Pino Pascali non ha mai fatto mistero del suo impegno artistico nel mondo della pubblicità e dell’animazione. Si manteneva da vivere così facendo, ma gli piaceva sperimentare, creare, elaborare, giocare anche in questo segmento artistico. Con la stessa foga, passione ed irruente presenza come ha sempre fatto per la scultura, le arti applicate, la fotografia, le performances da attore, la motocicletta…
La storia di Intermezzo 23
Quando mi sono imbattuto in Intermezzo 23, che poi si è rivelato essere ad oggi l’unica animazione integrale di Pino Pascali conservata nella sua totalità – con gli appunti a pastello anche, gli intermezzi, decine e decine di tavole preparatorie e balloons esplosivi fatti di stellette, crocette e seghetti vari – mi sono subito reso conto che nel procedimento creativo di un grande artista nulla è casuale e anche il più piccolo frammento concorre a definire lo scenario finale. Ovvio poi che un’animazione di questo genere, siamo nel 1966, vedesse per le inchiostrazioni dei lucidi l’apporto anche di altre maestranze; vale pure per i grandi capolavori del cinema. Ma il risultato era così esplosivo che in un attimo, e assieme a me tutti gli storici e specialisti che mi hanno affiancato in questa impegnativa ricostruzione, mi sono reso conto che in quei trenta secondi riviveva un universo di segni e di plurilinguismo a dir poco sconvolgente. Eccoli dunque i tre Posteros, i primitivi del futuro, l’inglese, il francese e il tedesco, inventati insieme a Sandro Lodolo, entrare in scena come la più sottile e fresca delle barzellette. Una macchina fotografica interrogata come fosse un totem, un talismano del futuro; compreso che il totem produce immagini, ecco i tre personaggi, narcisi di ritorno, bearsi di quello che nell’epifania rinvengono.
L’animazione di Pino Pascali e le sue opere
Ma quello che rinvengono non è ciò che si aspettano o che vorrebbero vedere e così ne distruggono la sorgente. Eh sì, è proprio Pascali che gioca con gli oggetti e in quei trenta secondi riapre la morfologia delle fiabe e ricorre al mito. Vede l’arte libera dalle committenze, percepisce l’artista artigiano selvaggio che cammina nudo, ritorna alla natura primigenia delle sue liane, dei suoi dinosauri e del suo mare e ne riprende il senso del vero fare. Finte armi per dire il vero. Vera acqua per un finto mare. Oggetti agricoli di arte povera accanto ai quali mettersi in posa come un modello. Il suo giuoco resta sempre lo stesso. I sottintesi non cambiano. La provocazione nemmeno. Un tramonto esiste fino a dove il margine della cartolina ce lo farà vedere. L’uomo primitivo crea la sua forma per bere, per tagliare, per vestirsi e così facendo ritorna al futuro ed inventa una sacra rappresentazione, una performance che può portarlo a seminare filoni di pane per terra, segare l’acqua del mare, baciare il volto di una statua ed affossarlo nel mare per rinnegare il classico e poi ripartire nella risata di un fish-eye.
Da Pascali a Luca Maria Patella
E così, in questo ritrovamento di animazione, uno degli ultimi che ritengo abbia creato, e che si era perduto, anzi rischiava di venire distrutto, ci ho rivisto in trenta secondi i trentatré anni della sua vita e ne ho chiesto commento a Daniela Ferraria, poi Marco Giusti, Anna D’Elia, Bruno di Marino, Roberto La Carbonara, Simonetta Lux e ho bussato fino alla casa del grande Luca Maria Patella che me ne ha fornito il suggello e lo stampo. Avrei potuto continuare all’infinito, ma in fondo avevo in testa solo un libro di ricostruzione e di riflessioni storico critiche, per rilanciare una vecchia, ma ancora modernissima storia. Poi però, dopo aver ripubblicato tutte le tavole, le grafiti cioè i disegni a matita dell’animazione, e i lucidi su acetato, cioè le tavole su reggetta che furono filmati ma mai trasmesse, ho sentito il bisogno di ridare voce a Pino Pascali.
La rinascita di Pascali
E così, in un certo senso, mi è apparso in sogno come a dirmi; guarda che se rotolavo sotto la grande pancia della Vedova Blu fotografato da Claudio Abate lo facevo per dimostrare che la terra del rimorso è finita e trapassata, che l’ansia che dava origine anticamente alla taranta si è mutata in altra cosa e che anche la lunga estate dei greci ha cambiato colore. Erano 10000 anni fa, ho trovato scritto in un suo appunto, e questo mi ha portato a riflettere su come il passato ci sta sempre tra i piedi e ci inciampiamo e ce ne scorniamo… Pino Pascali lo abbiamo insomma fatto tornare in vita, riuscendo a reificare l’animazione, grazie all’arte di Marco Schiavoni, che si può godere con un Qr code alla fine del volume. E siamo persino andati a trovare con Claudia Lodolo e l’Archivio per l’Opera grafica di Pascali l’anziano operatore di macchina che la leggenda raccontava filmasse questi rodovetri. E Pascali, come un ectoplasma, si è materializzato davanti a noi; aveva sul volto la maschera di Pulcinella e con uno strano puparuolo tra le mani ci sbertucciava e ci mostrava il deretano: sembrava Iggy Pop in una delle sue celebri performances.
Jonathan Giustini
Intermezzo 23
A cura di Jonathan Giustini
NFC editore
sabato 23 settembre ore 18
Presentazione del libro presso
Fondazione Pino Pascali
Via Parco del Lauro 119
Polignano a Mare
www.fondazionepascali.it
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati