Arabpop è una rivista dedicata alle arti e alle letterature contemporanee dei paesi arabi il cui primo numero risale all’autunno 2021. La pubblicazione cartacea, nata in Italia, vuole raccontare i cambiamenti culturali derivanti dalle rivoluzioni arabe del 2011 e seguirne gli sviluppi. Comprende lavori originali di artisti e scrittori arabi, residenti all’interno o all’esterno della regione. Pubblica inoltre interviste, traduzioni di articoli culturali dalla stampa araba, recensioni di libri, di film e di produzioni musicali. Le ricercatrici Fernanda Fischione e Anna Gabai – due delle fondatrici del progetto, che conta anche Olga Solombrino, Silvia Moresi e Chiara Comito – ci hanno raccontato il lavoro della loro piccola redazione. Una redazione che produce contenuti, ma che soprattutto incoraggia l’invio di contenuti dall’esterno con call a tema semestrali, dando così la possibilità a chiunque abbia una buona idea di ambire alla pubblicazione.
L’intervista alle fondatrici di Arabpop
Quando e dall’idea di chi nasce Arabpop?
Il progetto è nato nel 2020 da un gruppo di persone che si occupano di arabistica a vari livelli.
La rivista si propone di divulgare le arti e la letteratura contemporanea dei paesi arabi ad un pubblico più ampio, evitando stereotipi ed esotizzazioni. Ci piaceva l’idea di aprirci ad una comunità di lettori più trasversale. Il che si è rivelato poi vincente, visto la grande curiosità e il buon riscontro ottenuto. Il nostro approccio è quello dell’addomesticamento, come si direbbe in traduttologia, evitando di esotizzare l’altro.
Cosa intendete per “Pop”?
Intendiamo richiamare sia l’intento di “popolarizzare” temi solitamente di nicchia, sia l’attenzione alle forme di cultura pop araba: non solo arte popolare o folclore.
Siete un gruppo eterogeneo.
Sì, oltre a noi due (Fernanda e Anna) ci sono anche Olga Solombrino (ricercatrice che si occupa soprattutto di cinema), Silvia Moresi (insegnante di arabo e traduttrice), e Chiara Comito, la quale, come fondatrice del blog Editoriaraba, è stata una delle pioniere del lavoro sulla letteratura contemporanea di quella regione in Italia. Tutte e cinque ci occupiamo del lavoro di editing, di selezione degli abstract e di scrittura. E organizziamo le call semestrali per i nuovi contributi.
Come funzionano queste call?
A monte di ogni numero viene pubblicata e condivisa su web e social una call con il tema che sarà l’argomento del numero successivo. A questa call chiunque può rispondere con proposte di contenuti che vengono vagliati dalla redazione ed eventualmente pubblicati.
Quanto dura il processo dalla call alla pubblicazione?
Dalla call alla pubblicazione del numero passano circa 5-6 mesi. I temi vengono scelti cercando di individuare prospettive insolite, evitando argomenti inflazionati.
Come avviene la scelta dei contributi?
La scelta si basa sia sull’abstract o sul pitch che ci viene inviato, sia in base al curriculum. Abbiamo sempre ricevuto moltissime proposte. Ogni numero ha dei guest editor, e a volte sono direttamente questi a proporre qualche autore. Dopo una prima scrematura, facciamo un bilanciamento a seconda dei temi, delle tipologie di testi che vogliamo pubblicare e delle aree geografiche, per avere numeri più vari possibile. Da segnalare che le proposte inviate da autrici donne arrivano all’85% del totale.
Cosa mi dite sullo stile grafico e sulla scelta del formato cartaceo?
La scelta del formato della rivista è stata presa in base al piacere di tenere in mano un oggetto materiale da sfogliare. L’aspetto è curato dal grafico della nostra casa editrice Tamu Edizioni), Gregorio Turolla, che ha lavorato assieme a noi per cercare un aspetto che fosse accattivante e adatto ai nostri contenuti.
Cosa rappresenta il vostro logo?
Richiama elementi iconici della cultura mediterranea. L’occhio blu è un riferimento al nazar, un amuleto scaccia-malocchio. I due punti sopra si riferiscono a una lettera dell’alfabeto arabo, la ta’ marbuta, che si trova alla fine della maggior parte di sostantivi e aggettivi femminili. Poi i due punti compaiono spesso anche in altre lettere dell’alfabeto arabo.
La rivista viene pubblicata solo in italiano?
La rivista è in italiano, ma, ad esempio, le poesie che traduciamo hanno sempre il testo originale a fronte. Non lavoriamo solo con l’arabo: tanti contenuti che traduciamo, per esempio, sono in francese o in inglese. L’idea monolitica della lingua è legata al nostro concetto di stato-nazione, secondo cui una nazione deve essere uniforme per idioma, etnia e religione. Questo, nei paesi arabi, non è storicamente mai esistito se non in tempi molto recenti, successivi alle indipendenze nazionali. Il colonialismo europeo ha imposto questa idea, ma oggi molti intellettuali e attivisti lottano per il pluralismo e l’inclusione.
I contenuti di Arabpop
Quali sono le caratteristiche distintive del progetto editoriale?
Ci occupiamo di una zona del mondo che è vicinissima all’Italia e che bisognerebbe conoscere meglio. Guardiamo a questa regione da un punto di vista che nessuna rivista italiana adotta. Cerchiamo di avere uno sguardo diagonale e di aprirci al nuovo. Anche al paradossale a volte.
Facciamo di continuo un lavoro di autocritica e di autoconsapevolezza, in quanto cerchiamo sì sfruttare le competenze che abbiamo sul tema del post-coloniale, ma riflettiamo moltissimo anche sul nostro ruolo come donne bianche, e sul rischio di fare da filtro inconsapevolmente, riproducendo gli stereotipi con cui siamo cresciute.
Come lavora Arabpop in relazione alla musica?
Su ogni numero abbiamo delle playlist di musica araba ascoltabili da Spotify e raggiungibili con dei QR. Molta di questa musica è solo strumentale; in qualche caso ci sono dei testi, e non di rado con riferimenti politici o di protesta.
Come vi regolate in questi casi con la trascrizione?
Va detto che in Occidente (e prendiamo sempre l’etichetta di Occidente con le pinze) immaginiamo i prodotti di una cultura “altra” come necessariamente politicizzati o politicizzabili. È una lettura da evitare. Abbiamo la tendenza a esotizzare e a incasellare gli altri come rappresentanti della propria società o cultura. Ecco, questo lo vogliamo evitare.
Torniamo ai temi del magazine. Le ultime call che avete pubblicato riguardavano il mare e la festa.
Sul Mare abbiamo lavorato in estate. È un topic ricorrente in ambito culturale e letterario ed eravamo sicure che anche per la posizione del mondo arabo – non solo sul Mediterraneo ma anche sull’Oceano Indiano – avrebbe trovato un buon riscontro. L’abbiamo scelto col nostro guest editor, Farah-Silvana Kanaan (per saperne di più CLICCA QUI) Il numero Festa, invece, è uscito lo scorso 1 dicembre 2023, e l’argomento era stato scelto in aprile, ben prima che il mondo arabo fosse completamente stravolto da crisi di vario genere: il terremoto in Marocco, l’alluvione in Libia e la guerra a Gaza.
Come avete fronteggiato questo cambio di scenario, avendo un numero già in avanzata lavorazione?
Effettivamente Festa è un tema che rischiava di avere un effetto stridente rispetto a ciò che sta succedendo. Quindi abbiamo deciso di uscire in libreria con una sovracopertina bianca, in segno di sospensione, di silenzio e di lutto per tutte le vittime di questi eventi devastanti.
Come immaginate la vostra rivista fra qualche anno?
Anna: Io la vedo ancora in cartaceo e magari anche con una presenza digitale che ci permetta di lavorare su traduzioni in altre lingue. E grazie a questo trovare possibilità di finanziare un lavoro culturale di cui si possa vivere.
Fernanda: Io spero di non vederla. Mi auguro non ce ne sia più bisogno perché in uno scenario futuro ideale la cultura araba sarà ormai normalizzata, l’islamofobia sarà sparita e il razzismo arabofobico sarà un ricordo del passato.
Francesco Sghirripa
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