Manifesto of Fragility è il tema della 16esima Biennale di Lione (fino al 31 dicembre 2022), curata dalla coppia composta da Sam Bardaouil e Till Fellrath, direttori della Hamburger Bahnhof di Berlino nonché commissari del Padiglione Francia alla Biennale di Venezia 2022.
Due i termini chiave: “fragilità”, intesa non “come un segno di debolezza, bensì come un fondamento dell’emancipazione”; e “manifesto”, che denota un approccio proattivo e performativo nei confronti dei temi trattati e non soltanto di lettura passiva dello status quo. Questo nodo, composto da un concetto e da un approccio, si declina in tre cerchi concentrici: il primo è individuale, incarnato dalla figura di Louise Brunet, donna realmente esistita che diventa simbolo di uno status che si ripropone lungo i secoli e i continenti; grazie alla sua microstoria emerge il legame tra Lione e Beirut, e ciò dà luogo al secondo cerchio, in cui la fragilità si declina nel racconto di uno specifico periodo della capitale libanese; infine, il cerchio più ampio assume una dimensione globale, in cui il tema si relaziona con la promessa di futuro, con la speranza, con la resilienza.
LA MOSTRA AL MAC DI LIONE
La mostra Beirut and the Golden Sixties, al MAC – Musée d’Art Contemporain, racconta il modernismo della capitale libanese nel periodo compreso tra il 1958, anno della crisi, e il 1975, quando scoppia la guerra civile. Con 230 opere di 34 artisti e oltre 300 documenti d’archivio, si narra come la scena artistica di Beirut fosse “un microcosmo rivelatore di tensioni transregionali più ampie”. La rassegna è estremamente interessante. Una mostra museale di grande livello, non foss’altro per la quantità e qualità di ricerca che ha necessitato. Disorienta tuttavia un focus geo-storico di questo genere, in sé concluso, nel quadro di una biennale d’arte contemporanea. Che si tratti di un trait d’union stimolante e funzionale nel progetto generale dei curatori è chiaro, ma la verticalità dell’approfondimento pare eccessiva. A confermare questa sensazione di “mostra autonoma”, il fatto che provenga dal Gropius Bau di Berlino (dove è stata allestita fino allo scorso giugno, e Berlino non è così distante da Lione) e che, nel 2023, sarà montata al Mathaf di Doha (dal 19 marzo al 5 agosto).
IL CATALOGO DELLA MOSTRA
A ulteriore avallo dell’autoconclusività di Beirut and the Golden Sixties c’è l’ottimo catalogo pubblicato da Silvana Editoriale – che firma l’intera produzione editoriale di questa Biennale di Lione. Ricco di immagini, anche dell’allestimento firmato da Andreas Lechthaler e Leendert De Vos, il libro contiene in particolare un saggio di Natasha Gasparian dedicato a The Trouble with Sex: Surrealism as Style in 1970s Beirut. Fra i tantissimi artisti presi in esame, invece, consigliamo di approfondire la conoscenza di Huguette Caland (1931-2019), consacrata nell’anno della sua morte da una retrospettiva alla Tate St Ives ma con grandi potenzialità ancora inespresse, ad esempio, a livello di mercato.
Marco Enrico Giacomelli
Sam Bardaouil & Till Fellrath (a cura di) ‒ Beirut and the Golden Sixties
Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2022
Pagg. 272, € 38
ISBN 9788836652945
https://www.silvanaeditoriale.it/
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #31
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