mia infanzia dai ricordi e dalle esperienze confluiti in questa pubblicazione.
Qual è la prima immagine che ricordate abbia avuto un impatto su di voi?
Gabriele Tinti: La macchia di sangue rimasta sulla strada, sotto casa, dopo l’incidente mortale occorso a un mio vicino. Ero molto piccolo. Quella presenza ostinata testimoniava la sua assenza. Ci misero giorni a lavarla. Li osservai all’opera: nel farlo la estendevano sempre più, ne davano ogni volta una forma nuova.
Roger Ballen: Mia madre lavorò alla Magnum negli Anni Sessanta e in quel periodo fece amicizia con personalità del calibro di Cartier-Bresson, Elliot Erwitt e altri. Casa mia era piena delle loro fotografie e dei loro libri. Ho ricordi vivissimi di queste immagini ed è difficile scegliere quella che per prima ebbe un impatto su di me.
E quale è stata la prima volta in cui il linguaggio ha assunto un significato potente?
Gabriele Tinti: Mio padre mi portava ogni domenica nel cimitero del piccolo paese di campagna da dove proviene la sua famiglia così come quella di mia madre. Le iscrizioni funebri, quelle epigrafi a rilievo o incise nel marmo, hanno segnato il mio lavoro. Poi, certo, il primo contatto con la grande poesia a scuola, la scoperta di Leopardi, Foscolo e più tardi Anacreonte.
Roger Ballen: Mi considero una persona “visiva” e non un individuo dotato di un orecchio sofisticato. Infatti le uniche materie in cui andavo peggio a scuola erano musica e spagnolo. D’altra parte ho una capacità visiva molto acuta e questa attitudine ha parzialmente contribuito alla mia abilità nel padroneggiare il linguaggio della fotografia.
IL PROCESSO CREATIVO SECONDO TINTI E BALLEN
C’è stato un prima e un dopo nelle vostre vite, un fatto che vi ha messo sulle vostre rispettive strade?
Gabriele Tinti: Nei miei vent’anni ho visto finire male molti amici e io stesso stavo toccando il fondo. In quel momento ho deciso di smetterla con l’eroina, di farmi consumare in quel modo. C’è voluto un po’, ma volerlo è stato decisivo.
Roger Ballen: Nel 1983, in un luogo chiamato Hopetown (dove fu trovato il diamante Hope), nella Provincia del Capo settentrionale in Sudafrica, decisi di bussare alla porta di uno dei suoi abitanti poiché fuori era caldo e assolato. Quando entrai in quella casa buia e ammuffita, notai dei cavi che attraversavano la casa e una serie di disegni scarabocchiati sui muri. Mi sentii liberato, affascinato dal fatto che non mi sembrasse soltanto di entrare nello spazio di questa persona, ma in un luogo nascosto della mia mente.
Che cosa viene per primo nel vostro processo creativo?
Gabriele Tinti: Uno scrittore non ha a che fare con la materia. Non ha bisogno di nulla. Quindi la prima cosa è l’urgenza spirituale, emotiva, corporale con la quale vieni preso da un’idea, con la quale la corteggi e ti disponi ad accoglierla.
Roger Ballen: Il processo creativo è davvero difficile da comprendere. Per capirlo del tutto biogna comprendere i meccanismi del cervello, psicologicamente e biologicamente. Nello specifico, la mia fotografia può iniziare con un segno sul muro, con un ratto in un angolo, con una persona che vuole partecipare. Qualsiasi sia l’evento, è come trovare un “sentiero nella foresta”. Inutile dirlo: trovare il sentiero e fare il primo passo non garantiscono il risultato.
Potete parlare di questo processo, come inizia, come si sviluppa e come raggiunge la sua conclusione, dando vita a qualcosa che il mondo può vedere o sentire?
Gabriele Tinti: Tutto per me inizia quando smetto di vivere, di stare in piedi e mi siedo.
In quella pausa, in quella sospensione, le cose si raccolgono e si trasfigurano.
