10 anni di storia dell’arte contemporanea italiana in 15 opere in un nuovo libro
Attraverso quindici casi studio un libro accompagna attraverso lo sviluppo e le sfaccettature dell’arte contemporanea italiana del decennio che va dal 2010 al 2020. Con una metodologia che mette al centro le opere e vuole mettere in risalto una linea d’azione comune nelle ricerche di alcuni artisti
Pretendere prefigurazioni dal libro di Lucrezia Longobardi, significherebbe cercare in esso l’impalcatura concettuale di una prospettiva storica e semplificare un’analisi che, in questo suo ultimo libro, viene condotta per liberare concetti abitualmente subordinati a linee tendenziali. Il libro ci allontana dall’edificio dei consensi, per farci scorgere in queste quindici ipotesi la volontà di scartare la confezione ermetica di una inconfutabile vulgata sull’arte del nostro tempo. I casi studio che questa autrice ci sottopone sono scelti sulla base di dichiarati presupposti. Ciascuno degli artisti scelti è raccontato dalle opere e dai commenti di critici e curatori. In pratica, questi Appunti per una lettura del XXI Secolo, editi da Castelvecchi nella collana Fuoriuscita curata da Christian Caliandro, si risolvono in un’apodosi, ovvero in una verifica oggettiva di una temperie culturale redatta dopo il riscontro di una certa condizione dell’immaginario: la riscoperta di un “neorealismo di strada”. L’autrice al riguardo afferma: “Non è un mistero, infatti, che nell’intera parabola della storia dell’arte è proprio nel XXI secolo che gli artisti, in Italia soprattutto, vedono ridurre la propria influenza, la propria autorevolezza, nel sistema dell’arte, fino a trovarsi spesso relegati a ruota di scorta di un carro che sembra andare avanti benissimo da solo”.
L’artista e il racconto teorico secondo Lucrezia Longobardi
Questa condizione accessoria, da un lato rivelerebbe un limite mentre, da un altro lato, libererebbe l’artista da una eminenza isolante per portare l’arte ad agire su un terreno culturalmente autonomo. Come dire che l’accessorio dimenticato dal sistema, tenderebbe a perdersi in uno spazio vitale e, senza orientamenti, lascerebbe in esso comunque delle tracce. Di qui un altro elemento importante dello studio della Longobardi, cioè quello di restituire a questa traccia il pieno valore di segno superando la vaghezza soggettiva del sintomo. Risulta comunque evidente quanto questi appunti siano stati presi scrutando attentamente il palmarès degli artisti italiani degli ultimi anni.Una selezione che, pur ignorando l’encomio, accetta le garanzie curriculari per riattivare il dialogo con la critica. È una relazione tra opera e commento però che non punta su una reiscrizione atta a far rivivere l’esperienza dell’arte nella parola, ma piuttosto si concentra sulla pura pratica descrittiva. L’arte dei primi venti anni del nostro secolo, caratterizzata da un progressivo abbandono del nucleo oggettivo dell’opera, ha messo in crisi il soggetto del discorso critico in virtù di una più diffusa pratica di riabilitazione della dilatazione del fatto visivo in atmosfere congeniali alla fruizione. Questo abbandono ha spinto il racconto teorico verso la testimonianza di una esperienza in un’ambientazione aperta. Per quanto riguarda la dimensione accessoria dell’arte, da “ruota di scorta”, cioè, avulsa dai contesti ufficiali, sembra che resti difficilmente conciliabile con i ruoli istituzionali. L’arte, sottoposta a meccaniche espositive rese possibili solo per via di mostre articolate richiede un procedimento narrativo flessibile, ma del tutto disinteressato a riabilitare il dubbio quale presupposto essenziale della critica. La problematica che da quasi cinquant’anni saltuariamente emerge nell’arte italiana è proprio quella della partecipazione del pubblico. Un problema che oggi non presuppone la fondazione di un nuovo piano dialettico ma, al contrario, cerca una soluzione nel luogo migliore per una fruizione di ciò che dell’arte è già stato comunicato.
La questione della critica d’arte
Ecco perché la prosa curatoriale, oramai abituata ai consensi, è un genere letterario che riforma radicalmente il legame tra opera e parola. Non si può negare che la generazione cui si riferisce l’autrice, sia di artisti, sia di curatori, fuoriesca da un clima di non facile ingresso dell’arte italiana nel panorama internazionale, un panorama dominato da figure che hanno insistito su un carattere ironico e leggero di simulazione intellettuale. Una generazione che usa frequenti ammiccamenti alla grandiosità tragicomica del banale che, oltre ad essere trasfigurata, sfrutta storia e cronaca per conquistarsi uno spazio narrativo nell’immaginario contemporaneo. In questi termini si può giustificare la sovrapposizione della materialità dell’opera alla fluidità dei concetti, una sovrapposizione che non è più capace di fornire il soggetto al dubbio critico, ma solo presupposti per la definizione di una «immagine». Questa immagine è sia prodotto della distorsione dalla realtà, sia indice di una attività che alterna riproduzioni a possibili scenari espositivi. In definitiva, questo libro è interessante soprattutto per lo spazio che concede ai curatori. Lucrezia Longobardi, infatti, lasciando la parola ai curatori mette in luce una curiosa subalternità del discorso critico a questa immagine. La critica curatoriale sembra, in pratica, partecipare allo sviluppo autonomo delle poetiche per usarle nella persuasione espositiva, un artificio retorico che è uno scivolo verso la scena dell’arte. La scena dell’arte, come cornice allestita dalla critica, resta la vera e propria meta della pratica curatoriale. Ecco allora come ogni commento si limita alla descrizione e come i toni ostensivi del racconto migrano sovente verso la notizia. Solamente in alcune voci ritroviamo un autentico discorso critico, un ragionamento che solo dopo aver inquadrato le prerogative di una poetica, affronta l’esegesi dell’opera. Stefano Chiodi, è l’esempio migliore, poiché descrive i caratteri peculiari delle opere di Rossella Biscotti e Francesco Arena, rilevandone i punti di forza e i cedimenti. E se il critico romano è l’unico a controinterrogare le opere di cui parla, artisti come Gian Maria Tosatti non vengono mai contemplati in merito alla portanza del loro impianto teorico (ricordiamo ai lettori che proprio su queste pagine recensii il saggio di Tosatti Esperienza e Realtà, postmediabook, Milano 2021) e, in egual misura, non si fa menzione di quegli aspetti esteticamente rilevanti in opere, come quelle di Arcangelo Sassolino, che hanno riattivato la questione del sublime nell’età della tecnica.
Marcello Carriero
Lucrezia Longobardi – 15 ipotesi per una storia dell’arte contemporanea
Castelvecchi editore, 2023 (Collana Fuoriuscita)
pag. 252, € 252
ISBN 9788832907414
http://www.castelvecchieditore.com/
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