L’intramontabile packaging made in Italy si racconta in un libro
Se di solito le enciclopedie si concentrano sui contenuti, ogni tanto accade che sia proprio il contenitore ad attirare l’attenzione. Il volume curato da Camilla Sernagiotto racconta gli aneddoti nascosti dietro le confezioni, i flaconi e gli incarti di prodotti mitici
Sono in mezzo a noi e popolano la nostra quotidianità, anche se spesso non ci accorgiamo di loro. Sono confezioni, barattoli, bottiglie, incarti di cioccolatini dal design spesso anonimo che possiamo trovare nelle nostre dispense o sugli scaffali del supermercato, oggetti minimi dal punto di vista del valore economico e delle dimensioni ma di ottimo gusto e soprattutto uguali a se stessi da decenni. Una qualità, quest’ultima, che li trasforma in altrettante “madeleine proustiane” capaci di attivare un’emozione potente come la nostalgia richiamando in maniera istantanea ricordi e sensazioni del passato. È proprio al packaging di alcune decine di intramontabili prodotti italiani come la colla Coccoina o le Amarene Fabbri che la giornalista Camilla Sernagiotto, spinta non dall’interesse professionale di chi pratica il design di prodotto o la grafica oppure li insegna ma piuttosto da un’ossessione privata per le scatole confessata tra il serio e il faceto, ha dedicato un lungo lavoro di scavo negli archivi di aziende sparse per la penisola.
“Senza scadenza”: un compendio del packaging italiano
Il risultato di queste ricerche è raccolto in un libro fotografico appena uscito dal titolo Senza scadenza. L’intramontabile packaging made in Italy (Ultra, 2023). Si tratta di una sorta di enciclopedia tematica che segue la scia di progetti come Fattobene, l’archivio telematico “in progress” di prodotti e piccoli oggetti archetipici lanciato nel 2005 da Anna Lagorio e Alex Carnevali, con un focus più ristretto sul settore delle confezioni e degli imballaggi. Tra le sue pagine si dipanano oltre sessanta piccole storie pescate nella grande storia del design, del costume e dell’imprenditoria italiana. Alcune di queste raccontano intuizioni geniali, legate per esempio all’uso di materiali consueti in nuovi ambiti, altre le prime prove di un fenomeno oggi estremamente diffuso, quello della convergenza tra artisti e industria.
Artisti e packaging: storia di una progressiva convergenza
Uno dei packaging più famosi al mondo, la bottiglietta del Campari Soda, nasce proprio dalla collaborazione tra il marchio omonimo, che nel 1932 ha già alle spalle diversi decenni di vita tra la Novara dei primi esperimenti mixologici e la Milano non ancora “da bere”, ma già impegnata nel rito dell’aperitivo, e un creativo a tutto tondo come Fortunato Depero. Al futurista trentino, Davide Campari chiede di ideare una bottiglia monodose per un prodotto già dirompente di per sé, il primo drink premiscelato e pronto all’uso. La forma da lui proposta, a calice rovesciato, ideale anche per lo stoccaggio e il trasporto, e la texture smerigliata sono così riconoscibili da fare sì che la bevanda color rosso rubino non abbia bisogno di un’etichetta. Nei due decenni successivi, a cavallo il fascismo e l’immediato dopoguerra, sono tanti i pittori e gli illustratori che prestano il loro segno a quello che oggi chiameremmo marketing. I disegni di Gino Boccasile, per esempio, l’autore della Signorina Grandi Firme che con le sue forme procaci e la sua disinvoltura incarna i sogni e i turbamenti di tutta un’epoca, si possono ritrovare sulle confezioni e sulle locandine promozionali di numerosi prodotti di largo consumo, dal Borotalco al Formaggino mio.
Packaging italiano: tra innovazioni e marketing “ante litteram”
Tra le più importanti innovazioni nel design in senso stretto c’è la scatoletta con lo strappo, facile da aprire ovunque e in qualunque circostanza, lanciata nel 1913 dalla Rizzoli Emanuelli & C., attiva da fine Ottocento nella filettatura e nel confezionamento delle alici. Una miglioria protetta da brevetto che avrà successo sia in ambito casalingo che nelle trincee della Grande Guerra. Un’altra idea rivoluzionaria è quella di Ugo Mutti, industriale parmigiano che nel 1951 decide di proporre il suo concentrato di pomodoro in un tubetto di alluminio “all’americana”, un tipo di packaging fino ad allora usato soltanto dai produttori di dentifricio. A completare la proposta c’è un’intelligente trovata commerciale, che prolunga la vita del prodotto: il tappo in bachelite rossa può essere riutilizzato come ditale e incita il consumatore, già ricettivo di per sé in quei tempi post bellici, a un riciclo creativo.
Giulia Marani
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