Può un marchio di fabbrica avere un’anima? Se ti chiami Sanrio la cosa è altamente probabile, anzi garantita. Multinazionale giapponese della “carineria”, Sanrio cinquant’anni fa ha messo al mondo Hello Kitty, personaggio senza bocca, con due tondi neri al posto degli occhi, un naso a forma di bottone, un paio di baffi e un nastro rosso tra i capelli, diventata la beniamina di intere generazioni di ragazzine. Errore madornale considerarla soltanto un’icona pop impressa su una vastità oceanica di prodotti. Il felino antropomorfo, che di nome fa Kitty White ma può diventare Kitty-chan per coloro che la considerano una cara amica, si muove con disinvoltura tra molte identità: fenomeno pop globale, instancabile oggetto di marketing e concentrato sociologico che proprio in tale carineria (in Giappone dicono: “kawaii!”, letteralmente: “cariino!”) può generare autentico e involontario kitsch, come spiegano Ken Belson e Brian Bremner nel libro Hello Kitty: The Remarkable Story of Sanrio and the Billion Dollar Feline Phenomenon (Wiley, 2003). Miliardario il giro d’affari ogni anno. Dietro c’è un’idea sbocciata sessant’anni fa da Sanrio, che come pietra angolare della società aveva usato il motto: la vera felicità passa attraverso l’amicizia. Ma per farlo servivano personaggi all’altezza di quel compito.
La creazione di Hello Kitty
Fondatore della società è Shintarō Tsuji, nato nella prefettura di Yamanashi nel 1927 e classico self-made man: intraprende diversi mestieri, avvia un’azienda tessile (la Yamanashi Silk Center) occupandosi poi di oggetti da regalo realizzati con materiali da pochi soldi, per poi deviare verso un orizzonte creativo dando vita a personaggi abbonati a mestizia e imperturbabile candore. Per i sessant’anni della compagnia, il mensile giapponese MOE (Hakusensha) nel 2021 gli ha dedicato un numero che è sembrato anche un rispettoso inchino: Tsuji dimissionario ha infatti passato il testimone al nipote Tomokuni. In copertina c’era una magnifica illustrazione di Yuko Higuchi che di gatti se ne intende (cercate in libreria Il favoloso mondo di Yuko Higuchi per i tipi de L’ippocampo). Rendere felice il prossimo è una frase che emerge di continuo tra le pieghe informali di Sanrio, così invitante da diventare quasi un inno aziendale e una filosofia di vita. Il fatto è che Tsuji incarna alla perfezione quell’ideale: orfano, con pochi amici, trova la salvezza aggregandosi a un gruppuscolo di ragazzini che colleziona card, niente di meglio per stringere amicizie. Da adulto pare il tipico individuo di epoca Shōwa per il quale non è disdicevole sognare in grande. Anzi. La ricerca di animali da trasformare in personaggi da amare passa attraverso le preferenze espresse dai ragazzini giapponesi di quegli anni: pesci e insetti non richiamano particolare interesse; gatti e cani sempre in vetta. Ma come battere l’invadente Snoopy di Charles M. Schulz?
Hello Kitty fenomeno globale
Evidentemente il colore bianco è motivo di attrazione visiva. Quando nasce nel 1974, Hello Kitty ha già la sua bella biografia che la pone in Inghilterra con mamma, papà, sorella e un gatto (uno vero?) di nome Charmy Kitty. A tracciarne la silhouette su carta è l’illustratrice ventenne Yuko Shimizu, cui era stato invece affidato un orsetto di nome Koro-chan. La collega Hiroko Suzuki nello stesso periodo immagina Patty & Jimmy, altre celebrità di casa assieme a My Melody, la cui parentela nel design così tenero e piacione indica come ottenere cittadinanza immediata nel Paese delle carinerie di cui Sanrio è sovrana. Paradossalmente, Tsuji è il meno convinto di quei personaggi ma quando “Petit Purse”, il portamonete trasparente in vinile con sopra l’effige di Hello Kitty, conquista i giovanissimi acquirenti il gioco è fatto. La popolarità si rinnova a ondate negli anni Ottanta e Novanta; 130 i Paesi che le vogliono bene, economicamente parlando; diventa Ambasciatrice UNICEF nel 1983 e dagli anni Duemila migliora le quotazioni negli Stati Uniti. Chiaramente esistono parchi a tema, mentre cinema e TV le offrono il dono della parola. Hello Kitty governa una dimensione di sorrisi e gioia in cui la consapevolezza di sostare davanti a un velo di apparenze fin troppo infantili è tutto sommato un compromesso accettabile in un mondo che di quei sorrisi ha bisogno.
Mario A. Rumor
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati