Bastava avere il suo numero di telefono segnato sull’agendina perché la procura spiccasse un mandato di cattura. Oppure conoscere “l’ideologo della lotta armata” per entrare nel novero dei terroristi rossi poiché la contiguità era reato e la tensione sociale altissima. Il 7 aprile 1979, l’anno successivo il delitto Moro, vengono arrestati centinaia di membri dell’Autonomia Operaia e di Potere Operaio. Una marea di accuse e un unico calderone spazzeranno via ogni istanza rivoluzionaria dei gruppi antagonisti con i loro eskimi, i loro baffi e i loro sogni. È l’ultimo atto della repressione dei movimenti di ribellione, criminalizzati da PCI e DC, per togliere di mezzo, a sinistra, ogni nemico del compromesso storico e spegnere l’utopia di una possibile ingenua felicità politica. “Ristrutturarono il mondo togliendo alla verità il suo sostegno”. La generazione degli “invisibili”, raccontata da Nanni Balestrini nel romanzo omonimo, sprofonda – nel vuoto degli anni che precedono il crollo del muro – in un pesante clima di sconfitta.
Chi era Toni Negri
Toni Negri è arrestato quel 7 aprile con l’infondata l’accusa – secondo il teorema di Pietro Calogero poi naufragato – di essere “capo” delle Brigate Rosse, telefonista del delitto Moro e aver partecipato ad atti terroristici e d’insurrezione armata. Il filosofo comunista, docente alla Facoltà di Scienze Politiche di Padova, sconterà inizialmente 4 anni e mezzo di carcere preventivo senza processo (come altri 24mila) sino a che, nel 1983, Marco Pannella lo candiderà alle elezioni e il voto di 13 mila persone gli consentirà di sedere in parlamento come deputato. L’obiettivo radicale era di sopprimere l’iniqua legge del carcere preventivo. Seguirà un nuovo mandato di cattura, l’esilio francese da sans papier per 14 anni, e il rientro volontario in Italia, in carcere nel 1997. La vita travagliata e controversa del teorico dell’operaismo e della violenza di classe “direttamente provocata dal capitale” è terminata sabato a Parigi all’età di 90 anni. In una delle ultime interviste nelle quali aveva già l’ossigeno per respirare, affermò: “Dobbiamo ribellarci. Dobbiamo resistere. La mia vita sta andandosene, lottare dopo gli 80 diviene difficile. Ma quel che mi resta dell’anima, mi conduce a questa decisione”. La sua identità in Italia è stata quella del “cattivo maestro”, così battezzato nei decenni dalla furia mediatica e conservatrice. All’estero invece era un prestigioso intellettuale autore di ottanta libri. Il 16 dicembre “Il Manifesto” lo ha genialmente definito “attivo maestro”.
Toni Negri, il cattivo maestro
Durante gli anni trascorsi nelle carceri speciali, con continui trasferimenti che frammentavano ogni possibile relazione con i compagni, Negri cerca di ricostruire un tessuto politico dalle ceneri della “deutopia”. Ma chi è veramente? Il focoso leader con il megafono che urla fuori dai cancelli di Mirafiori? L’intellettuale ricco e raffinato, immerso nel milieu francese con gli amici Felix Guattari, Gilles Deleuze, Paul Virilio, Nanni Balestrini, coinvolto in un progetto culturale rivoluzionario? O l’oscuro mandante di nefasti segnali per una generazione perduta? La condanna di Negri all’operato delle BR è incontrovertibile. Tuttavia, la critica politica e il rifiuto sociale delle sue posizioni estreme originarie non sono mai mancate nell’humus di quegli anni. Ma oltre ad essere un’attivista che si batte per le minoranze e gli oppressi (in modo più o meno discutibile) Toni Negri è una stratificazione contraddittoria di figure. È anche colui che ascolta e interpreta Leopardi e che assume la figura di San Francesco come spirito guida. “L’arte”, ha dichiarato, “non è il prodotto dell’angelo ma l’affermazione, ogni volta la nuova scoperta, che tutti gli uomini sono angeli”. Nel 2000 viene pubblicato, dalla Harvard University Press, “Empire”, il saggio scritto con Michael Hardt, che delinea la nuova politica legata alla globalizzazione. In breve, il libro diventa un best seller in tutto il mondo. Gli autori analizzano la scomparsa dell’impero unipolare e la nascita di un impero onnipresente, senza centro, che ha una struttura rizomatica. Le loro teorie ruotano attorno alle moltitudini sfruttate, alle singolarità espropriate collettivamente e alla nascita di nuove forme micro-rivoluzionarie. “La rivoluzione è vivere, costruire continuamente momenti di novità e di rottura. Non si incarna in un nome”, ha detto. La nuova classe operaia è un insieme complessivo di forza lavoro che include precari, lavoratori della conoscenza e neolaureati. Nella raccolta epistolare “Arte e Multitudo” (DeriveApprodi), Negri è anche pienamente coinvolto nell’analisi dell’arte contemporanea e del mercato. “L’arte”, scrive, “è come si è detto lavoro, lavoro vivente, e quindi invenzione di singolarità, di figure e oggetti singolari, espressione linguistica, invenzione di segni. Qui, in questo primo movimento, si distende la potenza del soggetto in azione, la sua capacità di approfondire la conoscenza fino a reinventare il mondo”. Ma, secondo lui, con quali strumenti ci potremmo oggi difendere dalla deumanizzazione neoliberista imperante? “Con l’amore, l’unica passione che crea l’esistenza comune, capace di distruggere il mondo del potere”.
Manuela Gandini
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