Una mostra e un libro su Piero Dorazio e il movimento ZERO
La casa editrice Skira ha da poco dato alle stampe “Spaces of Light”, un volume che indaga il rapporto tra Piero Dorazio e il movimento ZERO. Ne parla in questa intervista la scrittrice e docente di storia dell’arte Francesca Pola, curatrice anche della mostra speculare in corso presso la Cortesi Gallery di Milano.
Lo studio chirurgico della luce e l’analisi delle molteplici combinazioni di colori e sfumature hanno ossessionato Piero Dorazio (Roma, 1927 – Perugia, 2005) per tutta la vita. Un artista instancabile e dal respiro internazionale, sempre aperto ai linguaggi delle nascenti frontiere avanguardiste. Da Roma a New York, da Düsseldorf a Philadelphia, Dorazio era guidato da una costante frenesia creativa, una curiosità feconda che lo ho reso uno dei più influenti artisti italiani del Novecento.
Ad approfondire questo suo spirito aperto al confronto multidisciplinare è il volume SPACES OF LIGHT (Piero Dorazio e il movimento internazionale ZERO), in cui Francesca Pola, professoressa di storia dell’arte contemporanea al corso di laurea magistrale in teoria e storia delle arti e delle immagini della Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, passa al setaccio il rapporto tra Piero Dorazio e il movimento ZERO, fondato in Germania alla fine degli Anni Cinquanta da Heinz Mack e Otto Piene. Dal libro, edito da Skira, è nata anche una mostra speculare, a cura sempre di Francesca Pola, in corso fino al 30 novembre presso la Cortesi Gallery di Milano. L’accurata selezione di opere esposte consente di rendersi conto visivamente delle trame artistiche e concettuali intessute da Dorazio con il movimento originario di Düsseldorf.
INTERVISTA A FRANCESCA POLA
Nella mostra e nel volume SPACES OF LIGHT lei pone in relazione l’opera di Piero Dorazio con il movimento ZERO. Da cosa nasce questa idea?
Da tanti anni concentro il mio lavoro su ZERO, ma l’idea di porlo a confronto con Dorazio nasce in occasione del convegno internazionale sull’opera dell’artista tra gli Anni Quaranta e Sessanta, tenutosi nel 2019 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Per quell’evento preparai un intervento specifico sul rapporto tra Dorazio e gli artisti del movimento ZERO: quella fu la scintilla che ha poi portato alla stesura del libro e alla mostra.
Quali elementi accomunano l’opera di Dorazio con quella del movimento ZERO?
Il legame più forte si materializza nel comune intento di voler mutare l’identità dell’immagine. L’obiettivo è quello di superare la poetica dell’informale attraverso un’azione strutturata che negli artisti di ZERO si declina, ad esempio, nelle strutture in vibrazione composte da materiali non necessariamente pittorici, come i chiodi di Günther Uecker, mentre per Dorazio si realizza nelle trame. Dorazio era il pittore che affascinava i non pittori di ZERO per le sue composizioni esatte e mirate allo studio della luce.
C’è un artista di ZERO a cui Dorazio si sentiva più vicino?
Direi Heinz Mack, i due erano legati da una solida amicizia. In una recente intervista a Mack che ho realizzato per la mostra e che ho pubblicato nel volume SPACES OF LIGHT, l’artista asserisce come tutti i membri di ZERO fossero affascinati dalle estensioni di trame tipiche del tratto di Dorazio. Non da meno fu il rapporto con Otto Piene, altro padre fondatore del movimento. C’è da notare come, in entrambi i casi, Dorazio abbia coinvolto attivamente gli artisti tedeschi nella sua esistenza. Nel caso di Piene, fu Dorazio a introdurlo nell’ambiente accademico degli Stati Uniti, più precisamente quello della University of Pennsylvania di Philadelphia dove l’artista romano insegnava, cosi come sempre a lui si deve la prima mostra di ZERO in America all’Institute of Contemporary Art di Philadelphia, seguita pochi giorni dopo da quella organizzata a New York presso la galleria di Howard Wise, amico di Dorazio. Nel caso di Mack, fu sempre Dorazio a invitarlo a realizzare un mosaico per la stazione Barberini della metropolitana di Roma nel 1997.
DORAZIO IERI E OGGI
Nonostante fosse molto vicino a ZERO, Dorazio non vi ha mai aderito formalmente, cosa che, ad esempio, fece con il Gruppo Forma 1. Come mai?
ZERO non è mai stato un gruppo definito secondo manifesti specifici firmati dagli esponenti, piuttosto fu un laboratorio europeo che poneva in relazione più artisti con lo scopo di superare la poetica dell’informale, di conseguenza ciò che contava realmente era la comunità di intenti. Tra Dorazio e gli artisti di ZERO c’era un rapporto che trascendeva l’appartenenza tradizionale a un gruppo.
