Chi era Italo Calvino
Italo Calvino (Santiago de Las Vegas de La Habana, 1923 – Siena, 1985) è stato un autore legato alla tradizione e insieme un innovatore dal profondo tratto umanistico.
Dopo una brevissima infanzia a Cuba dove il padre dirigeva una scuola di agraria, Calvino crebbe nell’allora cosmopolita Sanremo, e come ricordò sul Paradosso nel 1960 “vivevo in un mondo agiato, sereno, avevo un’immagine del mondo variegata e ricca di sfumature contrastanti, ma non la coscienza di conflitti accaniti”. Quel mondo ebbe termine nel 1939, con l’inizio della Seconda guerra mondiale, che per il momento non lo tocca, essendo ancora studente liceale. Maall’indomani dell’8 settembre si dette alla macchia per non prestare servizio militare nelle file dei repubblichini, e nel febbraio del 1944 si unì alla Resistenza come partigiano della 2a Divisione d’assalto “Garibaldi”, con il nome di battaglia di Santiago. Tra i fatti d’armi cui prese parte, la battaglia per la liberazione del borgo di Baiardo, nel sanremese, il 10 marzo 1945, dove con una squadra di sabotatori interruppe la linea telefonica.
I libri di Italo Calvino
Fu, quella, una stagione che ebbe sullo scrittore un forte impatto, avvicinandolo al comunismo del quale apprezzava lo spirito di lotta per la difesa dei diritti, della dignità umana e della libertà (ma nel 1957 non ebbe difficoltà a esprimere forti critiche sulla condotta del PCI e ad uscirne). Sulla Resistenza Calvino ritornò nel suo romanzo d’esordio Il sentiero dei nidi di ragno, e nella successiva raccolta di racconti Ultimo viene il corvo, così come nello scritto Ricordo di una battaglia, pubblicato sul Corriere della Sera del 25 aprile 1974. Pagine toccanti, a tratti persino crude, ma che, in particolare nelle prime due prose, non mancano di quel carattere fiabesco che contraddistinse le opere di Calvino, soprattutto quelle giovanili. Fra gli esempi più probanti, la trilogia I nostri Antenati, costituita dai romanzi Il Visconte dimezzato, Il Barone rampante, Il cavaliere inesistente, pubblicati fra il 1952 e il 1959, è un’accurata, paradossale, pungente indagine sull’individuo contemporaneo, alle prese con slanci utopici, difficoltà di adattamento e comunicazione, sensazioni d’incompletezza e di mancata realizzazione; tutto quanto, insomma, poteva affliggere un’umanità che usciva dalla tragedia della Seconda guerra mondiale. Sempre, i tre iconici protagonisti si muovono su uno sfondo di luoghi immaginari, in contesti sociali ai margini della realtà, anche se collocati in una cornice storica ben precisa. È anche questa la grandezza di Calvino, sociologo e umanista prima ancora che narratore.
Il tema della città in Italo Calvino
La città è il simbolo del Novecento, con i suoi quartieri-dormitorio e le periferie industriali. La città è il simbolo del definitivo sradicamento, almeno in Occidente, della millenaria civiltà rurale, ed è quindi foriera di molteplici e spesso drammatici cambiamenti nello stile di vita quotidiano. Calvino la affronta in due dei suoi volumi più noti, il primo dei quali, Marcovaldo o Le stagioni in città, scritto in due fasi, tra la metà degli anni Cinquanta e la metà degli anni Sessanta, è un piccolo capolavoro d’indagine umanistica e sociologica sull’alienazione e lo sradicamento dell’individuo travolto dall’industrializzazione e dalla società dei consumi. Nella città soffocata dal cemento, accecata dalla luce artificiale e dalle insegne pubblicitarie, dove non è più possibile osservare le stelle, Marcovaldo si muove spaesato senza più radici, alla stregua di un immigrato costretto a lasciare la terra natia per avventurarsi in un ignoto altrove. E proprio la condizione di immigrato è l’oggetto dell’analisi sociologica di Calvino, nell’Italia del “miracolo economico” che vide biblici spostamenti di masse umane da nord a sud. Eppure, Marcovaldo, ostinato come i gatti del giardino dell’omonimo racconto, non smette mai di lottare, di abbattere qualche frammento di muro, di recuperare un po’ di senso, anche se le sue speranze andranno inevitabilmente deluse.
