Interpretare un capolavoro di Hans Holbein attraverso l’Amleto di Shakespeare
Nel suo ultimo saggio, “Il potere o la vita”, Nadia Fusini rilegge il quadro di Holbein il Giovane, “I due ambasciatori”, interpretandolo in modo strutturale e non storico. Proponendo un confronto simmetrico, tra l’opera dell’artista e l’Amleto di Shakespeare, suggerisce aperture di senso chiaramente in contrasto con le analisi accademiche.
Nadia Fusini è una traduttrice, una scrittrice, una saggista. Ha tradotto e commentato Shakespeare, Samuel Beckett e ha curato i Meridiani Mondadori dedicati a Virginia Woolf. Con l’ultimo saggio pubblicato, Il potere o la vita, rilegge l’opera di Holbein il Giovane, I due ambasciatori del 1533, interpretando con un taglio inconsueto l’enigma latente nel doppio ritratto. La pittura di Holbein è definita come “servile”, togliendo all’aggettivo qualsiasi connotazione spregiativa, nel senso dell’artista che serve l’arte, di uno che dipinge concentrato sull’apparenza senza tormenti creativi alla Dürer. Attento al dettaglio, devoto alla precisione e all’equilibrio compositivo. Ciò non vuol dire che la sua creazione sia solo copia dei soggetti e degli oggetti rappresentati, è noto che l’arte non imita il visibile, “ma rende visibile quel che non è”. Ne I due ambasciatori ciò che il quadro sembra raccontare è negato dal teschio, l’anima del dipinto è nell’infinita negazione di quella macchia.
I DUE AMBASCIATORI DI HOLBEIN IL GIOVANE
Fusini mette in risalto molti particolari del quadro: il tendaggio damascato sullo sfondo, i due uomini appoggiati a una sorta di scaffale che guardano chi li osserva e, nello stesso tempo, guardano oltre. Quello a sinistra, Jean de Dinteville in abito corto di velluto, indossa un berretto abbellito da una spilla. Molto elegante la sua camicia rosa, i tratti del suo volto sono decisi, vigorosi. La palandrana indossata dall’altro uomo, Georges de Selve, sul lato opposto, lo assimila a un uomo di chiesa. La sobrietà del suo vestire non nasconde l’eleganza, il suo volto è pallido, smunto, slavato, le sue mani magre e nervose.
Holbein caratterizza i personaggi, mettendoli in “un processo di vero e proprio embodiment”. Mediante accostamenti metonimici, il pittore configura mappamondi, un liuto, astrolabi quadrati, bussole, un libro d’aritmetica e uno di musica, inseriti in un mobile a due piani che divide il mondo celeste da quello terreno. È come se Holbein avesse voluto sottolineare gli elementi espliciti e realistici presenti nel quadro per valorizzare l’impostazione del dipinto: “L’uso del dettaglio realistico contribuisce alla costruzione del senso dell’insieme”.
INTERPRETARE I DETTAGLI NELL’OPERA DI HOLBEIN
In che modo? Osserviamo il liuto, a cui è saltata una corda. Cosa vuol dire? Bisogna ricordare che l’opera è dipinta nel 1533, l’anno in cui è in atto la rottura definitiva della Chiesa inglese nei confronti di Roma. Quindi il riferimento è allo scisma, alla fine di ogni armonia, al mondo che ha perso la bussola. Ancora, vicino al liuto ci sono quattro flauti fuori da una custodia che ne dovrebbe contenere cinque. Uno in meno, perché? La Fusini invita il lettore a compiere un salto concettuale plausibile: l’assenza di un flauto collima con la corda saltata del liuto. Preannunciano qualcosa d’inquietante, cessano di essere strumenti gioiosi che accompagnano la festosa vita di corte. Inquietudine accentuata da quella forma confusa. Da “qualcosa di informe e deforme…che colpisce come un pugno – un pugno nell’occhio” che inquina la rappresentazione. Che cos’è? A un primo impatto non sembra un’immagine. L’occhio non capta una forma riconoscibile, anche se inizia a profilarsi l’allarmante frattura tra l’essere e l’apparire. Ma l’incertezza non è destinata a durare. Se l’osservatore si sposta, assumendo una posizione molto inclinata, la macchia si configura come un teschio. Allora il quadro si decompone, la visione va fuori fuoco, la certezza dell’essere testimoniata dai due ambasciatori è compromessa radicalmente da quel teschio che proclama la precarietà del dato, la sua caducità. Nel quadro di Holbein “risuona, squilla forte l’allerta di uno stato di schisi, di disgiunzione”.
HOLBEIN E SHAKESPEARE
Definendo la sua interpretazione strutturale e non storica, Fusini propone una plausibile simmetria tra gli ambasciatori holbeiniani e l’Amleto di Shakespeare. Simmetria che si fonda su quel particolare interrogarsi filosofico/esistenziale del giovane principe là dove si chiede: “What’s a man” – che cos’è un uomo. E rispondendosi: “What a piece of work is man! How like on angel” – Che capolavoro è l’uomo! Quanto simile a un angelo. E nello stesso tempo: Quintessence of dust – polvere, nient’altro che polvere. Cenere.
Lo stesso vertiginoso contrasto s’incunea nel quadro di Holbein. Da un lato l’ingombrante fascino dei due ambasciatori, consapevoli del proprio status. Dall’altro quella sorta di lama perversa che si fa teschio e fa risuonare come un boato la scarsa consistenza della loro condizione mortale. In un tempo dominato dal Cogito ergo sum quell’oggetto oblungo fluttuante in primo piano disorganizza il campo percettivo. Dove prima il potere mondano aveva la meglio, ora domina il teschio. “I personaggi svaniscono e al loro posto nasce dal nulla il segno del nulla”.
‒ Fausto Politino
Nadia Fusini – Il potere o la vita
Il Mulino, Bologna 2021
Pagg. 168, € 12
ISBN 9788815291721
www.mulino.it
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