La storia non è mai sincronica con la vita degli uomini. Mentre questi ultimi sono sempre indaffarati, la storia delle volte sembra riposare indolente, per poi svegliarsi di soprassalto e non solo recuperare il suo tempo sugli uomini, ma persino sopravanzarlo. Il tempo ha sopravanzato gli uomini in un determinato periodo della storia italiana, specificatamente quello che va dal boom economico alla crisi petrolifera dei primi Anni Settanta, anni che corrispondono a quelli in cui le Edizioni Comunità della Olivetti pubblica una rivista di architettura prettamente internazionale, Zodiac.
Olivetti e la rivista di architettura Zodiac
L’aggettivo internazionale non è affatto scontato. Come sappiamo l’Italia si scopre dopo il dramma della guerra un Paese arretrato, che ha vissuto la modernità sottotono, più nella sua apparenza che nella sua sostanza. Eppure pochi anni separano la ricostruzione dal grande sviluppo industriale, e in questi pochi anni la società è stata talmente rivoluzionata da ingenerare in seguito una serie di crisi sociali e politiche la cui patologia probabilmente altro non era che quella di una crescita troppo veloce, poco metabolizzata. Aldo Aymonino e Federico Bilò raccontano, attraverso l’analisi dei 22 numeri di Zodiac, lo spirito che animava la rivista: ottimista, aperto a un futuro i cui effetti erano tangibili. Era tangibile il miglioramento delle condizioni di vita, era tangibile quanto un frigorifero cambiasse la condizione femminile, era tangibile quanto un’autostrada e una Cinquecento permettessero qualcosa di impensabile pochi anni prima. L’architettura moderna faceva parte di questo progetto migliorativo. Per Adriano Olivetti e in seguito per suo figlio Roberto all’architettura era demandato un duplice ruolo: radicare un senso di “comunità”, ovvero un’organizzazione della cosa pubblica per comunità semi-autonome federate, e rendere tangibili i valori di una social-democrazia magicamente sposata al capitalismo. I fatti sembravano dargli ragione.
L’architettura moderna come civiltà edilizia
Quell’architettura moderna che prima della guerra era considerata da molti una moda ideata da alcuni artisti eccentrici, era stata adottata dai grandi sistemi produttivi privati e statali: era diventata una vera e propria civiltà edilizia. Le pagine di Zodiac sembrano proprio testimoniare la potenza raggiunta in pochi anni da questa civiltà edilizia a livello internazionale, testimonianza per altro che veniva da un Paese come l’Italia, giunto in ritardo alla modernità. Zodiac, e su ciò i due autori concordano, non ha avuto una linea editoriale definita, tanto che potrebbe considerarsi come un regesto in evoluzione di un’architettura che sembrava correre troppo. Se c’è stata una linea, probabilmente è quella dialettica individuata da Aldo Aymonino, che congiunge da un lato l’ortodossia al Movimento moderno, dall’altra l’eterodossia allo stesso; a ciò si aggiunge, come afferma Federico Bilò, il fatto che Zodiac è stata la testimonianza ad altissimo livello di un delicato passaggio dall’architettura dei maestri del Movimento moderno (a cui la rivista dedica le prime copertine) a quegli epigoni che traghetteranno lo stesso verso la postmodernità, processo questo avvenuto in sincronia con gli anni della rivista.
La fine di Zodiac e la crisi dell’architettura
Una rivista che potremmo definire sintomatica, quindi, che traduceva ciò che era nell’aria ma attraverso due filtri: la fiducia nell’architettura moderna e nella sua capacità di risolvere compiti persino più alti rispetto alla politica, e l’ipotesi, del tutto olivettiana, che classi dirigenti tecniche e umanistiche avrebbero traghettato la società a una prosperità redistributiva, che tutto ciò sarebbe accaduto a livello internazionale. Zodiac smette di uscire nel 1973. Cinque anni prima era scoppiato il Sessantotto, in cui veniva delegittimato, in nome della cultura di massa, l’elitismo su cui si fondava l’azione della Olivetti. Nel 1973 scoppia la grande crisi energetica che farà comprendere che le risorse non erano infinite, che la pace sociale era ottenibile solo con sostenuti numeri di crescita, che l’architettura moderna poteva non solo essere il sol dell’avvenire, ma anche l’incubo del presente. Inizierà il periodo della crisi, termine associato per anni all’architettura, tanto da spingere Manfredo Tafuri a scrivere di progetto di architettura come per l’appunto “progetto di crisi”. Il libro di Aymonino e Bilò è corredato da significative testimonianze di due protagonisti dell’epoca, Vittorio Gregotti e Paolo Portoghesi, tra i primi a comprendere che la stagione della fiducia olivettiana era ormai terminata, semplicemente perché erano cambiati i tempi.
Valerio Paolo Mosco
Aldo Aymonino e Federico Bilò (a cura di) – Zodiac 1957-1973. Una storia italiana
Ronzani Editore, Dueville 2023
Pagg. 280, € 34
ISBN 9791259971081
www.ronzanieditore.it/
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