“Voglio diventare un poeta americano perché ho ripudiato i modelli italiani”: così Emanuel Carnevali (1897-1942) scrive nel 1917 a Poetry Magazine, una rivista letteraria di Chicago della quale sarà direttore per pochi mesi.
Chi era il poeta Emanuel Carnevali
Poeta maledetto, personaggio cult per la sua vita marginale ed estrema, Emanuel rappresenta una figura controcorrente, disposta a rinnegare la propria patria per abbracciare l’identità statunitense. Carnevali nasce a Firenze, figlio del ragioniere Tullio e di Matilde Piano, che erano già separati nel momento in cui viene al mondo. Sballottato dai genitori in diverse città emiliane, nel 1908, dopo la morte della madre, viene mandato dal padre in collegio a Bologna. I contrasti con il carattere del genitore sono molto forti, tanto da spingere il ragazzo ad emigrare negli Stati Uniti: si imbarca a Genova sul piroscafo Caserta, giunto a New York il 5 aprile 1914. Emanuel arriva negli Usa senza conoscere una parola d’inglese e si adatta a fare i mestieri più disparati per mangiare, spesso in condizioni molto difficili. Col tempo la situazione migliora di poco: impara l’inglese e nel 1917 sposa Emilia Valenza, con la quale vive in un quartiere malfamato di Manhattan, tra teppisti e vagabondi. Negli stessi anni frequenta diverse personalità del mondo letterario, come Max Eastman, Ezra Pound, Robert McAlmon e William Carlos Williams, e le sue poesie vengono man mano pubblicate. Il suo esordio su Poetry Magazine è una sorta di proclama identitario: “Voglio diventare un poeta americano perché, nella mia mente, ho ripudiato i modelli italiani di buona letteratura. Non mi piace Carducci, ancor meno D’Annunzio. Credo nel verso libero. Mi sforzo di non essere un imitatore”.
Carnevali, l’idolo degli scrittori
Una volta tagliati i ponti con la patria, Emanuel si butta a capofitto nell’american life, e per alcuni anni diventa l’idolo degli scrittori, tra i quali Sherwood Anderson, maestro di Hemingway e di Faulkner, che lo ricorda nel suo racconto Italian Poet in America (1941) come “il mio poeta italiano dai denti bianchi e forti, giovanotto ben fatto, dalla pelle olivastra, dai folti capelli, il tipo d’uomo che piace alle donne”. Vive di stenti e si ammala, prima di sifilide e poi di encefalite letargica, quest’ultimo male lo obbliga nel 1922 a rientrare in Italia, dove sopravvive tra ospedali, cliniche e una pensione a Bazzano. Nel 1934 un giornalista del Resto del Carlino lo trova in una squallida camera in affitto presso la trattoria di Porta Castello a Bazzano. Carnevali aveva pubblicato due anni prima alcuni suoi versi, suggeriti da Ezra Pound, nell’antologia Profile, edita da Schewiller, accanto a giganti come Eliot, Joyce ed Hemingway. Al giornalista Emanuel dichiara di non conoscere l’italiano, e afferma che “la lingua è una creatura, sangue, nervi, muscoli”. La sua autobiografia, Il primo Dio, è stata pubblicata da Adelphi nel 1978, mentre nel 2005 è uscito da Fazi Racconti di un uomo che ha fretta e altri scritti, a cura di Gabriel Cacho Millet e tradotto da Maria Pia Carnevali.
Ludovico Pratesi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati