Dopo poco più di vent’anni dalla sua scomparsa Einaudi pubblica l’ultimo libro dello storico dell’arte Ernst Gombrich, La preferenza per il primitivo, dove si affronta una problematica artistica generale che ha contraddistinto l’arte e la cultura occidentali da Platone a Picasso: la rinuncia alle forme espressive più sofisticate, a favore di quelle giudicate più antiche, sane, primitive.
Picasso al Trocadero
Gombrich sostiene che le apparenti fughe all’indietro nell’arte e nel suo modo di percepirla, diventano invece determinanti fattori di sviluppo artistico attraverso il tempo e lo spazio. Concezione che l’autore chiarisce molto bene nel paragrafo La scoperta dell’arte tribale. Gli storici concordano nel credere che i manufatti iniziali che suscitarono l’interesse degli artisti siano state le maschere rituali, come quelle del Gabon. L’estrema semplificazione delle forme sprigionava un’espressione forte e intrigante che non poteva sfuggire a coloro che cercavano effetti originali. Si prospettava una totalità di forme che l’arte occidentale non aveva ancora setacciato. La loro potenzialità espressiva venne alla luce in virtù dell’utilizzo che ne fece Picasso in Les Demoiselles d’Avignon. Da tempo voleva uscire dall’impostazione seducente, ancora pervasa di sentimentalismo, del periodo “blu”. Strada che trova durante una visita alla sezione etnologica del Trocadero. “Ero solo in questo museo, tra le maschere, le bambole pellerossa, i manichini polverosi. Ho capito che mi stava accadendo qualcosa. Les Demoiselles d’Avignon mi devono essere nate quel giorno”. Giorno che pone le basi di una rivolta radicale che cambia in profondità le modalità di percezione dell’arte.
Da Beato Angelico a Michelangelo
Gombrich non inizia la propria argomentazione da un artista o da uno storico dell’arte, ma da Cicerone. In particolare, dal dialogo intitolato Brutus. Vi si afferma che le nuove pitture vanno oltre quelle antiche sia per la bellezza sia per la molteplicità dei colori. Ma le prime presto stancano. Mentre le seconde, anche se le loro tinte sono rozze e superate, ci attraggono. Questo paradigma evolutivo Gombrich lo applica ai pittori del Quattrocento, Beato Angelico, Botticelli,Perugino, che venivano considerati primitivi rispetto ai maestri che avevano raggiunto la perfezione: Leonardo, Raffaello, Michelangelo.
Se in Arte e illusione aveva studiato l’evoluzione degli stili come progresso nell’imitare la natura, nella prefazione al saggio einaudiano analizza un principio psicologico contrario: l’avversione verso quella perfezione a cui sembra che l’arte dovesse aspirare. Ne deriva che la bellezza assoluta per Gombrich non è dettata dagli “ideali estetici del canone e delle sue regole” ma dalle cadenze della vita reale. Che non aspirano alle vette della perfezione, tanto ineccepibili quanto illusorie.
Gli spiritualisti secondo Gombrich
Nella seconda metà dell’Ottocento i primitivisti, che Gombrich chiama spiritualisti e sensualisti, scelgono come maestri di stile Beato Angelico e Botticelli. Nella Venere di quest’ultimo vi si legge una sensualità non ancora del tutto manifestata. Rispetto alla Leda di Leonardo o alla Galatea di Raffaello, la Venere sembra “un tipo virginale un po’ goffo, ma seducente proprio in virtù della sua apparente innocenza”.
Insomma, un guardare indietro, a ciò che è stato, per andare avanti. Un agganciarsi al primitivo per trovare nuove soluzioni. Si è accennato prima a Picasso. Ma nel libro altri esempi non mancano. Ingres, l’artista delle odalische, che si aggancia al gotico e a Jan Van Eyck. Una certa attenzione Gombrich rivolge alle reazioni di Goethe quando per la prima volta si trova di fronte agli affreschi di Mantegna nella chiesa degli Eremitani a Padova: “Ho visto gli affreschi di un antico maestro, il Mantegna, e ne sono rimasto sbalordito. Che incisiva, sicura autorevolezza in quei dipinti”. Un realismo autentico che esclude “illusioni ed effetti menzogneri” a favore di ciò che è “aspro, netto, luminoso, consapevole, delicato…che ha insieme qualcosa di severo, di scrupoloso”. Da dove “hanno preso l’avvio i pittori successivi, come potei constatare nei dipinti di Tiziano”.
Per non parlare di Giotto, senza dubbio il primitivo più amato del Novecento. De Chirico era convinto che in lui il senso architettonico raggiungesse alti spazi metafisici. Per Lucio Fontana i presupposti dell’arte moderna affondano nel XIII secolo quando inizia la rappresentazione dello spazio. Yves Klein deve il proprio blu, il colore dell’infinito, al blu del cielo della cappella degli Scrovegni.
Fausto Politino
Ernst H. Gombrich, La preferenza per il primitivo
Einaudi, Torino 2023
pag. 380, € 35,00
ISBN 9788806257880
www.einaudi.it/
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