He-Yin Zhen è vissuta a cavallo tra XIX e XX Secolo, femminista attiva tra i movimenti anarchici cinesi di base a Tokyo, morì presumibilmente nel 1920, a 33 anni. I suoi scritti sulla liberazione delle donne sono modernissimi e permeati da un approccio che oggi definiremmo intersezionale.
Salvo qualche ombra in ambito accademico, He-Yin Zhen è scomparsa dalla memoria e dalle cronache ufficiali cinesi. Anche per questo è particolarmente prezioso Il tuono dell’anarchia, edito recentemente da D Editore, che propone per la prima volta in italiano una selezione di suoi articoli. Abbiamo intervistato Cristina Manzone, sinologa e ricercatrice che ha curato e tradotto il volume.
Intervista a Cristina Manzone su He-Yin Zhen
Gli scritti di He-Yin Zhen sulla dimensione domestica in cui venivano confinate le donne in Cina sono modernissimi e ricordano il pensiero di Silvia Federici, che si sarebbe occupata di questi temi decenni dopo. Ma anticipano anche un approccio intersezionale: le questioni di genere devono essere messe in relazione alla classe, alla razza, al sistema politico ed economico. Tutti dispositivi di oppressione, generatori di gerarchie e disuguaglianze che si alimentano a vicenda. Probabilmente è sbagliato applicare una categoria occidentale come l’intersezionalismo a una femminista cinese di quell’epoca: come potremmo definirla?
Il pensiero di He-Yin Zhen ricorda senza dubbio quello di Silvia Federici, ma anche di Simone de Beauvoir, Emma Goldman, Virginia Woolf. Appare evidente che esiste un file rouge che collega donne, sistemi di pensiero, letterature, nazioni ed epoche. Non ho una definizione certa, forse lo definirei un pensiero multidimensionale, perché accorpa insieme più aspetti, più dimensioni, che compongono la stessa figura. Possono avere pesi diversi in base alla prospettiva di partenza, ma sono comunque interconnessi.
Mentre in Occidente si lottava per estendere il diritto di voto alle donne, He-Yin Zhen considerava insufficiente il suffragio universale. Non auspicava semplicemente l’uguaglianza di genere, ma una vera e propria rivoluzione di tutto il sistema.
He-Yin Zhen partiva dal presupposto che la liberazione delle donne fosse uno dei tasselli per la rivoluzione della società tutta. Liberare la donna per liberare la società. L’uguaglianza tra i sessi richiede già di per sé lo smantellamento di tutte le strutture sistemiche di potere. Seguendo questo ragionamento, che appare più che sensato, si ha un effetto domino per cui si mette in crisi il sistema vigente.
Uno dei principali obiettivi polemici di He-Yin Zhen è il Confucianesimo: come sono riuscite le dottrine confuciane a cristallizzare le disuguaglianze di genere e di classe?
Il Confucianesimo è la scuola di pensiero che fa da base, intersecandosi con tante altre filosofie, al sistema socioculturale cinese. Attraverso la produzione culturale, principalmente testuale, ha influenzato ogni aspetto della quotidianità. I testi classici che regolano questi aspetti sono stati tramandati, studiati e annotati di secolo in secolo, acquisendo connotazioni e interpretazioni diverse.
Ciò che ci dice He-Yin Zhen è che a tramandare e studiare la cultura confuciana erano principalmente gli uomini, che l’hanno strumentalizzata e diffusa a loro piacimento.
Gli scritti di He-Yin Zhen. Femminismo e anarchia
Torniamo su quell’aspetto che ho impropriamente definito intersezionalismo: He-Yin Zhen era preoccupata dall’idea che alcune donne potessero salire al potere, perpetuando una nuova gerarchia di potere nei confronti delle donne più umili. Più o meno nello stesso periodo, ma dall’altra parte del mondo, i primi movimenti delle suffragette escludevano le donne nere e le proletarie dai propri consessi…
L’opinione di He-Yin Zhen rientra pienamente nel punto di vista anarchico: se leggiamo altre anarco-femministe le opinioni sul voto alle donne sono le medesime. Il pensiero anarchico vede lo Stato come il principale attore dell’oppressione dei popoli; se partiamo dal presupposto che a gestire e regolare lo Stato sono sempre stati gli uomini, allora contribuire al suo funzionamento e/o farne parte vuol dire giocare alle regole dell’oppressore.
Per He-Yin Zhen non solo tutto il sistema andava rifondato, ma le donne avevano diritto a vendicarsi sugli uomini. Un po’ come per Valerie Solanas, che vagheggiava un mondo in cui le donne facessero a pezzi i maschi.
Anche qui torniamo su uno dei perni del pensiero anarchico rivoluzionario: la violenza dell’oppresso o, in questo caso, dell’oppressa. Penso sia innegabile che le rivoluzioni capaci di destabilizzare gli equilibri sociali ed economici non siano mai state concesse, ma combattute. Difficile che chi sta in alto ceda e/o rifiuti i propri privilegi perché quel giorno si è svegliato col piede giusto.
Su un fronte He-Yin Zhen appare meno aperta: la prostituzione, un fenomeno contro cui si scaglia con una certa dose di moralismo. Come mai?
Quello che a noi oggi appare come un atteggiamento moralista in realtà è l’esito di determinate analisi contestualizzate in una specifica società, di un periodo storico altrettanto specifico. Quando He-Yin Zhen scriveva, il concubinato era una realtà ancora legittima che, secondo l’autrice, ha consolidato l’idea della donna come proprietà privata. Le figlie di molte famiglie non avevano scelta se non concedersi come mogli o concubine a qualche ricco signore per potersi accertare viveri e vestiti. Ma anche in questo caso la spiegazione è più complessa di così.
Edoardo Pelligra
He Yin-Zhen – Il tuono dell’anarchia (a cura di Cristina Manzone)
D Editore, Roma 2023
€ 21.90
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