L’arte fuori dalla contestazione. Gli Anni Settanta da un altro punto di vista
L’autore traccia un percorso della storia dell’arte del periodo della contestazione come non era mai stato fatto prima. Emerge dallo studio una produzione artistica, spesso trascurata, che esprimeva e respirava il clima di quel periodo
Quasi a completare a ritroso la ricostruzione storica degli Anni Ottanta redatta scupolosamente nel 2005 con il titolo Dagli 80’ in poi. Il mondo dell’arte contemporanea in Italia, Giulio Ciavoliello con questo agile volume ci accompagna nel mondo di frizzanti autonomie e storiche dissociazioni degli artisti nel decennio più turbolento e oscuro della storia italiana, gli Anni Settanta. Spartiacque tra sperimentalismo e riflusso, questo periodo è stato esaminato dall’autore nella sua più logica segmentazione che vede agli estremi la contestazione del Sessantotto e i movimenti del Settantatesse. Ciavoliello nel suo nuovo libro Fuori dal coro sottolinea la complessità di un passaggio che mette in chiaro lo spostamento dal criterio selettivo delle mostre collettive, che spesso individuano gruppi chiusi che fanno capo a un assunto teorico, a una espansione verso un contesto da condividere con il pubblico, un pubblico che si fa sempre più consapevole di far parte di un mondo che, in seguito verrà, chiamato arte contemporanea.
Gli artisti e i critici cardine
Questa espansione vede, in quegli anni, protagonisti artisti e critici come Enrico Crispolti che spostano verso il contesto urbano ciò che prima era condensato sotto sigle progettuali. Crispolti nel decentramento regionale scorge una opportunità per sperimentare la maggiore prossimità e integrazione dell’opera con il pubblico, dei piccoli centri, un pubblico inteso come comunità attiva da coinvolgere nella missione civile della creatività artistica. Ciavoliello ci fornisce anche le coordinate per la fuoriuscita dai luoghi comuni sbloccando la storia dalla vulgata che vede imprimere alla sequenza Arte Povera, Transavanguardia lo svolgimento di un percorso verso un postmodernismo risolutivo, omnicomprensivo, sostanzialmente vago. Il libro, infatti, ci fa inoltrare nelle pieghe, nei dettagli di alcuni eventi che, presi da una particolare angolazione, svelano scorci celati spesso da un’imbarazzante approssimazione. La vicenda artistica si dipana in un contesto culturale dominato dalla frantumazione del fronte unico della contestazione, dalla crisi del ruolo orientativo del P. C. I, della disgregazione dell’operaismo e della comunicazione unidirezionale. Questo clima alla “Brian di Nazareth” degli ambienti della sinistra antagonista, cioè di frammentazione isterica, non influì sulla cancellazione di temi ed espressioni collettive, ma determinò il proliferare di interpretazioni dopo uno sconfinamento di questi verso l’ala più creativa del movimento. Emblematica è la fotografia scattata da Gabriele Basilico nel 76’ dal titolo Proletariato giovanile che simula la disposizione del Quarto stato di Pellizza da Volpedo (1898 – 1901) mostrando un corteo danzante di corpi nudi invece che eroici braccianti in maniche di camicia. In pratica, l’artista che ha decostruito la sua funzione sociale, dopo la Biennale della contestazione, è pronto a vestire i panni dell’operatore estetico e assiste, al contempo, alla riforma della critica d’arte che si trasforma in un testo operativo da integrare all’opera. Carla Lonzi abbandona la scena per cominciare la sua avventura di militanza femminista, Germano Celant tutela la sua creatura dalla deriva di nuovi orientamenti, Achille Bonito Oliva esordisce come curatore.