Nel 1972 apparve, invece, Le città invisibili, un lungo racconto filosofico e fantastico-allegorico che risente delle frequentazioni francesi, ed è una profonda riflessione, sullo sfondo del leggendario Oriente dei Khan, a proposito del caos che affligge il mondo, ormai in preda all’incubo del terrorismo, della lotta armata, delle armi nucleari, insomma quell’inferno quotidiano in mezzo al quale l’autore ci invita a riconoscere e valorizzare la sua antitesi. La medesima operazione che compie Marcovaldo inseguendo in città gatti, funghi, conigli, bolle di sapone, perdendosi nella nebbia, tracciando sentieri sulla neve. Le città, infatti, conservano un’anima nascosta che ognuno può scoprire dal proprio punto di vista, ed ecco quindi emergere templi di bellezza e di memoria, luoghi dove si intersecano molteplici percorsi di conoscenza. L’arte della narrazione può creare nuovi mondi anche se non distrugge l’inferno dei viventi che ci circonda.Ma Calvino, grande ammiratore (e allievo) di Pavese e Vittorini, intellettuale democratico che non si sottrae al rischio di porsi e porre domande, usa la penna come l’ideale cazzuola di un libero muratore per modellare un universo di bellezza filosofica da donare all’umanità.
Le fiabe per Italo Calvino
L’interesse di Calvino per l’argomento si palesa prima di tutto nella curatela dei due volumi delle Fiabe Italiane, un’operazione editoriale di ampio respiro volta a salvaguardare la specificità di quel grande patrimonio orale italiano, cercando di mantenerne inalterate le peculiarità regionali e realizzare un «libro anche piacevole da leggere, popolare per destinazione e non solo per fonte», come spiegò nell’introduzione. Perché sobbarcarsi un tale immane lavoro di ricerca? Perché la fiaba rimaneva per scoprire nuove versioni della realtà, cosa quanto mai necessaria in una società che si avviava alla dittatura del pensiero omologato. E questa vitalità della fiaba spinse Calvino a inserirne alcuni elementi in molti dei suoi romanzi, come accennato di sopra, che sono altrettanti tentativi di andare oltre tornando paradossalmente indietro verso valori profondi, quali l’ordine, l’armonia, la lealtà, il rispetto. Ma la fiaba, per Calvino, è anche quel qualcosa che aggiunge all’esistenza un po’ di magia e di mistero, quel tanto di irrazionale che la rende meno ottusa e noiosa, una piccola chiave per aprire porte insospettate e percorrere sentieri “in solitaria”, sull’esempio del Barone rampante. E ancora nel 1985, preparando le Lezioni americane, che purtroppo rimarranno inutilizzate, si chiede quale possa essere la sorte della cultura orale e della fiaba, in una società alienata dalla tecnologia e sradicata dalla memoria.
Calvino e la Francia
Tredici anni di “eremitaggio” a Parigi, fra il 1967 e il 1980, furono determinanti sul suo carattere e la sua ispirazione letteraria. Tra le avventure più significative, la frequentazione di colleghi quali Raymond Queneau, George Perec, François Le Lionnais, Jacques Roubaud, Paul Fournel e la conseguente associazione all’Ouvroir de littérature potentielle, (Officina di letteratura potenziale) fondato nel 1960 da Queneau e Le Lionnais per fornire agli scrittori forme e strutture espressive innovative. Calvino assorbe e traduce la lezione nelle Cosmicomiche (una cui prima stesura risale però agli anni 1963-64) e in Ti con zero, due raccolte di racconti umoristici e paradossali sull’universo, il tempo, lo spazio, l’evoluzione, il cui linguaggio spazia dalla scienza alla filosofia a un comico registro quotidiano, che anticipano gli esperimenti combinatori degli anni successivi: su tutti, Le città invisibili, in cui elabora la trama giocando con le varie possibilità d’incastro fra i vari nuclei narrativi, che sono altrettante tessere di un mosaico che a sua volta può essere letto secondo percorsi differenti. La lettura diventa esplorazione delle sue stesse possibilità, seguendo le nuove mappe tracciate dalle parole.
I libri che hanno ispirato Italo Calvino
I Malavoglia, Conversazione in Sicilia, Paesi tuoi, erano fra i capisaldi della formazione letteraria di Calvino; tre romanzi che a loro modo avevano introdotte innovazione nella letteratura italiana. Conoscerli significava anche attraversare la storia recente della società italiana, cosa che a un umanista come lui non poteva non interessare. E il bravo scrittore è, prima ancora, un bravo lettore, seguendo certamente gusti e inclinazioni personali, ma comunque sempre mosso dal desiderio di conoscenza e confronto. Leggere Calvino oggi, cosa significa? Significa incontrare un intellettuale estetica moderno e intellettualmente onesto, significa percorrere sentieri di libertà e di conoscenza che, di questi tempi, si sono fatti sempre più rari.
Niccolò Lucarelli
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