Nathalie Heinich, nel suo Il paradigma dell’arte contemporanea. Strutture di una rivoluzione artistica (Johan & Levi, Milano 2021), punta sulla discriminante epocale per attribuire all’arte contemporanea un assetto dal portato rivoluzionario, un assetto sincronico. Questo assetto richiede, agli attori che lo sostengono, appropriati criteri di esistenza, a prescindere dal linguaggio che li qualifica o li rappresenta. Heinich, ovviamente dal suo particolare punto di vista, riscontra il carattere paradigmatico dell’arte contemporanea usando la definizione di Thomas Kuhn, secondo la quale un paradigma definirebbe una concezione di un mondo in cui una teoria esiste e insiste condizionandone la percezione. Ebbene, ciò è per la sociologa francese quel carattere peculiare del contemporaneo che si distacca dall’arte moderna e classica, ossia una teoria dissociativa che determina una prospettiva ben precisa. Questa prospettiva allontana l’autrice dalla psicologia sociale che Pierre Bourdieu ancora applicava alla teoria del campo, consolidando una posizione concentrata sullo studio dei nuovi rapporti di forza tra attori e istituzioni già operanti, in modo sistemico, nell’arte moderna. Chi si aspetta da questa indagine una definizione di comparti culturali, però, resterà deluso. Questo libro, infatti, intreccia una raccolta di esempi e di aneddoti al fine di riconoscere nei ruoli una realtà, evitando accuratamente di indagare sul gusto in una dimensione sociale.
IL PARADIGMA DELL’ARTE SECONDO HEINICH
La qualificazione disciplinare che Heinich aveva cercato nella Sociologia dell’arte (il Mulino, Bologna 2004), dopo averla trattata ne Il triplice gioco dell’arte contemporanea (Je triple jeu de l’art contemporain, Les édistions de minuiit, Paris, 1998) puntando, più che sulla verifica di un discorso che muove dal genere letterario della critica, sulla ricerca di un significato a partire dal riconoscimento di discorso tipico di un contesto. Sostituendosi a immagini e artisti, i discorsi sono, infatti, in grado di far esistere le opere diventando l’unico materiale costitutivo; in egual misura, l’interlocutore, cioè il pubblico dell’arte, risponde all’impossibilità di connettere l’idea consueta di arte a ciò che abitualmente viene proposto come fatto straordinario. Heinich ha individuato questo problema nella richiesta continua di significazione, carattere principale del paradigma, rilevando l’esistenza di un “accanimento ermeneutico” ovverosia: “la sistematicità e l’insistenza di questa ricerca di significato” tipica del discorso sull’arte, richiesta spesso avanzata dal pubblico più per giustificare un prezzo che per legittimare un valore culturale. È, quindi, la ricerca di un senso da comunicare a spingere, secondo Heinich, i narratori d’arte contemporanea a scegliere nuovi spettatori tra coloro che si trovano spiazzati dalla particolare distribuzione dei sensoriali e delle sollecitazioni emotive nell’arte contemporanea (al riguardo, basterebbe ricordare i libri di Mauro Covacich e Alice Zannoni su come spiegare a marito e nonna l’arte contemporanea). Heinich, che misura la figura “noumenica” del curatore, sembra evitare ogni logica spiazzante, specie quando a una esposizione si sostituisce un’operatività diluita nel tempo sotto forma di indagine progressiva e ondivaga. Concentrarsi sul curatore e sulla sua eccessiva disinvoltura nella regia espositiva significa però distogliere l’attenzione dal potere della rete di ridisegnare gli ambiti di riconoscimento. Pertanto, rimettere in gioco la correlazione tra direttore museale, gallerista e artista, in pratica la forma più classica di sistema dell’arte, quali modelli su cui riflettere in termini di riconoscimento dell’arte arte, significa sottovalutare il continuo affinamento della comunicazione per immagini.
I PROTAGONISTI DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Qui il campo di ricerca di Heinich, sembra occuparsi, infatti, più della celebrazione istituzionale dell’arte che della sua frammentazione nel mondo digitale. Dal “paradigma” emerge, infatti, la disponibilità dei dati materiali che oggi sembrano destinati a una trasformazione dell’arte non solo da esperienza diretta a esperienza mediata, ma da investimento reale a valuta virtuale e, infine, da incerto valore strutturale a certo strumento “predizionale”. L’immaterialità dell’arte contemporanea, carattere spesso evocato dall’autrice, sembra ricondensarsi oggi in un processo che non punta sull’eventuale ricongiungimento tra arte e pubblico, quanto piuttosto sulla facilità di circolare sotto forma di discorso condiviso. Sicché, invece del rito della mostra, dell’esperienza corale in uno spazio comune, all’arte sempre più spesso si partecipa da remoto: ciò è riscontrabile nell’abuso del commento immediato, carattere peculiare di quella che Cristian Caliandro chiama “arte fighetta”. Il saggio di Natalie Heinich ha comunque il merito di sciogliere definitivamente i presupposti ideologici della storia sociale dell’arte nell’indagine sociologica. Il suo ragionamento procede, infatti, oltre l’impostazione psicosociale per concentrarsi sulle dinamiche di scambio. La sociologa francese, che nel libro cita spesso l’operato e le affermazioni di Maurizio Cattelan, ci illumina sugli effetti delle nuove relazioni tra attori dominanti e subordinati, tra sedi e modalità espositive come condizioni imprescindibili per il mondo dell’arte contemporanea.
Marcello Carriero
Nathalie Heinich ‒ Il paradigma dell’arte contemporanea. Strutture di una rivoluzione artistica
Johan & Levi, Monza 2022
Pagg. 272, € 27
ISBN 9788860103147
https://www.johanandlevi.com/
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