Conoscere Luigi Tenco attraverso le sue parole raccolte in un nuovo libro 

Enrico Deregibus è il curatore (insieme a Enrico de Angelis) della raccolta inedita di lettere, racconti e interviste del grande cantautore Luigi Tenco. Lo abbiamo intervistato

Il giornalista e scrittore Enrico Deregibus, organizzatore di eventi musicali e culturali, autore di vari libri, responsabile del Premio Amnesty International Italia – “Voci per la Libertà” per la sezione riservata ai big della musica italiana, ci parla del volume Luigi Tenco. Lontano, lontano. Lettere, racconti, interviste (edito per Il Saggiatore), da lui curato insieme ad Enrico de Angelis (giornalista e critico musicale, nonché storico direttore artistico del Club Tenco fino al 2016). In 440 pagine sono raccolte le preziose parole scritte e pronunciate da Luigi Tenco (Cassine, 1938 – Sanremo, 1967) nel corso della sua esistenza. Poetiche lettere alla madre, diari, temi di scuola, interviste, materiale inedito: un linguaggio meraviglioso e universale per un viaggio intorno ad un poeta e cantautore di cui si è parlato tanto, spesso anche a sproposito.  

Enrico De Angelis ed Enrico Deregibus, Lontano, lontano
Enrico De Angelis ed Enrico Deregibus, Lontano, lontano

Intervista a Enrico Deregibus 

Parliamo del volume “Lontano, lontano”, curato da lei e da Enrico de Angelis: come nasce il progetto di raccogliere materiale in buona parte inedito e raccontare quindi la profondità e l’anticonformismo di Luigi Tenco?   
Su Tenco si è detto molto ma in questo caso è lui stesso che parla. È questa l’idea del libro. Ed è giustissimo parlare di profondità e forse ancor di più di anticonformismo riferito a lui e alle sue parole, anche se il suo era un anticonformismo poco conformista, se così si può dire. Un anticonformismo esistenziale prima che sociale. Abbiamo cominciato il lavoro temendo di avere poco materiale, pensavamo di fare un libretto o poco più ma poi scavando, grazie anche al contributo della famiglia Tenco e di alcuni collezionisti, abbiamo trovato molte cose ed il libro è diventato di 440 pagine. 

Vorrei partire da una delle interviste, forse la più profetica: quella del 1962 a Sandro Ciotti in cui gli rivelava che avrebbe voluto fare un recital, proponendo e spiegando le proprie canzoni. Come è andata? 
Forse era una sua intenzione in quel momento ma non si è concretizzata. Tenco non amava esibirsi, sono state poche le occasioni in cui è salito su un palco per cantare. In particolare non ci sono notizie su suoi recital, se non forse un paio a Torino; ma penso che se fosse vissuto di più ci avrebbe regalato belle cose anche dal vivo, perché nei pochi filmati che esistono di sue esibizioni, è evidente una grande forza e purezza. 

Tenco ci ha insegnato a guardare oltre l’apparenza? Quale figura di uomo ed artista è stato? 
Sì, credo che descriverlo come un uomo e artista che cercava di andare oltre all’apparenza può essere una buona chiave per comprenderlo. Lui stesso aveva una necessità quasi fisica di non essere inscatolato in schemi, preconcetti, stereotipi. Lo dice in diverse interviste. In generale credo sia stato uno molto alla ricerca di se stesso, sia artisticamente che umanamente ma è comprensibile se consideriamo che parliamo comunque di un ventenne, per quanto atipico e per quanto i ventenni degli Anni Sessanta fossero più formati, meno disorientati di quelli di oggi. 

Lei è stato uno degli organizzatori del Premio Tenco a Sanremo, de Angelis ne è stato il direttore artistico per tanti anni. Ora è da poco terminata la 74ma edizione del Festival, e l’eco di un grande poeta e artista come Tenco si sente ancora su quel palco: cosa lascia alle nuove generazioni, ai giovani artisti? 
Credo che lasci un esempio importante, quello di essere se stessi, di aspirare, come è umano, ad arrivare al grande pubblico ma senza tradirsi. Un giovane artista può prendere da lui anche la grande fame che aveva per il mondo, per la scoperta, per l’arte in generale e in particolare per la musica e le musiche più diverse. Non era certamente solo quello che scriveva canzoni d’amore un po’ tristi. Era molto di più, cercava sempre nuovi stimoli. Ha attraversato il rock & roll, il jazz, il beat, la canzone francese e probabilmente se avesse vissuto avrebbe cercato ancora da altre parti, soprattutto nell’ambito della musica tradizionale italiana: il  folk, che era un suo grande obbiettivo. Avrebbe probabilmente anticipato la World Music. 

Lei si occupa anche dei premi che Amnesty International assegna ogni anno a canzoni che parlano di diritti umani. Il palco di Sanremo – ieri il Casinò oggi l’Ariston – è il palco più politico di tutti, dove ogni sguardo, parola e gesto vengono amplificati: è in pericolo la libertà di un artista, secondo la sua opinione? I casi di Ghali e Dargen D’Amico sono emblematici. 
Non so se sia in pericolo la libertà di un artista, ma sicuramente bisogna essere molto vigili. Continua ad esserci chi dice che le canzoni devono essere solo canzonette, devono solo essere un passatempo, non devono toccare certi argomenti e in ogni caso i cantanti non devono parlarne. Non è ovviamente così. La canzone può veicolare anche contenuti importanti. Proprio per questo ogni anno Amnesty e il festival Voci Per La Libertà danno dei premi ad artisti sia molto noti che emergenti che parlano di temi sociali e civili. Tenco è stato un grande precursore anche in questo. Ha cercato caparbiamente di scrivere canzoni che avessero certi contenuti, all’epoca un po’ genericamente si chiamavano canzoni di protesta. Ce ne sono di splendide. 

Lei è anche il direttore artistico del festival PeM, che si svolge da fine agosto a inizio ottobre in Monferrato, la terra di Tenco. Era legato alle sue radici piemontesi?  
Sì, era molto legato alla sua terra. È nato ed è sepolto in Monferrato. Si è trasferito a Genova da bambino però ha sempre mantenuto un rapporto solido e sentimentale con quelle zone. Credo che anche nel suo carattere e nella sua poetica venga fuori questo essere piemontese, in particolare piemontese di provincia. Vengo anch’io da quelle zone e quindi magari sono di parte, però sento molto nelle sue canzoni la campagna e la collina più che il mare, diciamo così. I “carri nei campi” di Ciao amore ciao credo proprio che vengano da lì. 

Cos’altro non si è davvero raccontato, di Tenco? Lo ricordiamo sempre e solo per la sua “sensibilità e malinconia” ma c’è di più, naturalmente? 
Sì, c’è anche molto altro. Uno dei luoghi comuni più logori su di lui è quello del ragazzo triste e cupo, ma non è così. Era spiritoso, amava gli scherzi. Questo aspetto della sua personalità nel libro viene fuori varie volte. E posso aggiungere che tutti i suoi amici più stretti testimoniano questo lato gioioso e giocoso del suo carattere. All’epoca si cavalcava l’immagine del duro, c’era ancora l’eco dell’esistenzialismo, di James Dean, Gioventù bruciata e così via. E la faccia di Tenco sicuramente si prestava bene. Ma appunto lui non era così o lo era solo in parte. 

Alessandra Paparelli 

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