Riflessioni sull’alta formazione artistica. In un libro di Antonio Bisaccia

Passato prossimo, futuro anteriore e presente (in) remoto delle istituzioni AFAM. È ciò che approfondisce Antonio Bisaccia in “Burocrazzismo e Arte. Cronaca di un’equiparazione cosmetica nell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica”, edito da Castelvecchi e in uscita il 10 dicembre.

Quando il gruppo dei futuristi irruppe nel 1909 sulla scena culturale del mondo, stava mettendo avanti soprattutto un’esigenza: “svecchiare” l’Italia. Per quei giovani artisti, l’Italia era diventata da tempo un cimitero, un negozio di antiquariato, un museo dove si vive solo di un glorioso passato e non esiste alcuna cultura, alcuna arte all’altezza dei tempi nuovi. Detestavano le istituzioni culturali di allora, secondo loro decisamente antiquate. Uno di loro, Enrico Prampolini, fu espulso dall’Accademia di Belle Arti di Roma perché aveva distribuito un manifesto chiamato “Bombardiamo le Accademie e industrializziamo l’arte”! Il che non gli ha impedito però di diventare più tardi egli stesso professore in una Accademia di Belle Arti.
Come si sa, i futuristi hanno ugualmente dato un importante contributo all’irradiamento mondiale dell’arte italiana, che da allora in poi ha risolutamente partecipato alla modernità. Non si può, quindi, vivere solo di glorie passate! Ma non è sicuro che questa lezione sia stata intesa ovunque. Per chi considera la cultura soprattutto in termini economici, il gigantesco patrimonio culturale italiano è soprattutto uno dei settori essenziali dell’economia nazionale. Questo il vantaggio del patrimonio in oggetto: è già là, è gratis, costa solo un po’ in fatto di manutenzione (se la si fa). Grande introito, poca spesa. È come poter rivendere all’infinito una macchina una volta prodotta. Nessun bisogno di creare nuove opere di cultura.
Certo, anche il design italiano contribuisce al prodotto nazionale lordo. È in effetti integrato nei circuiti industriali. Ma le arti visive e la musica? Se non si crede che basta aver prodotto una volta per tutte dei Michelangelo e dei Verdi, per poter poi campare eternamente di rendita, allora bisogna, almeno di tanto in tanto, produrre nuova arte, nuova musica. Servono dunque artisti e musicisti, viventi. E per quanto possa essere grande la innata genialità italiana, un po’ di formazione ci vuole. Per questo esistono soprattutto istituzioni apposite: i Conservatori e le Accademie di Belle Arti, gli Istituti superiori delle industrie artistiche, l’Accademia nazionale di danza e l’Accademia nazionale di arte drammatica. La maggior parte di queste istituzioni hanno una gestione pubblica e non si finanziano principalmente con le tasse di iscrizione, ma con ciò che lo Stato, o altre istituzioni pubbliche, dispongono.

Le istituzioni AFAM non hanno mai ottenuto una vera parità di trattamento: in ogni senso”.

Qui cominciano i problemi, e qui comincia il viaggio articolato e complesso del libro di Antonio Bisaccia, Burocrazzimo e Arte. Cronaca di un’equiparazione cosmetica nell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, edito da Castelvecchi e in uscita il 10 dicembre 2020. Docente di teorie a metodo del mass media, direttore dell’Accademia di Belle Arti di Sassari e presidente della conferenza nazionale dei direttori delle Accademie statali, Bisaccia è impegnato da vari anni in una strenua difesa degli interessi e dei diritti del cosiddetto settore AFAM – Alta formazione artistica, musicale e coreutica, che include 20 Accademie di Belle Arti,  59 Conservatori di musica, 5 ISIA, 1 Accademia di danza e 1 Accademia d’arte drammatica, gestiti direttamente dal Ministero dell’Università e della Ricerca (Miur). Bisaccia non si limita alle riunioni nelle sale del Ministero, ma cerca di informare un pubblico il più ampio possibile su queste vicende scrivendo regolarmente su alcuni giornali e riviste a diffusione nazionale. Il volume consta di 15 capitoli i cui titoli sono già prodromici rispetto all’intero stile del libro: polarizzato verso una scrittura in cui il taglio giornalistico lascia ampio margine anche all’andamento di una prosa colta, acuta e graffiante.
Da una parte ci sono analisi rigorose e informate delle disposizioni legislative che si sono succedute, spesso disordinatamente, da 25 anni per regolamentare il settore AFAM. Qui si dimostra la profonda conoscenza della materia che ha Bisaccia. Altri passaggi sono più fluidi, molto spesso brillanti, cosparsi di citazioni letterarie congrue e funzionali al discorso, che descrivono il contesto culturale in cui si situa la battaglia per l’AFAM.