Un’immagine Fuori dal Coro degli Anni ’60 e ‘70
Seguendo l’itinerario di Ciavoliello, ci accorgiamo perciò quanto spesso e volentieri risulti distorta l’immagine di quegli anni, soprattutto quando viene utilizzata per la creazione di un modello ad uso e consumo delle nuove generazioni. Il modello che punta su un intreccio indissolubile tra arte e politica è, proprio per la fluidità dell’una e dell’altra, in verità quello di un laccio allentato da progetti operativi incentrati prima sulla volontà di allargare la partecipazione e, in seguito, disciolto dalle derive individuali. Persino l’attualissimo dibattito sulla pittura, che male cela i toni di un ritorno trionfale dietro la reinvenzione del medium, alla luce di quel che leggiamo nel libro risulterebbe claudicante. Mostre come Bad Painting, per esempio, curata da Marcia Tucker nel 1978 a New York, propongono nuovamente il portato espressivo della pittura, portato che non ha mai abdicato dalla sua condizione privilegiata nell’arte ma pensato, al di fuori del virtuosismo concettuale e pittorico, come atteggiamento politico di narrazione vernacolare per immagini. Salutato positivamente dal mercato e ricalcolato dalla critica, il ritorno della pittura porta con sé, più che il fallimento della sperimentazione degli anni precedenti, il riconoscimento di un singolare anticonformismo. La transitorietà delle azioni, il loro carattere effimero rintracciabile nella memoria solo tramite documentazioni, spinge infatti alcuni artisti a riabilitare la permanenza dell’evento visivo e con ciò la contemplazione di esso. L’autore ci mostra però come a caratterizzare queste decisioni ci sia in quegli anni anche una sotterranea istanza di ricollocamento dell’arte contemporanea in un quadro diacronico. Paolini cita Giorgio De Chirico alla mostra Campo Aperto nel 1970 e Luciano Fabro non disdegna di riferire la propria donazione di spazio alla stabilità temporale dell’opera.
L’arte italiana, la storia, il ritorno alla pittura
Gli artisti italiani, ricorda Ciavoliello, si accorgono dell’esistenza di: “Un corpo sociale separato […] Si insinua così un dubbio, che la diluizione nel sociale, che l’intrusione del pubblico, siano prive di prospettiva e non possano offrire un sentiero da percorrere all’arte.” (p. 40) È una consapevolezza che si trasforma in metalinguaggio e, di lì giunge alla citazione che riabilita il passato come modello. La mostra del 1974, proposta a Milano da Barilli, per dirla una, con il titolo mutuato da Gilles Deleuze La ripetizione differente, vede esposte le tre variazioni di Gerhard Richter dall’Annunciazione del 1539 di Tiziano. L’arte, quindi, cerca di ridefinire il proprio ambito di ricerca e volgere l’iniziativa a un pubblico desideroso di riconoscere l’arte attraverso le fonti, ossia riabilitando la storia. Questo perimetro viene tirato per definire sia un cambio di rotta che una sopraggiunta esigenza di distinguere i due campi dell’arte e dell’azione politica, campi che spesso si chiamavano vicendevolmente a supporto. La pittura, ad esempio, riabilitata emblematicamente a Documenta 5 nel 1972, diventa sinonimo di regressione, un biasimato ritorno all’ordine, ossia viene del tutto travisata. Così, anche se la pittura iperrealista raccolta a Kassel in quel frangente da Jean-Christophe Ammann stava a significare la crisi della rappresentazione, viene goffamente considerata un richiamo al realismo ottocentesco. Per sfuggire alla grossolanità di certe considerazioni strumentali, Ciavoliello, mettendo in parallelo i fatti storici e artistici degli anni Settanta italiani, rileva una continua oscillazione tra convergenze e separazioni in cui si scorgono non pochi presupposti dello sviluppo successivo delle arti e del sistema sociale legato ad esse.
Marcello Carriero
Giulio Ciavoliello, Fuori dal Coro. L’arte libera dalle ideologie al tempo della contestazione.
Christian Marinotti Edizioni, 2023.
Pag. 176, euro 22.00
ISBN 978-88-8273-186-1
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