“Il libro dev’essere come un sasso che si butta per colpire”. E i suoi libri non erano piccoli sassi ma pesanti macigni, che denunciavano la situazione di arretratezza culturale del Meridione. Non è un caso che Laudomia Bonanni (L’Aquila, 1907 – Roma, 2002) fosse nata a L’Aquila, figlia di Giovanni, barone decaduto, fine musicista e commerciante di carbone, e Amalia Perilli, donna volitiva che sceglie il nome in omaggio alla protagonista del romanzo di Massimo d’Azeglio Niccolò dei Lapi, da lei molto amato. Una sorta di anticipazione del suo futuro destino di donna di lettere?
LA STORIA DI LAUDOMIA BONANNI
Fatto sta che Laudomia, fortemente incoraggiata da Amalia, si diploma nel 1924 all’Istituto Magistrale dell’Aquila, dando inizio a una carriera di insegnante che dura una vita intera. Gli anni dell’apprendistato la portano in alcuni paesini dell’Abruzzo profondo, dove gli abitanti vivono in condizioni di arretratezza estrema, per poi approdare alla scuola elementare De Amicis dell’Aquila, dove insegna fino al 1966. Nel 1938 diventa rappresentante dell’associazione delle donne fasciste presso il Tribunale per i minorenni della città, per diventare poco dopo giudice laico: un’attività che la mette in contatto con la realtà difficile e contradittoria dei ragazzi disagiati. In quegli anni coltiva la scrittura, sostenuta dalla madre che la convince a partecipare, nel 1948, a un premio per testi inediti lanciato dagli Amici della Domenica di Maria Bellonci, che Laudomia vince con la raccolta di racconti Il fosso. Un avvio significativo che la mette in luce nel mondo intellettuale dell’epoca, soprattutto grazie a un articolo sul Corriere d’Informazione, dove Eugenio Montale paragona la sua opera a Gente di Dublino di James Joyce. Insieme a Montale Bonanni viene recensita da Emilio Cecchi e Giuseppe de Robertis, tanto che nel 1950 vince il premio Bagutta opera inedita, mai assegnato a una donna fino ad allora. A questo punto la sua scrittura spicca il volo, grazie a uno stile sobrio e realista, che ben si sposa con il carattere dell’autrice, di indole solitaria.
BONANNI E LA SCRITTURA
Nel 1960 entra nella cerchia della casa editrice Bompiani, con la quale pubblica il romanzo L’imputata, vincitore del premio Viareggio, e quattro anni dopo, con L’adultera, si aggiudica il premio selezione Campiello. Tre anni dopo il pensionamento nel 1969 lascia L’Aquila per Roma, dove frequenta con regolarità il salotto Bellonci, ma nonostante arrivi in finale allo Strega per ben tre volte (1960, 1974 e 1979) non riesce mai a vincerlo. Nel 1985 Bompiani si rifiuta di pubblicare il romanzo La rappresaglia e le chiede di rivedere il testo. A questo punto Laudomia decide di interrompere per sempre l’attività letteraria e si chiude in un rigoroso isolamento, fino alla sua scomparsa avvenuta a seguito della rottura del femore nel 2002. Quasi dimenticata, la Bonanni è stata rivalutata di recente, anche grazie all’attività dell’associazione internazionale di cultura Laudomia Bonanni e alla ripubblicazione di molte sue opere. Nel 2007 il regista Carlo Nannicola le ha dedicato il documentario Come se il fiore nascesse dalla pietra. Omaggio a Laudomia Bonanni
Ludovico Pratesi
https://www.laudomiabonanni.it/
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