La sua fama è cresciuta all’ombra di Emilio Salgari, al quale aveva dedicato il suo primo romanzo, I flagellatori dell’oceano, che aveva pubblicato a vent’anni, preceduto da una lunga prefazione firmata proprio dallo scrittore. Fortuna o abilità? A considerare la vita di Luigi Motta (1881-1955), diremmo piuttosto la seconda, vista la sua capacità di guadagnare soldi con la scrittura, a differenza del maestro, più famoso ma anche più povero.
VITA DI LUIGI MOTTA
Luigi nasce nel 1881 a Bussolengo, da Filippo, piccolo proprietario terriero, e Giuseppina Annicchini: dopo dieci anni, i Motta si spostano a Verona, dove il ragazzo studia al ginnasio Maffei e poi al seminario. A sedici anni lascia la città per Genova, dove si iscrive all’Istituto Nautico per studiare da capitano di lungo corso, ma al secondo anno lascia la scuola e i suoi sogni di avventura, che trasferisce sulla carta.
Con i primi guadagni abbandona Genova per tornare a Verona, dove fonda la rivista di viaggi Attorno al mondo, che ebbe breve durata. Nel 1905 si trasferisce a Milano e comincia una vera carriera di scrittore di viaggi, pubblicando più di due libri l’anno con diverse case editrici e collaborando con riviste come il Giornale di viaggi e avventure di terra e di mare e L’Oceano. Giornale letterario di viaggi e avventure, fino alla fondazione della Biblioteca fantastica dei giovani italiani, pubblicata dalla casa editrice Società editoriale milanese nel 1907: sedici racconti brevi, su temi noir e fantascientifici, scritti da giovani autori.
IL SODALIZIO CON L’EDITORE TREVES E LA FORTUNA ECONOMICA
L’anno successivo firma un contratto con Treves e continua a pubblicare romanzi che uniscono all’ispirazione salgariana un’apertura verso la scrittura di Jules Verne ed Edgar Allan Poe: mantenendo intatta l’ammirazione per Salgari – che scompare nel 1911 –, dichiara di “voler dare un taglio scientifico al romanzo d’avventura”. Nello stesso anno Motta scrive La principessa delle rose: ambientato nel XXI secolo, descrive lo svolgimento di un conflitto combattuto con armi del futuro contro una confederazione asiatica nemica dell’Occidente. Una storia di fantapolitica a tutti gli effetti, anche se questo genere letterario non era ancora stato riconosciuto.
Dopo aver pubblicato dodici libri con Treves, nel 1920 passa a Bemporad per poi lanciare negli Anni Trenta la casa editrice OPM, ossia “Opere di Luigi Motta”, con notevole successo – anche economico – che gli permise di comprare una proprietà sul lago di Garda, dove si ritirava per scrivere. Ma nonostante questo pubblica anche romanzi a doppia firma Salgari-Motta, tre dei quali scritti dal ghost-writer Emilio Moretto: La tigre della Malesia (1926), Addio Mompracem! (1929) e La gloria di Yanez (1929).
L’OBLIO DI LUIGI MOTTA
Con la Seconda Guerra Mondiale il gusto del pubblico cambia e Motta viene dimenticato: nel 1951 pubblica il suo 88esimo romanzo, firmato Salgari-Motta: Sandokan, rajah della jungla nera, che viene del tutto ignorato.
Le ragioni del suo successo? Le spiega Elena Malaguti: “Salgari e Motta si trovano a scrivere in un periodo nel quale impera letteralmente il gusto per l’esotico e dell’avventura allo stato puro. In Italia non vi è altro narratore che si sia cimentato su questa strada, anche se entrambi non si sono mai mossi da casa. Hanno avuto coraggio. La differenza sostanziale tra i due, tuttavia, è che Salgari non solo si documenta molto accuratamente in biblioteca, ma gode anche di una genuina vena ispiratrice, mentre Motta, la cui prosa è tanto piatta da rasentare la sciatteria, non fa il minimo sforzo per rendersi edotto, ma si limita a copiare”.
Ludovico Pratesi
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