BUROCRAZIA E “RAZZISMO”

Perché il titolo “Burocrazzismo”? Perché l’autore denuncia da un lato il peso delle burocrazie che – spesso – con la loro inerzia, più che per cattiva volontà, finiscono per sabotare i tentativi di innovare adeguatamente l’insegnamento artistico e musicale in Italia. E poi perché alcune burocrazie ministeriali (non tutte, ovviamente) sarebbero “razziste” nei confronti dell’AFAM: che fa eternamente la parte del parente povero rispetto alle strutture universitarie. Nonostante la riforma del 1998, che ha staccato le Accademie e i Conservatori dal giro delle strutture post-secondarie per metterle alla pari con le università (soprattutto per quanto riguarda il valore equiparato dei diplomi accademici), le istituzioni AFAM non hanno mai ottenuto una vera parità di trattamento: in ogni senso. Ciò comincia con uno status giuridico-economico decisamente inferiore dei docenti coinvolti, continua con la poca attenzione ministeriale per l’edilizia e finisce con la lunghissima attesa dei dottorati AFAM. Solo recentemente, invece, grazie all’azione del Ministro Manfredi, queste istituzioni possono partecipare ai bandi pubblici per progetti di ricerca. In ogni caso, nonostante il forte aumento degli iscritti nelle AFAM (con percentuali inarrivabili relativamente all’attrazione di utenza straniera), dovuto anche alla capacità innovativa in ambito di programmazione didattica (come media art o cinematografia, etc…), il numero di posti in organico è rimasto identico da 25 anni.

I NODI DA SCIOGLIERE PER L’AFAM

A tal proposito, uno spiraglio concreto s’intravede, secondo Bisaccia, nella bozza di legge di stabilità che è oggetto di discussione in Parlamento in queste settimane. Esiste, comunque, un precariato “storico” che va risolto (in tantissimi stanno aspettando l’uscita del bando per la cosiddetta “205 bis”) e una disparità di trattamento tra prima e seconda fascia (ex assistenti) che non si giustifica più in nessun modo. E anche qui è in arrivo la norma che dovrebbe risolvere in un sol colpo di spugna il problema. Ma anche la normativa sul nuovo reclutamento, ora congelata, è tutta da rivedere. Un’altra grande pecca, sempre secondo Bisaccia, sono i numerosi corsi affidati, per forza di cose, a docenti a contratto, che svolgono un lavoro imprescindibile, ma in condizioni di grande precarietà. Tutti questi problemi si sono aggravati con la pandemia del Covid-19, cui il libro consacra un intero capitolo: l’insegnamento musicale e artistico è stato effettuato online in questo periodo, ma vi si presta particolarmente male. Come insegnare il violino o la scultura a distanza? Qui sarebbero particolarmente importanti degli investimenti specifici, a cominciare dall’investimento strutturale sull’edilizia.
Si sa che l’Italia spende molto meno degli altri Paesi sviluppati per l’istruzione; Bisaccia sottolinea con amarezza che, all’interno di queste somme già piuttosto ridotte, l’AFAM sembra sempre costituire l’ultima preoccupazione dei politici e dei burocrati. Ma questa politica miope del risparmio a tutti i costi mette a repentaglio il futuro del Paese dell’arte e della musica. L’autore torna più volte sui benefici della cultura sia per il miglioramento della società – per esempio per diffondere la necessaria coscienza ecologica – che per l’economia italiana in quanto tale (cita il famoso economista J. Galbraith che indicava già vari decenni fa l’importanza del fattore “estetica” per l’economia italiana) e infine per il soft power, cioè la presenza di un Paese sulla scena mondiale con altri mezzi che non siano solo politici, economici o militari.
Certi pensano che bisogna sostenere la cultura perché contribuisce al PIL o perché permette di contare tra i grandi Paesi del mondo anche quando l’economia vacilla. Ma è più coerente pensare che, comunque, la caratteristica essenziale dell’arte e della musica è proprio di non servire direttamente ad alcuno scopo, se non per la cosiddetta cura di sé (madre di tutte le battaglie), per quanto questa semplice verità entri difficilmente nella carica virale del pensiero comune. Bisaccia lo dice d’altronde chiaramente e con intensità in altri passaggi, come nel paragrafo Perché imparare l’arte? (spiegato a mia figlia). C’è una complessità e una lotta in essere tra l’aspetto pragmatico e tecnico della sua difesa dell’AFAM e il suo pensiero più profondo e letterario. Ciò non solo non diminuisce l’interesse di questo libro, ma accresce la necessità di una riscrittura profonda delle dinamiche della formazione terziaria in ambito artistico.
E questo serve anche a ricordarci, più prosaicamente, che Sine Cerere et Baccho friget Venus, se qui per Venus intendiamo la bellezza in generale. Bellezza che deve avere ‒come sottolinea più volte l’autore – un carattere ri-produttivo e non solo conservativo.

Anselm Jappe

Antonio Bisaccia ‒ Burocrazzismo e arte. Cronaca di un’equiparazione cosmetica nell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreneutica
Castelvecchi, Roma 2020
Pagg. 136, € 16,50
ISBN 9788832902044
www.castelvecchieditore.com

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Anselm Jappe

Anselm Jappe

Anselm Jappe (1962) è cresciuto in Germania e ha studiato filosofia in Italia e in Francia. Attualmente insegna Estetica all’Accademia di Sassari e ha insegnato al Collège International de Philosophie e all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales a Parigi.…

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