Arte per educare. Il nuovo libro di Marco Dallari e Paola Ciarcià
Argomento delicato e complesso, la didattica è un tema quanto mai attuale. Declinandola nel linguaggio dell’arte, abbiamo intervistato gli autori di un nuovo libro che combina educazione e creatività.
Abbiamo intervistato Marco Dallari e Paola Ciarcià, autori del nuovo volume Arte per educare.
Partiamo dal titolo scelto per il vostro ultimo libro. Dopo il riuscitissimo Arte per crescere, ora è uscito Arte per educare. Cosa vuol dire oggi parlare di istruzione?
A noi, che da molti anni ci occupiamo di educazione e formazione di educatori e insegnanti, sembra sufficientemente chiaro che, oggi, il compito della più importante istituzione educativa, la scuola, consista nel promuovere e favorire negli alunni i processi di strutturazione delle identità personali e cioè di quella autorappresentazione che significa avere percezione di sé in relazione agli altri. Quel senso d’identità personale, culturale, etnico, sessuale…che presuppone la relazione sociale che nasce e si rinforza tramite il rapporto con l’altro, sia che questi sia percepito come simile che come diverso.
Educare è senz’altro preferibile a istruire, dove per educare appunto si tenga conto del valore della differenza. Solo in questa visione le diversità legate alle caratteristiche genetiche, ai talenti e ai gusti personali, all’identità di genere, alla cultura d’origine possono trovare spazio in un modello di società in cui sia possibile la convivenza tra soggetti diversi, il tutto senza rinunciare al valore dell’uguaglianza riferito alla sfera del diritto e all’accesso alle opportunità, dove si può essere fieri di appartenere a una comunità educante.
Nei vostri libri non si parla mai di educazione scissa dalla crescita personale. Avviene lo stesso a scuola e presso le istituzioni educative in genere?
La scuola dovrebbe ‒ e potrebbe ‒ valorizzare la ricerca, la didattica per progetti, il lavoro di gruppo, ripensare spazi e tempi della didattica, essere capace di proporre ai suoi allievi modelli di cittadinanza attiva e di costruzione e valorizzazione delle soggettività.
In passato grandi protagonisti della sperimentazione della scuola attiva (John Dewey, Maria Montessori, Célestin Freinet etc.) hanno messo in atto metodologie educative che, a partire dall’organizzazione degli spazi, consentissero ai soggetti in formazione, all’interno della stessa classe, di compiere attività differenti in cui ciascuno potesse avere, attraverso il piacere di apprendere, l’opportunità di esprimersi.
Peccato che la maggior parte delle nostre aule scolastiche, fatta eccezione della scuola dell’infanzia e in parte di quella primaria, siano invece allestite in modo da rendere difficoltoso se non impraticabile il lavoro di gruppo e la possibilità di compiere attività diverse da parte di diversi soggetti per vivere lo spazio della scuola come un vivace e produttivo laboratorio. Negli ordini superiori invece viene dato notevole peso alla valutazione, perdendo così di vista un’esperienza autentica della realtà da parte dei giovani, e inducendo spesso i docenti a “somministrare” delle prove identiche e rigorosamente parcellizzate, in punteggi che prevedono somme e medie matematiche, queste sì complesse nel senso di macchinose quanto inutili, per un’equa valutazione. Da ultimo l’artificiosa suddivisione in discipline fa perdere di vista la complessità e la multidisciplinarietà del sapere creando pericolose iperspecializzazioni.
IL LIBRO DI DALLARI E CIARCIÀ
L’arte quindi come “strumento” giusto per superare la frattura tra sapere scientifico e quello umanistico?
È a partire dalla metà degli Anni Ottanta che viene superata la tradizionale distinzione fra le due culture, scientifica e umanistica, a favore di quella che viene chiamata teoria della complessità dove noi esseri umani siamo, come afferma il filosofo Edgar Morin, esseri sia fisici che biologici, sia culturali che spirituali e cerebrali ma soprattutto cosmici. Ecco perché le arti, e in modo particolare l’arte visiva contemporanea, in questo senso possono esserci utili, perché interpretano e illustrano la storia recente dei fatti e del pensiero, e sarebbe bello che a scuola, qualunque sia la “materia” trattata, le immagini delle produzioni artistiche potessero affiancare e rinforzare storia, scienza, filosofia, aprendo varchi e creando connessioni logiche e analogiche. Perché l’arte non è un ambito separato e distinto dagli altri, ma si fa strumento e serbatoio simbolico – come lo sono le parole, i numeri, i suoni… – che rappresenta e illustra la storia e i pensieri di quello straordinario animale simbolico che è l’essere umano. La centralità di questa caratteristica umana viene ribadita dalla filosofa e storica tedesca Hannah Arendt, secondo la quale ogni essere umano dopo la nascita biologica dispone di una seconda nascita che avviene quando “con la parola e con l’agire ci inseriamo nel mondo umano”. Cioè quella competenza simbolica necessaria ai bambini per diventare compiutamente membri della comunità umana e che deriva dalla cultura all’interno della quale nascono e crescono.