A volte la scrittura si compone subito, come d’incanto, altre volte devi avere l’umiltà di riconoscere come abbozzo quel che stai mettendo su carta, devi rimboccarti le maniche e prepararti a un lungo processo di riflessioni e ripensamenti.
Roger Ballen: Il lavoro su un’immagine fotografica può durare alcune ore o addirittura alcuni giorni. Come in un dipinto, dove i colpi di pennello danno forma all’immagine sulla tela, una delle mie immagini può includere un pari quantitativo di decisioni. Come quando, mangiando, qualcosa ti fa capire che sei sazio, così accade con l’immagine: qualcosa nel profondo della mente dà al corpo l’input di prendere la macchina fotografica e di scattare. A volte alcune immagini sono così forti che implicitamente realizzi che hanno superato certi limiti, altre crescono decisamente nel tempo e altre ancora sembrano avere un impatto ridotto.
Perché scrivi poesie, Gabriele?
Per difendermi dalla potenza della morte.
Perché fai fotografie, Roger?
Per capire meglio chi è la persona che si chiama Roger Ballen.
Come vi siete incontrati?
Gabriele Tinti: Ho contattato Roger in occasione di una sua mostra a Roma chiedendogli un incontro. Abbiamo discusso a pranzo. Ho condiviso con lui le mie idee, su come le sue immagini trovassero una eco e una corrispondenza nella mia scrittura. Siamo partiti da lì.
Roger Ballen: Gabriele e io ci siamo incontrati per la prima volta a pranzo a Roma dopo anni di corrispondenza. Ci siamo sentiti immediatamente a nostro agio ed eravamo d’accordo sul fatto che Gabriele dovesse venire a trovarmi in Sudafrica.
IMMAGINE E LINGUAGGIO
Ciascuna fotografia ha un titolo, ciascuna poesia è una risposta a una immagine. Mi parlate della relazione tra linguaggio e immagine e di cosa significa per voi?
Gabriele Tinti: Arte e letteratura sono sorelle. L’una ha bisogno dell’altra. La mia è una fantasmagoria, una scrittura che fa parlare i fantasmi, i frammenti, le ombre evocate dalle immagini.
Roger Ballen: Ezra Pound, il famoso poeta, una volta disse che il modo più intenso per scrivere di arte è attraverso la poesia e la filosofia. Sono sempre stato d’accordo con questa osservazione; sfortunatamente oggi pochissimi critici sembrano conoscere questi ambiti.
Che cosa avete ricavato dalla vostra collaborazione? Roger, le poesie di Gabriele ti fanno vedere le tue immagini in una nuova maniera? E viceversa, Gabriele, la tua vita influenza la tua interpretazione delle immagini di Roger? Ci sono stati dei conflitti di significato?
Gabriele Tinti: Le immagini di Roger, come credo la mia scrittura, sono il frutto di un corpo a corpo drammatico, lacerazioni portatrici della memoria della violenza d’esser al mondo, sono desideri, preghiere, lamenti. Definiscono il tragico “dopo la tragedia”. Quel che resta tra le rovine. Le nostre conversazioni, il tempo che mi ha dedicato, la sua esperienza e generosità sono stati preziosi per realizzare questo libro.
Roger Ballen: La poesia di Gabriele sintetizza molti aspetti del mio immaginario e al tempo stesso crea altre interpretazioni che in qualche modo inspiegabile sono connesse al mio lavoro. Gabriele e io abbiamo una innata comprensione degli scopi che l’arte dovrebbe avere e quindi non ci sono stati conflitti di significato.
La mitologia e il simbolismo sono importanti per entrambi. Avete voglia di approfondire questo aspetto?
Gabriele Tinti: Il mito è la forza creatrice dell’umanità, ciò che nel tempo ci ha definito.