Quali artisti sono presenti nella mostra in corso presso la Cortesi Gallery?
La mostra è complementare al volume SPACES OF LIGHT, dunque costruita sul rapporto tra Dorazio e il movimento ZERO, ed è composta da una accuratissima selezione di lavori che rende plasticamente il legame tra gli artisti. Ad esempio, è esposta una importante opera di Otto Piene, corredata sul retro da una dedica dell’artista alla moglie del gallerista americano Howard Wise. Vi è una serie di carte realizzate da Dorazio e Mack alla fine degli Anni Cinquanta che, poste a confronto, evidenziano il comun denominatore del loro linguaggio espressivo. È presente anche Reading the Green, lavoro di Piero Dorazio esposto nel 1960 in una mostra organizzata da Max Bill in cui veniva posta in relazione l’arte concreta con i giovani artisti di ZERO.
Piero Dorazio non si è limitato al panorama europeo, difatti insegnò per circa un decennio alla University of Pennsylvania Philadelphia. Negli Stati Uniti degli Anni Sessanta, influenzati dalla Pop Art, come viene accolta la sua poetica pittorica?
Dorazio apprezzava molto l’arte americana, infatti durante i suoi soggiorni newyorkesi conobbe Clement Greenberg e tutti i componenti del Modernismo. Il suo stile era molto diverso dall’Espressionismo astratto americano, di conseguenza si fece notare subito per le ricchezze cromatiche dei suoi dipinti, meno drammatiche rispetto a quelle dei colleghi americani. Fu notato e rappresentato dalla Marlborough, principale galleria corrispondente tra Italia e Stati Uniti e, come risposta alla Pop Art, Dorazio partecipò alla storica esposizione Responsive Eye, tenutasi presso il MoMA di New York nel 1965, mostra che, come ho documentato nel libro, si apriva proprio con una sua splendida opera.
LA COLLABORAZIONE CON L’ARCHIVIO PIERO DORAZIO
Il volume che lei ha scritto è stato realizzato grazie anche all’impegno dell’Archivio Piero Dorazio. In che modo ha contribuito alla stesura del testo?
Tutta la ricerca è stata svolta con l’Archivio, il cui apporto è stato fondamentale per modellare concretamente la mia idea del volume e della mostra, così come è stato determinante l’impegno della Cortesi Gallery che, grazie al suo essere uno dei punti di riferimento internazionale per l’attualità di ZERO, ha reso possibile tutto questo. L’Archivio ha messo a mia disposizione moltissimo materiale interessante, mai mostrato prima, che mi è stato di grande aiuto nell’arricchire il testo di importanti contributi scientifici.
Vista la sua esperienza, crede che il ruolo degli archivi debba andare oltre la mera archiviazione e catalogazione delle opere?
Ho lavorato con diversi archivi sin dall’inizio della mia attività e credo molto al loro ruolo, non come semplice garanzia di autenticità, ma come volano per lo studio e la ricerca degli artisti che rappresentano. Ho avuto la fortuna di lavorare con la Fondazione Piero Manzoni e con la Fondazione Lucio Fontana, ad esempio, e con entrambe ho sviluppato progetti di grande respiro e profonda ricerca, dunque sì, ritengo sia auspicabile che il ruolo degli archivi non sia meramente rivolto al profilo commerciale.
DORAZIO E IL MERCATO
Negli ultimi anni si sta assistendo a una netta crescita delle quotazioni di mercato delle opere di Piero Dorazio, non solo sulla piazza europea, ma anche oltreoceano. Secondo lei a cosa è dovuto questo fenomeno?
Dorazio è stato un grande maestro dall’ampio profilo internazionale. Credo sia determinante il lavoro fatto negli ultimi anni dall’Archivio, sia in merito alla redazione del catalogo generale, cosi come relativamente a tutte le strategie adottate a tutela dell’autenticità dell’opera dell’artista. Queste operazioni costituiscono una garanzia per il mercato e gli acquirenti. Inoltre, le mostre come quella in corso alla Cortesi Gallery di Milano e il volume da me scritto possono approfondire e, dunque, mettere in luce anche nuovi aspetti di un’opera già di per sé enorme.
Qual è, secondo lei, l’eredità più grande che ci ha lasciato Piero Dorazio?
La densità di pensiero che vive nella sua pittura, una pittura intesa come sapere attraverso il vedere. Dorazio concepiva la pittura come un veicolo di conoscenza e trasmissione di cultura e profondità umane e mai come sensazione estemporanea.
‒ Antonio Mirabelli
Francesca Pola ‒ SPACES OF LIGHT. Piero Dorazio e il movimento internazionale ZERO
Skira, Milano 2021
Pagg. 208, € 40
ISBN 885724680
www.skira.net
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