Come è strutturato il vostro libro?
Il libro è articolato in due parti: nella prima parte si ricostruiscono quelli che possono essere i fondamenti di una pedagogia non confinata in sé stessa ma protagonista di un cambiamento reale nei luoghi dell’educare, che sappia integrare, emozionare, valorizzare le differenze e costruire nessi tra arti, gioco, narrazione e scienza.
Nella seconda parte viene proposto un menù con temi chiave (tecnologia, casa, guerra, pace identità, fantasia, sogno, viaggio…) e altrettante suggestioni laboratoriali per “usare” l’arte come avventura e apertura al nuovo, per osare ed esplorare le diversità e le relazioni. Le arti (scultura, poesia, arte visiva, musica, cinema, fumetto…) sono esperienze allo stato puro, coinvolgono la mente, il corpo e il cuore; si alimentano di emozioni ma anche di tecnica, inducono a cogliere rapporti tra il mondo interiore e la realtà, predispongono alla riflessione e dissipano le paure, convivono con la bellezza e la passione.
IMPARARE VIAGGIANDO
Quale tema volete anticiparci e perché?
Sicuramente il viaggio! Non solo inteso come spostamento fisico ma anche come necessità di cambiamento interiore, bisogno di esperienze nuove e di rappresentazione di nuovi scenari e orizzonti, come dimensione che apre tutte le finestre dell’immaginazione! Il verbo viaggiare va d’accordo non solo con educare ma con molti altri come: partire, errare, scrivere, annotare, disegnare, conservare, fotografare, ricordare, sbagliare, scegliere, tracciare, programmare, sostare, osservare, distrarsi, sentire, perdersi, trovare e ritrovarsi, tornare, riconoscersi, sperimentare, cercare, arrendersi, orientarsi… Tutta la nostra identità si mette in gioco in un viaggio, che sia di un giorno o di un anno. In educazione, “il viaggio” è un passaporto per la storia, la geografia, la letteratura, la matematica, il movimento, l’identità, l’intercultura…
Ci sono allora i viaggi dei popoli che hanno migrato per cercare nuove terre per sopravvivere, per incontrarsi con altri popoli; quelli degli esploratori, degli scienziati o degli artisti di viaggiatori audaci, coraggiosi, intrepidi, avidi di conoscenza o piuttosto di nuove ricchezze. Ci sono i viaggi della mitologia greca che celebrano gli eroi in avventure di terra e di mare. E quelli di formazione come gli Erasmus che gli studenti di oggi svolgono in Europa e che potremmo in qualche modo paragonare al Grand Tour che tra Settecento e Ottocento ebbe come luogo d’elezione l’Italia, tappa obbligata nell’educazione dei giovani delle ricche famiglie inglesi, francesi e tedesche, per completare l’istruzione tradizionale da parte degli insegnanti privati.
E se doveste suggerirne uno a chilometro zero per queste feste?
Ci sono i viaggi fantastici dei poeti e degli scrittori che ci portano in mondi favolosi e quelli reali, raccolti nei diari di viaggio, che ci affascinano e meravigliano.
Ci sono poi viaggi che si fanno intorno al proprio tavolo, muniti solo di penna, di carta e di colori, e perché no di un computer! Da Marcel Duchamp a Joseph Cornell, moltissimi artisti hanno utilizzato oggetti come scatole o valigie per creare piccoli mondi poetici facilmente trasportabili. L’idea della valigia, grande o piccola che sia, racchiude in sé l’idea stessa di viaggio, ne è simbolo e metafora.
Ai lettori proporrei un viaggio nella memoria personale, un itinerario che ci porti dentro i nostri ricordi più cari legati anche a piccole cose o avvenimenti che hanno cambiato la nostra vita, incontri importanti, volti, luoghi, sensazioni indimenticabili. Possiamo dargli la forma di un diario di viaggio oppure conservarli in una sorta di piccolo museo, fatto di immagini, oggetti, materiali, con lo scopo di raccontarsi in una biografia che viaggia nel tempo e ci riporta al punto in cui siamo. Il nostro museo portatile della memoria diventerà così un viaggio “viaggiante”.
‒ Annalisa Trasatti
Marco Dallari e Paola Ciarcià – Arte per educare
Artebambini, Bologna 2020
€ 18,50
ISBN 9788898645787
https://www.artebambini.it/
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