La mia scrittura muove dal quel che ne rimane, attraversa i cimiteri, fiuta le tracce di ciò che è scomparso. Nasce dal ricordo dell’antico e dal disprezzo del presente. È preparazione alla morte, corpo a corpo coi morti, divinizzazione degli antenati. È un tentativo disperato di tornare alla purezza dell’impulso artistico delle origini dove, così crediamo, non vi era distinzione tra sacro e profano ma soltanto il dispiegamento di un evento originario, del mito autentico incarnato in un culto.
Roger Ballen: Creare metafore e rivelare archetipi è forse un modo più corretto per descrivere l’intenzione delle mie immagini. Credo sarebbe corretto affermare ch mitologia e simbolismo rivelano metafore e archetipi.
INCONSCIO E MORTE
Cosa pensate dell’inconscio e come emerge nel vostro lavoro?
Gabriele Tinti: La mia opera è monologo, scaturisce da quel profondo vicolo cieco che è l’inconscio. Ogni fantasia, ogni illusione, risiede inquieta al di là della coscienza, è il nostro sapere nascosto, quello più prezioso. Compito dell’artista, del poeta, è destarla, comporla, darne forma.
Roger Ballen: Inconscio è un termine molto vago che in definitiva è difficile da comprendere. Ciononostante, quando io produco fotografie, cerco di lavorare con una mente organica, senza escludere un’area in favore di un’altra. Conscio e inconscio esistono entrambi nelle medesime cellule cerebrali.
Cosa pensate della natura e della mortalità? E della paura? E della luce? E della dignità umana e della sofferenza? Pensate che la sofferenza terrena aiuti a comprenderla?
Gabriele Tinti: La vita è una caduta, una progressiva decomposizione, una lenta dissoluzione, un naufragio. Noi tutti ci costruiamo nel dolore. È grazie al soffrire che accresciamo il nostro sapere. Perché il dolore, la sofferenza, è rischio, avventura, energia vitale. In esso forziamo i nostri limiti, ci apriamo a possibilità diverse, generiamo poesia. Grazie a esso ci solleviamo al di là di noi stessi, proiettiamo i nostri desideri, gli impulsi, trasfiguriamo le nostre paure.
Roger Ballen: La maggior parte dei comportamenti umani sono il risultato di miliardi di anni di evoluzione e possono fondamentalmente essere ridotti a pochi istinti che diventano sublimati. La paura della morte è forse l’istinto più pervasivo sia negli animali sia negli umani. Mentre la maggior parte degli animali non contempla la vita nell’aldilà, gli esseri umani sono ossessionati dall’enigma della morte. Anche se cerchiamo di comprendere e di venire a patti con questo argomento, ci saranno sempre più domande che risposte.
Gabriele, quando hai i tuoi momenti di rivelazione più emozionanti?
Quando sono alle strette. È in quei momenti che tutto ciò che ho accumulato emerge, viene liberato.
Roger, nella camera oscura, hai ancora quel brivido nel momento in cui l’immagine inizia a emergere oppure sai già che cosa avrai nel momento in cui scatti la fotografia?
Per circa cinquant’anni, ho lavorato solo su pellicola e ho sempre un brivido quando guardo i provini a contatto per la prima volta. Le mie fotografie non sono mai esattamente come le ho pensate. C’è sempre qualcosa di magico nel processo.
Qual è il futuro del realizzare immagini e del linguaggio?
Gabriele Tinti: Tutto è così logoro. Non c’è nulla che sia nuovo. È da secoli che immagini e parole coabitano in un medesimo spazio di creazione. Da sempre ci raccontiamo la solita favola, ci abbeveriamo alla stessa gola.
Roger Ballen: È impossibile predire il futuro del realizzare immagini, specialmente in virtù delle sempre nuove connessioni fra tecnologia e arte. Ciononostante, non possiamo aspettarci che il realizzare immagini o il linguaggio risolvano la maggior parte degli aspetti più complessi dell’esistenza. La vita è la vita.
‒ Louise Salter
Gabriele Tinti & Roger Ballen – The Earth Will Come to Laugh and Feast
powerHouse Books, New York 2020
Pagg. 160, $ 50
ISBN 9781576879481
www.powerhousebooks.com/
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