Indagare questioni urgenti, talvolta dense e scivolose, attraverso la sperimentazione della forma è una prassi ormai consolidata: deviando, per esempio, dai percorsi istituzionalizzati, gerarchizzati e dunque rassicuranti della scrittura saggistica e accademica. Tentativi che in Italia fanno ancora storcere il naso. Ma, si sa, il dibattito intellettuale nostrano è spesso paralizzato da eccessiva timidezza o da un’ipertrofica autoreferenzialità. Nei Paesi anglosassoni (ma non solo) la famiglia dei testi “ribelli” raccoglie sempre più consensi, anche in seno alle istituzioni universitarie. Tra i vari si possono annoverare Testo tossico (2015) di Paul B. Preciado o Panic Diaries (2006) di Jackie Orr. Il primo estremizza una lettura biopolitica dei regimi moderni occidentali, fondendola a un resoconto molto intimo e in prima persona del percorso anarchico di transizione di genere dell’autore. Il secondo intesse una narrazione sul disturbo d’ansia in cui privato e pubblico, politico e personale procedono di pari passo e si alimentano a vicenda.
DOCUMENTA 15 E LE QUESTIONI DELL’ARTE
Ma dove sono le opere d’arte? di Marco Enrico Giacomelli (Torino, 1976), appena uscito per i tipi di Castelvecchi, nella collana Fuoriuscita diretta da Christian Caliandro, si aggiunge a questa compagine di libri che già nella forma rifiutano la pressione della disciplina, la linearità o altri canoni della forma saggistica egemone: è un glossario che abbraccia 21 lemmi, come le 21 lettere dell’alfabeto italiano. Ogni voce del libro (A come Arte, E come Ecologia, H come Holobiont, U come Universalismo, Z come Zoe e così via) corrisponde a una o più suggestioni scaturite dalle opere e dai protagonisti di documenta 15 (da Dan Perjovschi a Taring Padi, da Amol K Patil agli Archives des luttes des femmes en Algérie, passando per Jumana Emil Abboud). Svoltasi a Kassel con la curatela del collettivo di Jakarta ruangrupa tra giugno e settembre dello scorso anno, per Giacomelli è stata la manifestazione artistica che forse più di ogni altra ha messo in campo “in maniera tanto produttiva una messe di questioni non inedite ma estremamente urgenti”.
IL LIBRO DI MARCO ENRICO GIACOMELLI
Un po’ alla Mille piani di Deleuze e Guattari – due pensatori che riecheggiano spesso nel libro di Giacomelli, direttamente o tra le righe –, Ma dove sono le opere d’arte? incoraggia un approccio nomade al testo e non una lettura tradizionale dal principio alla fine. Non un vezzo di forma né una sperimentazione fine a sé stessa, bensì un invito a voli pindarici, ad accessi laterali, a prospettive molteplici, multidisciplinari e “altre” sulle tensioni trattate nel libro: inedite e stimolanti proprio perché emancipate dalle logiche convenzionali.
I 21 lemmi compongono una sorta di superficie rizomatica, seguendo un’altra immagine deleuziana: un intreccio di radici sotterranee che si avviluppano senza uno schema codificato, configurando le più imprevedibili combinazioni di idee. È così che questioni come la relazionalità dell’uomo con l’ambiente e l’altro-che-umano, l’ecologia, i femminismi, l’arte come dispositivo politico, l’antropocentrismo e l’antrodecentrismo, il senso di futurità e il pensiero utopico, le dinamiche neoliberiste del mercato dell’arte vengono messe a fuoco da prospettive radicali che impastano sapientemente speculazione filosofica e studi culturali, approcci intersezionali, decoloniali, queer e antispecisti.
PRATICHE ARTISTICHE TRA LEGITTIMAZIONE E RIVOLUZIONE
Tra i nodi critici del sistema dell’arte contemporaneo esplorati nel libro, il più stimolante è forse quello dedicato alla portata politica e al potenziale liberatorio e rivoluzionario delle pratiche artistiche. Ancora una volta un po’ deleuzianamente (non ce ne voglia l’autore che si professa più vicino a Derrida che a Deleuze) viene smontata la retorica che aleggia intorno alla cosiddetta arte politica, in cui “politico” viene troppo spesso codificato come “rivoluzionario”. È politica quell’arte che contesta narrazioni normative, che resiste allo status quo, che immagina un futuro alternativo: ma è politica anche quell’arte che viceversa rinforza, perpetua e legittima gli assetti del sistema egemone. E seguendo questa linea di pensiero, sempre attenta a scansare le polarizzazioni e le semplificazioni su cui il dibattito tende spesso ad appiattirsi, si passa inevitabilmente al ruolo dell’artista oggi. In che misura possono essere davvero rivoluzionari quelle artiste e quegli artisti che si professano dissidenti, nelle intenzioni così come nei contenuti e nelle forme, se perfettamente integrati in un apparato istituzionalizzato come quello dell’arte contemporanea?
L’ARTE COME SPAZIO DI CONTESTAZIONE E SABOTAGGIO
Fino a che punto si può parlare di creatività pura e di pratiche liberatorie se i confini e le regole vengono dettati da flussi di potere, capitali, idee, tendenze e consensi in seno a un meccanismo che capitalizza persino la presenza e la mobilità dei suoi interlocutori (vip, artisti, curatori, critici, collezionisti)? Ma dove sono le opere d’arte? passa quindi in rassegna quelle pratiche che rifiutano radicalmente ogni compromesso, che mandano in cortocircuito il “quadro sistemico”, sulla scia del “glitch feminism” di Legacy Russell. Sono gli spazi del sabotaggio delle regole, della celebrazione del fallimento, dei “femminismi ombra” secondo Jack Halberstam, del rifiuto del successo e dell’integrazione omologante. Ma anche lo spazio del masochismo e dell’autodistruzione, delle pratiche antisociali secondo Oscar Muñoz e Lee Edelman: un archivio, insomma, di strategie che Giacomelli definisce “liquide o, meglio, gelatinose” che possono scuotere le coscienze dilatando i confini di ciò che accettabile e pensabile, proiettando scenari altri e liberi dalle logiche del pensiero neoliberista che saturano tutte gli interstizi del reale (mondo dell’arte non escluso).
Edoardo Pelligra
Marco Enrico Giacomelli – Ma dove sono le opere d’arte?
Castelvecchi Editore, Roma 2023
Pagg. 176, € 18,50
ISBN 9788868265236
http://www.castelvecchieditore.com
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