Rivalutare le controverse artiste femministe che hanno fatto dell’arte incentrata sul corpo un mezzo per ribellarsi alle norme sociali. Questo lo scopo definitivo del libro del 2023 di Laura Elkin, Art Monsters: Unruly Bodies in Feminist Art, che raccoglie (tra memorie e riflessioni personali) una collezione di momenti che inquadrano il panorama dell’arte femminista negli ultimi 50 anni, attraverso il focus del corpo. Il testo si presta a diventare una piccola guida per neo-adepte, anche se molto (e appositamente) caotica.
Il bestiale femminile nel libro Art Monsters
Il titolo del libro (edito da Farrar Straus e Giroux) e il suo concept iniziale ruotavano attorno a una citazione dal romanzo di Jenny Offill Dept of Speculation (2014), “Il mio piano era di non sposarmi mai. Sarei invece diventata un mostro dell’arte”. Un mostro che si pone prima di tutto come maschile ricorda Rachel Cook sul Guardian: si tratta di quel “bestiale” che può permettersi di abbandonarsi al proprio estro prima di tutto perché fa affidamento sulle donne per tutte le preoccupazioni “banali” della vita, come lavare e cucinare (o persino essere rassicurati sul proprio genio). In questo panorama, le donne non sono libere di essere “mostri” (anche per una serie di freni auto-imposti), ma paradossalmente finiscono per diventarlo quando scelgono di perseguire le proprie ambizioni o si lasciano andare alla rabbia, due campi semantici emotivi di pertinenza maschile. Così per Elkin (già autrice di libri molto apprezzati come Flâneuse e No 91/92) il mostruoso femminile diventa prima di tutto una ribellione al patriarcato: un’ottica che vede nel maschile (persino quello mostruoso) un modello standard, default, nei confronti del quale il femminile è sempre “altro”. Il libro va a celebrare questa rottura, affidando le lettrici alla gioia del corpo e permettendo loro di “occupare più spazio”.
Il libro femminista Art Monsters
Il volume Art Monsters, diviso in tre parti, punta quindi ad allacciare tra loro gli ideali (anche molto diversi e distanti) e le opere di artiste che hanno trovato nell’imperfezione un fattore di comunità e di protesta. Se la prima parte, Monster Theory, approfondisce la genealogia dell’arte femminista attraverso la teoria della femminilità “abietta” di Julia Kristeva, la seconda e terza esplorano invece come artiste e studiose abbiano recuperato frammenti di “eccesso e caos femminile” per trasformarli – ricorda Emily Collins su Hyperallergic – in un’estetica tattile. Le citazioni sono numerose, con artiste e autrici collegate come da un filo elettrico: ci sono la pittrice Laura Knight, la scrittrice Fanny Burney, la performer Carolee Schneemann, e poi ancora Kara Walker, Eva Hesse, Hannah Wilke, Julia Margaret Cameron, Kathy Acker e addirittura la controversa artista Dana Shutz, qui duramente criticata per appropriazione culturale per via del ritratto del cadavere di Emmett Till esposto alla Biennale del Whitney del 2017. Eklin mette a frutto un forte background letterario e storico-artistico, fornendo una guida (per sua stessa ammissione e soddisfazione, molto disordinata) che vuole farsi promotrice di un ritorno ai desideri e alle imperfezioni del corpo. Testimoniando la forza delle artiste che hanno scelto questa via e, forse, auspicando la prossima ribellione.
Giulia Giaume
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